Un’iniziativa del Pubblico ministero e della società civile propone di destinare il 50% dei seggi alle consigliere comunali e alle deputate, e metà di questi alle donne nere.
La democrazia è nata precaria. Il nuovo sistema di governo, nato ad Atene, prometteva ai cittadini il potere di decisione delle leggi e le politiche pubbliche locali. Il problema è che solamente un terzo della popolazione adulta della città era considerata eleggibile e poteva partecipare al processo elettorale. Donne e schiavi rimanevano fuori dal gioco politico.
Dalla culla della democrazia all’attuale Brasile, quasi duemila anni dopo, molto è cambiato ma la bassa rappresentatività delle donne (soprattutto delle donne nere) in politica denuncia una democrazia ancora disuguale. Le donne sono il 51% dell’elettorato brasiliano, però occupano solo il 15% dei seggi alla Camera dei Deputati. Fortunatamente, ci sono state tre proposte di legge di iniziativa popolare presentate a fine settembre per far sì che questo quadro cambi attraverso nuove proposte di modificare le leggi in materia di quote di genere a favore delle donne in politica.
Concepiti dal Pubblico Ministero dello Stato di San Paolo insieme a più enti della società civile, le proposte prospettano di destinare il 50% dei seggi alle donne politiche candidate per i Consigli comunali, Assemblee regionali e Camera dei Deputati e di cui la metà di essi sarebbe destinata alle donne nere. Inoltre, la proposta prevede che le candidate abbiano un maggior peso nella distribuzione del Fondo speciale del finanziamento della campagna elettorale (in portoghese: Fundo Especial de Financiamento de Campanha, NdT), rispetto i loro concorrenti maschi (all’interno dei propri partiti, NdT).
“Questo è un modo per correggere la disparità di rappresentatività femminile e soprattutto delle donne nere in politica”, spiega la PM Vera Lúcia Taberti, ideatrice di una delle proposte all’interno del Pubblico ministero di San Paolo. È dalle elezioni politiche del 2016 che Taberti coordina le indagini investigative contro i partiti politici che violano l’esigenza legale del 30% della quota di genere alle liste elettorali.
Le proposte vanno controcorrente alle altre attualmente discusse in Camera. È il caso del progetto di legge della deputata Renata Abreu (Pode-SP), che vorrebbe rendere più flessibile la quota di genere alle elezioni proporzionali (ovvero agli incarichi del Legislativo, NdT). Per la deputata, se nel caso in cui i partiti non raggiungessero il 30% delle candidature femminile, essi dovrebbero lasciare i seggi vacanti. Il progetto di Abreu è stato criticato addirittura dall’ONU.
Cosa c’è di nuovo?
Le proposte di legge sono da considerarsi innovative poiché intervengono sulla percentuale riservata alle donne politiche nei seggi e non invece sulla percentuale minima che sono concesse alle donne politiche nel momento della candidatura, come previsto attualmente dalla legge. Ana Laura Lunardelli, assessora in materia di Elezioni della Procura Generale dello Stato di San Paolo, a tal proposito, ritiene che: “Una cosa è garantire che le liste iscritte alle elezioni abbiano una soglia minima di candidati di uno specifico genere. Un’altra è garantire i seggi”. In questo modo, vi sarebbe la garanzia che le donne più votate vengano effettivamente elette.
Un altro punto innovativo starebbe nell’introduzione della voce “etnia” nelle quote elettorali, già in pratica nel Paese nella procedura delle domande di iscrizioni alle università pubbliche o ai concorsi, ad esempio. “Le donne non possono essere trattate come una categoria universale, perché siamo tutte diverse l’una dall’altra”, sostiene Laura Astrolabio, avvocata specializzata in Diritto Pubblico, nonché attivista del movimento “Donne nere decidono” (in portoghese: Mulheres Negras Decidem, NdT). Anche Astrolabio ha partecipato alla costruzione del testo delle proposte appena citate.
