Marella Motta è una cantautrice.
Magnetica, energica, dalla voce pazzesca.
Ha il Mal d’Africa nel Dna, un guardaroba (quasi) tutto nero e una passione sfrenata per i gialli.
È mamma e ama Stevie Wonder, i Radiohead, Erykah Badu ed Otis Redding.
And everything in between è il suo album di debutto: un crogiuolo di soul, pop, R&B, jazz, afro, musica elettronica. Scritto ed arrangiato da lei insieme al produttore Jacopo Mazza, verrà pubblicato il prossimo 15 marzo per l’etichetta parigina Another Music Records, anticipato dal singolo Angry il cui video vi presentiamo in anteprima.
Il videoclip prende ispirazione dagli studi sul movimento di Eadweard Muybridge (effettuati alla fine del 1800), attraverso scatti orizzontali fatti ad animali, uomini e donne. Questo riferimento estetico e visivo viene usato per catalogare azioni che tipicamente compiono le donne nella loro quotidianità e che, viste a ripetizione, colpiscono per la loro assurdità e il loro effetto alienante.
La rabbia innesca la ribellione e, come una forza dirompente e costruttiva, apre la strada alla definizione di sé attraverso la rivendicazione delle proprie necessità e aspirazioni.
È un video diviso in tre movimenti, quasi come fosse una suite. Un’introduzione all’aperto, i riquadri centrali che rappresentano l’ossessione, e il finale liberatorio della protagonista. Girato interamente nelle campagne biellesi è stato scritto e diretto dal regista Emanuele Policante e vede come unica protagonista Marella con la quale abbiamo fatto una chiacchierata, e ad ogni nostra domanda è seguita una risposta piena di quella passione che sprigiona dagli occhi.
Marella, qual è stata la tua prima canzone preferita? Te la ricordi? E invece, la prima che hai scritto?
La mia prima canzone preferita credo sia stata I just called to say I love you di Stevie Wonder. Mi ricordo la sensazione fisica nell’ascoltarla. È la stessa che provo ancora adesso quando ascolto musica che mi smuove, ma quella è stata la prima volta.
La prima canzone che ho scritto l’ho scritta invece a diciassette anni. Piena di cose che avrei voluto saper fare e che cercavo di condensare tutte lì.
Ci parli delle dieci tracce di And Everything in between? Chi sono i compagni di viaggio che sono stati al tuo fianco durante la loro realizzazione?
Una parte di queste canzoni sono nate in un momento di cambiamento forte nella mia vita personale, di grande solitudine, intesa nella migliore delle accezioni. Quando tutto si trasformava fuori, mi sono chiusa letteralmente nel mio studio e ho cercato di guardare dentro di me nel modo più onesto possibile. Altre sono nate un po’ più tardi nel momento in cui ho iniziato a suonarle con i miei compagni di viaggio. Sono Jacopo Mazza ed Emmanuele Pella rispettivamente pianista e batterista. Le nostre lunghe sessioni di arrangiamento si sono trasformate velocemente in un momento di improvvisazione e di scrittura di materiale nuovo a partire dagli spunti di ognuno.
Sono molto affezionata a queste canzoni, mi hanno accompagnata in passaggi importanti della mia crescita.
Nel tuo patrimonio genetico c’è anche il mal d’Africa. Come questo continente ha influito sulla tua idea di musica, di suono e atmosfere? Come invece impatta, umanamente, nel modo di approcciarsi alle diversità?
Mio nonno è partito per l’Africa nel 1935, mia madre ci è nata. È difficile razionalizzare l’effetto che questo ha avuto sulla nostra famiglia, è come se fossimo stati catturati da qualcosa che in fondo non ci è mai stato estraneo. Un modo di vivere il corpo, il rapporto quotidiano con la musica, la capacità di far passare l’emotività (che brutta parola) nel canto in qualsiasi momento, senza filtri, senza imbarazzo, il rapporto con la terra sentito, non pensato. Queste sono cose che sento famigliari, cui tendo, che desidero, che cerco di trovare nella mia musica.
Credo che questo abbia fatto una differenza enorme dal punto di vista dell’approccio alla diversità. È una cosa normale, è cercare spontaneamente di trovare punti di vicinanza, è sapere che esistono mondi preziosissimi fuori dal tuo.
Razzismo, sessismo, discriminazioni di genere: fenomeni in costante e preoccupante aumento. Nel tuo quotidiano hai mai vissuto episodi discriminatori?
Sappiamo bene quanto sia diffuso il fenomeno del razzismo nel nostro Paese ed è alimentato dalla politica che cerca capri espiatori. Le persone sono informate poco e male e c’è una sorta di sollievo, di de-responsabilizzazione, rispetto alle nostre quotidiane frustrazioni e difficoltà, nel trovare colpe. È sempre più facile pensare che ciò che minaccia il tuo benessere stia fuori da te.
Sono agghiacciata dal livore che sento in giro. Una follia collettiva.
