Cantante, ukulelista, suonatrice di washboard ed insegnante c/o la Scuola di Musica Blues e Roots di Milano: Veronica Sbergia è un’artista dalla spiccata versatilità vocale del panorama blues e jazz con una carriera ventennale caratterizzata da successi e riconoscimenti internazionali nonché collaborazioni con musicisti dei più vari generi musicali spaziando dal pop al folk passando per il folk.
“Bawdy Black Pearls” è il suo nuovo disco, un lavoro in cui Veronica grazie a un repertorio che va dagli anni Venti ai Quaranta, parla di sesso e sessualità, droghe, tradimenti, prostituzione, omosessualità e problematiche sociali, patriarcato e libertà di autodeterminazione contro le convenzioni borghesi e razziali dell’epoca.
Con lei abbiamo ripercorso la sua carriera, parlato dell’album, di essere donne e di empowerment.
Veronica, vent’anni di carriera: se potessi scegliere tre aggettivi per definire la tua musica e il tuo percorso musicale quali sceglieresti? Cosa rimproveri e cosa invidi alla Veronica di vent’anni fa?
Onesta, solida e ostinata. Descriverei così sia la musica che il mio percorso musicale. L’onestà è alla base di quello che sento e che sono e per cantare il Blues non puoi mentire. Solidità è il concetto che associo alla musica suonata dagli strumenti veri, ogni suono è prodotto da un oggetto reale, tangibile, solido appunto. E infine l’ostinazione che ho sempre avuto nell’intraprendere un percorso che sapevo non mi avrebbe mai portato al grande pubblico. Ostinazione nel non scendere a compromessi e a rispettare me stessa e i miei desideri. Alla Veronica di vent’anni fa non rimprovero nulla perché è la stessa che mi ha messo su questa strada forse ne invidio l’innocenza. Ma non ne sono del tutto sicura!
Essere donna è stato mai un problema per te?
Più che un problema lo definirei uno svantaggio, e in questo senso sì, lo è stato. Ho dovuto lavorare il doppio, forse il triplo per farmi valere rispetto ad un collega uomo. Il mondo musicale è ancora oggi altamente patriarcale e male-oriented, siamo spesso soggette a giudizi che poco o nulla hanno a che fare con il nostro operato. E ovviamente ne paghiamo il prezzo in termini di carriera.
Il tuo nuovo disco parla di donne, sessualità, problemi, tradimenti e di libertà di essere se stesse: qual è stata la sua genesi? Ed il brano che cristallizza maggiormente il tuo lavoro?
Da molto tempo desideravo dedicare un disco alle donne da cui ho imparato a cantare il Blues, la genesi è stata lunga ma il tempo mi ha permesso di curare i dettagli e metterci tutta l’attenzione e la dedizione che si riservano alle cose alle quali si tiene di più. Ho cercato di creare un ventaglio di sfumature che rendessero l’idea di quello che si ascoltava e si creava all’epoca, quindi ogni brano ha una sua importanza per me. Un brano però va citato per la modernità del messaggio che trasmette ed è B.D. WOMEN’S BLUES, scritto e inciso da Lucille Bogan nel 1935. “B.D.” sta per “bull dyke” o “bull dagger”, entrambi sono termini gergali tipicamente usati per riferirsi a donne afroamericane lesbiche e mascoline. La Bogan scrive del suo desiderio di vivere in un’epoca in cui le donne lesbiche non sentano la pressione sociale di dover sposare un uomo e possano vivere serenamente la loro condizione. La trovo un’affermazione incredibilmente progressista per l’epoca!
Com’è nata la collaborazione con Roberta Maddalena Bireau e l’idea per la grafica del disco?
Seguo Roberta da molti anni e ne ho sempre ammirato il talento. Amo il suo lavoro e il suo modo di trasmettere concetti importanti attraverso l’arte. Per la copertina del disco volevo che fosse una donna a vestire le mie “Bawdy Black Pearls” e ho pensato a lei immediatamente. Ci siamo confrontate molto e alla fine è nata questa meravigliosa illustrazione che mi ha colpito al cuore dal primo secondo che l’ho vista: una bocca spalancata da cui emerge una figura femminile che sorregge una chitarra. Una donna, che rappresenta tutte le donne, che emerge dalle sue viscere ed è finalmente libera di esprimersi.
In un periodo storico in cui parlare di sorellanza, empowerment e femminismo va di moda, in che modo parlarne in modo genuino e veritiero? Come un’/un artista può essere di supporto (e conforto) su questi temi?
Credo che il punto sia proprio quello di andare alla fonte di questa narrazione, di capire da dove parte e come si è evoluta e si sta evolvendo. Per me è sempre stato esaltante scoprire che la musica che amo e che ha mediamente un secolo di età, è ancora estremamente moderna e parla a tutte le generazioni e classi sociali. Diffondere questi concetti è imperativo e approfondirne il contesto in cui sono nati è doveroso, solo così cessano di essere slogan senza un vero contenuto. Il ruolo dell’artista è senz’altro quello di promuovere questa conoscenza, di mettere a nudo i temi, la responsabilità dell’artista è di sfruttare la propria capacità comunicativa per arrivare a più persone possibili e stimolare un pensiero, un dibattito e un’azione.