Articolo di Alice Picco
“Non potevamo consigliarvi neppure quando sbagliavate completamente la vostra politica! Eppure vi abbiamo sentito dire per le strade, apertamente: «Non c’è più un vero uomo, in questo paese» e un altro ribatteva: «No, neanche uno». E allora noi donne, una buona volta, abbiamo deciso tutte assieme di salvare la Grecia. Che si doveva aspettare? Se ora volete stare a sentire le cose ragionevoli che diciamo, e se a vostra volta ve ne state zitti, come facevamo noi, saremo in grado di aggiustare la vostra situazione.”
Così parla Lisistrata, letteralmente “colei che distrugge gli eserciti”, la protagonista dell’omonima tragedia di Aristofane rappresentata alle Dionisie del 411 a.C., la cui trama è a grandi linee la seguente: l’ateniese Lisistrata, stanca delle continue assenze del marito a causa della guerra, convince le donne di tutta la Grecia, dopo averle convocate in assemblea, a rifiutarsi di fare l’amore con i propri mariti fino a quando essi non avranno concluso la pace. Come ulteriore mezzo di persuasione, con le sue truppe femminili occupa l’Acropoli e sequestra il tesoro dello stato, indispensabile per finanziare la guerra. Al contrasto tra i due semicori (uno composto dai vecchi di Atene e l’altro dalle donne) segue il contrasto individuale tra Lisistrata e il funzionario statale giunto a prelevare il denaro per la guerra. Lisistrata trionfa e il blocco dell’Acropoli continua, anche se molte donne iniziano a sentire il peso della situazione; ma più ancora soffrono gli uomini, esasperati dall’astinenza forzata. Da Sparta arriva un araldo per discutere finalmente la pace: davanti alle due delegazioni, quella ateniese e quella spartana, Lisistrata tiene un eloquente discorso, nel quale ricorda la matrice comune a tutte le stirpi greche. Un festoso corteo finale esprime poi la gioia per la pace ritrovata.
Aristofane non era certamente nuovo a commedie dai toni licenziosi, basti pensare ad una delle sue opere precedenti intitolata Tesmoforiazuse, ma con la Lisistrata è sicuramente più alta la serietà dell’impegno politico ed etico. Quando questa commedia appare in scena per la prima volta, la guerra del Peloponneso dura ormai da vent’anni: tutta la Grecia è insanguinata e le donne continuano a subirne le conseguenze più pesanti.
La prospettiva con cui il commediografo guarda alla guerra non è più quella delle opere precedenti: ormai non è più solamente questione di dare voce alle rivendicazioni di chi subisce i danni del conflitto. Ormai non viene più rappresentata solo Atene, ma tutta la Grecia, e si avanza una proposta di conciliazione con gli spartani, eterni nemici di Atene.
Ciò che sorprende nello svolgimento della Lisistrata è la compattezza dell’azione e l’equilibrio che lega la coesistenza di una tematica seria e di uno svolgimento a dir poco scurrile. Infatti, le questioni sessuali vengono trattate in questa commedia sempre in modo esplicito e diretto, secondo il costume che nelle falloforie includeva anche l’oscenità nella sfera sacrale. Basti solo pensare ai moltissimi riferimenti agli organi genitali sia maschili che femminili o all’atto sessuale stesso con termini decisamente sopra le righe.
Giusto per fare un esempio (e sottolineo il fatto che ho utilizzato la traduzione di un grandissimo studioso di letteratura greca, Guido Paduano): quando Lisistrata si rivolge alle compagne spiegando loro quale sia il suo piano per fermare la guerra dice espressamente che “dobbiamo rinunciare al cazzo”.
Nel corso di tutta la commedia questo linguaggio scurrile viene utilizzato sia dalle donne sia dagli uomini, ma l’intento è ben diverso. Le donne, infatti, consapevoli della forza insita nel sesso, utilizzano la ragione per fare del proprio corpo uno strumento di ricatto: si rivelano così più abili dei propri uomini, dal momento che la loro resistenza è difficile ma vincente, poiché è volta al fine superiore della pace. In particolar modo, Lisistrata e le sue compagne hanno un’immagine tutt’altro che limitata alla passività sessuale, infatti individuano una definizione del rapporto sessuale fondata sulla presenza attiva della donna, al punto che secondo loro un cedimento forzato all’approccio maschile non comprometterebbe l’efficacia del piano.
Gli uomini, invece, non sono capaci di comprendere le motivazioni che spingono le loro donne a comportarsi in questo modo, né capiscono i meccanismi psicologici che si attuano quando le donne scelgono la resistenza nonostante il forte desiderio.
All’inizio della commedia, quando cominciano ad arrivare le donne convocate in assemblea da Lisistrata, sono le donne stesse a sminuirsi e a non credere di poter fare qualcosa di concreto per la patria. Cleonice infatti dice: “Ma cosa vuoi che possano fare di grande o di ragionevole le donne? Stiamo sedute a farci belle e a truccarci, e non pensiamo che alle tuniche, alle scarpine, alle vesti cimberiche che cascano a pennello”. Tuttavia, è sempre bene ricordarsi che stiamo parlando di una commedia, un genere che utilizza e rende iperbolica la realtà per suscitare il riso in prima istanza, e solo in seguito la riflessione, quindi è perfettamente normale che siano proprio le donne a prendersi in giro e ad assumersi il peso degli stereotipi che le riguardano.
Anzi, Aristofane cita proprio i luoghi comuni sulle donne per poi smentirli poco dopo, quando con l’occupazione dell’Acropoli le donne rappresentano la necessità di far sentire la propria voce e lottare contro l’ottusità e la sordità maschile, che di fatto sono anche quelle dei destinatari dell’opera.
Ovviamente Aristofane non può essere considerato un femminista e siamo lontani dalle lotte per l’emancipazione della donna: i personaggi che rappresenta sono grotteschi e creati per provocare e stimolare l’amor proprio degli uomini. Tuttavia, resta comunque vero il fatto che il nucleo centrale della commedia è proprio l’emarginazione del genere femminile dalla società e la polarizzazione tra mondo maschile, legato all’aggressività che si riversa nell’attività bellica, e mondo femminile, vincolato invece a concetti come la pace e la famiglia.
Certamente, però, Lisistrata può essere letta in chiave moderna, se messa in relazione con i movimenti femministi del XX secolo. Infatti, trattando il tema dell’emarginazione femminile, Aristofane mostra come non solo le ateniesi, ma tutte le donne greche collaborano e lavorano insieme, una volta che hanno preso coscienza della loro possibilità di imporre la propria volontà agli uomini.
Anche se credere nella parità dei diritti non era certo un’urgenza all’interno della società greca del V secolo a.C., è però importante sottolineare come nell’opera di Aristofane sia contenuta una profonda riflessione critica sulla condizione della donna nell’Atene del tempo: una donna che conduceva una vita sociale fortemente limitata, una donna la cui funzione era prettamente legata alla procreazione e alle faccende domestiche.
Una donna che, però, adottando una strategia sicuramente poco ortodossa ma efficace, riesce a riportare la pace in tutta la Grecia.