La presentazione pubblica di tali proposte sarà articolata in due forme. I due progetti che propongono di riservare dei seggi alle donne e alle donne nere saranno presentati come proposte di legge di iniziativa popolare. “È una strada più impegnativa (poiché l’iter è più lungo, NdT), tuttavia trattandosi di progetti destinati alle donne e più specificamente alle donne nere, l’appoggio popolare è imprescindibile perché essi vadano a buon fine”, spiega la PM Vera Taberti. La Costituzione brasiliana esige che i progetti di legge di iniziativa popolare siano firmati da almeno l’1% del corpo elettorale, distribuito però su almeno cinque Stati federati diversi – e per ognuno è necessaria una percentuale di firme relativa allo 0,3% degli elettori.
Dall’altra parte, il progetto che pretende di dare un maggior peso alle candidate donne nell’attribuzione dei soldi del Fondo elettorale sarà presentato alle deputate del Gruppo Femminile della Camera. Secondo le autrici, qualche deputata si è dimostrata disponibile anche a una seconda discussione, questa volta in Senato.
Le quote di genere alle donne in politica funzionano?
Per rispondere a questa domanda, bisogna capire come funziona il sistema elettorale brasiliano. Ci sono due tipi di sistemi di elezioni: le elezioni maggioritarie e quelle proporzionali.
Le elezioni maggioritarie sono svolte per gli incarichi dell’esecutivo (sindaco, Governatore e Presidente) e del Senato: c’è un solo incarico politico in disputa e la candidatura più votata vince. Le elezioni proporzionali, dall’altra parte, riguardano gli altri incarichi legislativi: consiglieri comunali, deputati federali e statali (ovvero, i deputati di ogni singolo Stato federato, incarico corrispondente ai consiglieri regionali in Italia, NdT). Nell’elezione proporzionale è prevista una lista di partiti o coalizioni e i candidati sono eletti secondo una votazione proporzionale calcolata all’interno dei risultati raggiunti da ogni partito. In Brasile, le quote di genere valgono soltanto alle elezioni proporzionali.
Per capire meglio l’effettività dell’adozione di tali quote, è importante mettere in risalto anche una caratteristica del sistema elettorale brasiliano che lo rende diverso da altri Paesi che adottano il sistema proporzionale. In Brasile, chi organizza la lista dei partiti è l’elettorato, e non i singoli partiti. Questo sistema viene chiamato “liste aperte”. I sistemi proporzionali più comuni, chiamati “liste chiuse”, presentano le liste di candidati che arrivano alle elezioni scelti dai singoli partiti. Per esempio, se un partito ha ricevuto voti sufficienti per occupare cinque seggi in Camera, i cinque candidati più votati di quella lista di quel partito occuperanno questi seggi.
In questi sistemi, qualora ci fossero le quote, basterebbe mettere le donne in posizioni eleggibili per far sì che possano occupare seggi. Se ci sono quote del 30%, basta mettere sulla lista una donna ogni due uomini. In Brasile la lista è organizzata dai voti che ogni candidato riceve dall’elettorato. Così, i candidati di uno stesso partito o coalizione competono fra di loro e le donne, che non hanno alcun tipo di investimento nelle loro candidature, ricevono meno voti e finiscono nelle ultime posizioni delle liste.
Il sistema delle quote all’interno del sistema proporzionale con liste aperte potrebbe creare spazio a candidature fantasma, in cui i partiti lanciano candidate donne soltanto per riempire le quote di genere, come previsto dalla legge, ma non investono effettivamente nelle loro campagne, il che si potrebbe considerare un broglio elettorale, secondo la legge brasiliana.
“Guardando i dati storici delle elezioni delle donne, dal momento dell’adozione delle quote per le candidature, si è verificato un incremento (di donne elette, NdT) ma il cambiamento è molto lento”, dichiara Ana Paula Giamarusti Carvalho, specializzanda in Diritto Elettorale il cui tema di ricerca è appunto la presenza delle donne in politica.