Mi è capitato di essere discriminata nella vita privata, più che altro tentativi di ridimensionarmi, di limitarmi, perché una donna libera fa molta paura soprattutto a chi ha avuto modelli familiari patriarcali e autoritari, non la si riesce a controllare. Tendiamo tutti ad agire sotto l’influenza delle nostre insicurezze, la grande differenza sta in cosa decidiamo di farne. Possiamo affrontarle e comprenderle oppure farle ricadere sugli altri. Nella nostra società c’è ancora l’idea che un uomo per essere forte debba essere dominante, immune all’emotività, alla paura, a costo di rimuoverne la causa. Nei casi più atroci eliminandola fisicamente.
Nella mia sfera lavorativa non posso dire di aver vissuto direttamente episodi gravi di discriminazione per il fatto di essere una donna, sono stata molto fortunata. Nella musica ho potuto collaborare con le persone con cui desideravo suonare e sono sempre stata rispettata. Credo sia giusto essere valutate per quello che si sa fare e per come lo si fa, non ho mai pensato neanche per un minuto che fosse legittimo un altro criterio di valutazione. E questo aiuta. Molte donne sono cresciute sentendosi dire cose diverse e a volte finiscono per crederci sprecando potenziali enormi. Ci vuole molto coraggio per rompere degli schemi conosciuti, per questo c’è bisogno di una rete sociale e culturale forte intorno che permetta di osare, di fare la differenza con il proprio esempio. Ci sono segnali positivi, li vedo anche nella mia piccola città di provincia. Nascono reti di professioniste, ci sono associazioni di donne e per le donne molto attive sul territorio con cui collaboro molto spesso, ci sono gruppi femministi. Qualcosa si muove.
Sei laureata in lettere, ma la musica è diventata il tuo lavoro. Molto spesso accade che i percorsi di studi di una persona non riflettano poi il lavoro che la stessa si trova a svolgere per mille motivi; o ancora, a volte i ragazzi studiando si rendono conto che quello su cui si stanno concentrando non riflette le aspettative che avevano o perde nel tempo di interesse o tra le mani si trovano una passione che si rendono conto poter diventare un’occupazione, ma per diverse ragioni manca loro il coraggio o la forza di interrompere il cammino intrapreso. Scrivi nella tua biografia che a Lettere ti sei iscritta per amore, qual è stato il tuo percorso da quando hai scoperto la tua voce? Che consigli hai per chi si accorge di aver intrapreso un percorso che non lo rispecchio appieno e vorrebbe cambiare?
Ho preso una laurea in Lettere per amore della materia. Avevo rinunciato al mio grande desiderio di fare il liceo classico e quando ho potuto scegliere più liberamente ho scelto di studiare quello che amavo, al di là delle possibili opportunità successive. La musica mi faceva più paura; mi costringeva a fare i conti con la mia paura di sbagliare e con la mia paura di riuscire allo stesso tempo. È stata una lunga lotta con me stessa. Lo è tuttora. La scoperta della voce è andata di pari passo con la mia evoluzione: per superare certe difficoltà fisiche dovevo per forza affrontare aspetti di me, guardarmi, comprendermi, accettarmi e poi proseguire. È una faticaccia, ma è impagabile ciò che si riceve.
Il mio consiglio è racchiuso ed espresso meglio da una frase attribuita a Goethe che rileggo sempre ed è: «Nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Qualunque cosa tu possa fare o sognare di fare, incominciala! L’audacia ha in sé genio, potere e magia».
Suggerimento da insegnante di canto per chi si reputa uno stonato naturale: ci sono esercizi per migliorare la situazione?
Assolutamente sì! Ma ognuno è “stonato” a proprio modo, dipende da come si ascolta, da come vive l’emissione del suono. Ci vuole solo un altro paio di orecchie attente e un grande lavoro sulla percezione. Spesso chi fatica a intonare riconosce le differenze fra i suoni e non riesce a riprodurle per varie ragioni: alcuni si sentono fisicamente scomodi e non vogliono legittimamente forzare i propri limiti fisici. Sta all’insegnante guidare verso la comodità e permettere all’allievo di sentirsi libero di muoversi nella sua estensione. Altri invece non riconoscono facilmente il parametro dell’altezza tonale e questi sono i casi più stimolanti perché si tratta di cercare di immedesimarsi nell’altro, capire come fare a risvegliare la sua percezione di sé, insegnare a dare un nome alle cose che l’orecchio riceve. Siamo tutti portati alla musica, il nostro cervello si attiva con l’ascolto e ancora di più con la pratica di essa, come per nessuna altra attività. Le neuroscienze si stanno interessando alla musica ormai da tempo ed è sensazionale sapere il potere enorme che ha su di noi, nessuno escluso. Certo l’educazione musicale fin dalla primissima infanzia è fondamentale e dovrebbe rientrare seriamente nei programmi educativi scolastici. Ma si può fare anche da adulti, giuro.
Sarai in tour nei prossimi mesi? Potremo ascoltare la tua voce anche in Italia? Quali sono le tappe ancora non previste che invece ti piacerebbe fare?
Stiamo lavorando per fare un tour di presentazione del disco nelle principali città italiane e a breve renderemo note le date. Mi auguro di riuscire a suonare a Londra e a Parigi, sarebbe una grande soddisfazione.
Marella, grazie per il tuo tempo.
Grazie infinite per la vostra attenzione, ha un grande valore per me. A presto!