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#leimeritaspazio: Greta Gerwig ed il nuovo cinema, quello delle donne

#leimeritaspazio: Greta Gerwig ed il nuovo cinema, quello delle donne

Articolo di Rachele Agostini

Esistono donne in grado di ispirarci, donne delle quali vorremmo parlare, donne che vorremmo che altri conoscessero, perché meritano spazio.

È questa la premessa da cui, a gennaio, è partita la nostra campagna #leimeritaspazio.

Quando è stato il momento per me di individuare qualcuno che corrispondesse alla descrizione, non ho avuto dubbi. Forse perché in quel periodo l’Award Season era nel pieno del suo svolgimento, e mi trovavo davanti di continuo la sua faccia sorridente.

Greta Celeste Gerwig.

Una ragazza nata all’inizio degli anni ’80 nella cittadina californiana di Sacramento. Madre infermiera e padre informatico. L’istruzione in una scuola cattolica. Il club di teatro.
La voglia di creare qualcosa a guidare le sue scelte.

Queste sono le premesse della vita di Greta, ma sono anche le premesse di Lady Bird, il film che costituisce il suo debutto alla regia e di cui è anche unica sceneggiatrice (di cui già vi abbiamo parlato). Uno dei protagonisti assoluti della passata stagione cinematografica, con incassi di gran lunga superiori alle aspettative, una critica quasi unanimemente entusiasta e riconoscimenti di ogni genere, fin dalla sua prima proiezione al Telluride Film Festival, il 1 settembre dell’anno scorso.

Nella 75ma edizione dei Golden Globes, Lady Bird ha totalizzato quattro nomination, due delle quali si sono trasformate in vittorie: nella sezione “Musical o Commedia”, Saoirse Ronan è stata premiata come Miglior Attrice Protagonista, e Greta ha vinto per la Migliore Sceneggiatura Originale.

 

Proprio grazie a Lady Bird, per Hollywood e per il mondo circostante, Greta si è trasformata in pochissimo tempo da “attrice che si allontana dal cinema indie soltanto per ruoli minori”, a simbolo della riscossa delle donne dietro la macchina da presa.

Già, perché in novant’anni di attività l’Academy ha annunciato un totale di 443 nomi – non di rado ripetuti più volte – candidati al premio per la miglior regia, ma soltanto cinque di questi sono femminili: Lina Wertmuller (per Pasqualino Settebellezze), Jane Campion (per Lezioni di piano), Sofia Coppola (per Lost in Translation) e Kathryn Bigelow  (l’unica ad aver poi ottenuto la vittoria col suo The Hurt Locker). Quest’anno, Greta ha completato la lista.

È evidente che una sproporzione così grande non possa essere giustificata da niente, è evidente che si tratti di un problema di opportunità e visibilità negate. Di discriminazione
Essere una regista donna candidata all’Oscar ha sempre un grande valore, proprio per questo; esserlo nell’anno della rivoluzione femminista di Hollywood (scaturita dal Caso Weinstein che quest’inverno ha acceso la luce sul tema dei ricatti sessuali), però, lo ha ancora di più, se possibile. 

Ti fa diventare un simbolo, appunto.

“Luci. Macchina da presa. Potere. Come le donne stanno dando una nuova direzione ad Hollywood.. e all’America.” TIME è solo una delle tante riviste di grande prestigio che negli scorsi mesi hanno raccontato Greta, e la rivoluzione di cui è diventata uno dei volti principali.

 

Per molti mesi, Greta ha portato sulle proprie spalle questo peso di simbolo con una grazia meravigliosa. Affrontando con onestà e serenità le accuse per la sua decisione passata di lavorare con Woody Allen (il ruolo per cui è maggiormente ricordata dal grande pubblico è quello di Sally in To Rome In With Love), considerata una “macchia” in questa nuova ottica hollywoodiana, per via degli scandali che lo riguardano. Accettando di ritrovarsi a parlare quasi più della questione donne nel cinema che del proprio film.

Nello speciale che Vanity Fair, qualche mese fa, ha dedicato a lei e Jordan Peele (altra rivoluzione a livello di rappresentazione, per le persone di colore) Greta parla dell’essere donna e cineasta come di un maggior senso di responsabilità:

È una cosa a cui pensi. “Se hanno una brutta esperienza con me, se non so cosa sto facendo, se sono impreparata o non mi presento con tutto ciò che ho, sarà molto più difficile per la prossima donna.”

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In realtà, poi, basta ascoltare le dichiarazioni di chiunque abbia collaborato con lei su quel set, per rendersi conto che l’esperienza che Greta ha costruito – tutta sola e senza averlo mai fatto prima – è stata esattamente il contrario dei suoi timori: si racconta di un ambiente in cui l’atmosfera era rilassata e familiare, ma senza sacrificare mai la professionalità e l’efficienza

Greta insieme a Saoirse Ronan e Timothée Chalamet, un altro degli attori protagonisti di Lady Bird, in uno dei momenti sul set contenuti nella featurette “Triumph” (reperibile su youtube o fra i contenuti speciali del DVD del film)

 

Quando – poco prima di ricevere la tanto discussa nomination – una giovanissima aspirante regista le chiese consigli su come approcciarsi alla carriera dei propri sogni (in una conversazione moderata da Natalie Portman, con cui aveva lavorato nel film Jackie, e riportata da Variety) Greta rispose:

A volte ci si può ritrovare ad essere ossessionati dall’idea di “entrare nel castello” attraverso la porta principale. Ma non c’è bisogno. Si può entrare da un ingresso laterale, a volte. A volte puoi persino non aver bisogno di entrare. Puoi metter su un accampamento fuori dalle mura, e fare da te la tua festa. Nella maggior parte dei casi è così che va a finire, credo.

E crede bene.

A quanto pare, Greta sta già lavorando ad un altro progetto, ma intanto la conversazione che ha contribuito a cominciare va avanti.
La sua festa l’ha iniziata, e siamo invitati tutti (tutte).

Alla fine è per questo, che ho parlato di lei.
Perché lo spazio non soltanto lo merita, ma almeno un po’ è già riuscita a conquistarlo.
E non solo per sé.

 

A proposito di donne che meritano spazio: questa illustrazione bellissima è della nostra Elisa, che voglio ringraziare per la disponibilità e l’entusiasmo con cui ha esaudito la mia richiesta, e che vi invito ad andare a cercare sui social, dove si firma Lipsteria. Grazie, Lippi.