Carvalho ricorda che la legge brasiliana prevede la quota di genere, e non di donne. Approvata nel 1997, la legge 9.504 ha definito una soglia minima del 30% per le candidature di ogni genere alle elezioni proporzionali all’interno dei partiti. “Però, quello che dovrebbe essere la soglia minima viene trattato come un tetto massimo per le candidature femminili all’interno dei singoli partiti”, afferma.
Perché le donne non vengono elette
Chi studia la questione di genere in politica sottolinea due cause principali che potrebbero spiegare perché le donne non vengono elette: la mancanza di rappresentatività all’interno dei partiti e lo scarso investimento nelle loro candidature.
Dallo studio “Democracia e Representação nas Eleições de 2018” (Democrazia e rappresentazione delle elezioni politiche del 2018, NdT), della Fundação Getulio Vargas (FGV), emerge che alle elezioni del 2018, il 61% dei fondi destinati alle campagne dei deputati federali sono stati destinati ai candidati maschi bianchi, il 17% ai candidati maschi neri, il 16% alle donne bianche e il 6% alle donne nere. “Le donne nere non riescono ad accedere alla politica perché non hanno né il capitale sociale né quello finanziario per poterselo permettere”, dice Laura Astrolabio, del collettivo Mulheres Negras Decidem.
Nell’analizzare i dati tra le elezioni politiche del 2014 e quelle del 2018, c’è però un grande salto nel volume di soldi destinati alla candidatura di donne. E ciò si spiega con la decisione del Tribunal Superior Eleitoral (TSE), nel maggio 2018, che ha decretato che i fondi elettorali devono destinare almeno il 30% dei soldi alle candidature di donne, rispettando anche la quota di genere.
L’indagine commissionata da FGV mostra inoltre che il volume di soldi resi disponibili ai candidati è sceso nel periodo osservato, ossia fra le elezioni 2014 e 2018, si è passati da R$ 1,9 miliardi (€390 milioni circa) a R$ 1,2 miliardi (€280 milioni circa). Nonostante il calo, le donne hanno avuto accesso a più risorse per finanziare le loro campagne nel 2018. I fondi totali usati da loro è stato superiore ai R$ 270 milioni (€58 milioni circa), contro i R$ 182 milioni (€ 39 milioni) nelle elezioni precedenti (un aumento del 50%, molto significativo).
Ma oltre alla questione delle risorse economiche, dietro esiste anche la questione del capitale politico. In un ambiente ancora molto ostile nei confronti delle donne, loro all’interno dei partiti non riescono ad arrivare alle posizioni di leadership. “Le sezioni di partito non danno spazio alle donne. Senza l’adeguata visibilità all’interno dei propri partiti, non hanno modo di farsi eleggere”, spiega Maíra Recchia, avvocata e membro di Rede Feminista de Juristas (Rete femminista di giuriste, DefeMde), una delle associazioni che fanno parte della redazione dei PL.
Hanno partecipato alla costruzione delle proposte le seguenti organizzazioni: Movimento Contra a Corrupção Eleitoral de São Paulo (Movimento contro la corruzione elettorale di San Paolo), Vote Nelas (Vota “loro”, ovvero “vota donne”, NdT), Mulheres Negras Decidem (Donne nere decidono), Elas na Política (Loro in politica, ovvero, le donne in politica, NdT), Partida Feminista (“Partita” femminista, gioco di parole con la parola “partito” al femminile, NdT), Rede Feminista de Juristas (Rete femminista di giuriste DefeMde), Mais Mulheres na Política (Più donne in politica), Grupo Mulheres do Brasil (Gruppo Donne del Brasile), Elas no Poder (Loro al potere, loro starebbe per “le donne”, NdT), Movimento Mulheres com Direito (Movimento donne con diritti), Instituto Update, Coletivo Feminista (Collettivo femminista) e Grupo de Gênero e Política da FGV (Gruppo di genere e politica della Fundação Getúlio Vargas).
Fonte
Magazine: Revista Azmina
Articolo: Projetos de leis querem aumentar cota para mulheres na política
Autrice: Thais Folego
Data: 19 settembre 2019
Traduzione a cura di: Bruna A. Paroni
Immagine di copertina: Revista Azmina