Articolo di Benedetta Geddo
Il 5 giugno ha fatto il suo debutto su Netflix Sense8, ultimo lavoro nato dalle geniali menti delle sorelle Wachowski e J. Michael Straczynski, in preparazione già da un bel po’ e sicuramente molto aspettato dalla comunità di amanti dello sci-fi. In pieno stile Netflix, la stagione è stata rilasciata da subito intera, con tutti i dodici episodi disponibili per la visione. In pieno stile mio, l’ho guardata tutta in meno di quarantott’ore (problema? Io? No. Assolutamente no), e adesso ancora non riesco a capacitarmi di quanto sia stato incredibile quello che ho visto. Vi capita mai? Uscire dalla sala del cinema, chiudere l’ultima pagina di un libro, spegnere il computer e restare un attimo imbambolati a fissare il vuoto e a pensare, «Questa cosa mi ha cambiato la vita». O almeno una minima parte di essa, il che non è mai poco. Sense8 è una di queste – girato magistralmente, con scene mozzafiato e dialoghi profondi. Certo, forse è un po’ lento, come ritmo, ma solo perché siamo abituati a prodotti che sono più orientati verso la trama che non verso i personaggi – e che personaggi. Ecco, sono gli otto protagonisti di cui vi voglio parlare, perché sono quello che rende Sense8 uno show incredibilmente importante non solo nel panorama sci-fi, ma anche nella televisione moderna.
Partiamo col dire due parole sulla trama: la storia si concentra attorno a otto persone, completi sconosciuti che però condividono due date. La data di nascita, e la data della loro seconda nascita come «sensates» (da cui il gioco di parole e numeri del titolo), ossia individui connessi ad altri in un cluster di persone che può condividere pensieri, abilità, lingua, tutto. Queste otto persone, provenienti da otto parti del mondo distanti anche chilometri e chilometri l’una dall’altra, diventano quasi una sola persona, come recita il titolo della 1×02, «I am also a we». E la prima stagione della serie è il loro viaggio verso l’accettazione di questo nuovo, sconvolgente cambiamento – con l’aggiunta di un accenno di trama orizzontale che dovrebbe essere sviluppata nelle quattro stagioni successive previste, ma di cui non vi parlerò, per evitare spoiler.
Fin qui, tutto normale. Insomma, sono premesse abbastanza comuni per un telefilm di stampo fantascientifico, no? Quello che fa pendere il piatto della bilancia in favore di Sense8 sono le sue ideatrici, Lily e Lana Wachowski, che non fanno mai niente di banale. In una qualsiasi altra serie, queste otto persone sarebbero state tutte in America, tutte potenzialmente bianche, con magari uno o due personaggi di colore giusto per poter evitare le critiche, tutti potenzialmente etero. Sì, stiamo tutti guardando te, The Messengers. Ma del resto, anche se la CW è l’emittente che ci ha portato coppie come la Clexa in The 100 e la Nyssara in Arrow, diciamo che la representation non è il suo forte, mentre per Netflix è tutta un’altra storia.
Su Netflix abbiamo Orange Is The New Black, abbiamo avuto l’incredibile Daredevil, Marco Polo, anche, e quindi non stupisce che Sense8 abbia visto la luce proprio qui. Perché i suoi personaggi sono uno più unico dell’altro, e tutti ugualmente importanti, tutti fin troppo ignorati nelle serie tv più famose, e quindi bisognosi di avere una voce, di farsi vedere e amare.
- Nomi Marks, il cervello
Nomi Marks vive a San Francisco, è una brillante hacker, ha una fantastica relazione con una ragazza di colore chiamata Amanita – Neets per gli amici e interpretata da Freema Agyeman, aka Martha da Doctor Who -, e alla nascita si chiamava Michael. Nomi è transessuale, e la sua storia, di sicuro molto cara ad entrambe le Wachowski, aiuta tantissimo a esplorare sempre di più una parte del mondo LGBT ancora poco conosciuta; la vita di Nomi è stata tutt’altro che facile, nata in una famiglia ricca e tipicamente WASP che non si è mai sforzata di capirla, vittima di bullismo da piccola e di indifferenza e offese da parte della madre dopo la transizione (in un’occasione, che terremo vaga because of spoilers, le dice, «You were Michael when you came out of me and you’ll be Michael until they put me in my grave»), e di un certo tipo di discriminazione anche all’interno della stessa comunità gay di San Francisco, dove viene vista solo come «l’ennesimo uomo che cerca di mettere il naso in faccende che non lo riguardano» a causa della sua fervente attività di attivista online.
Ma Nomi è una persona con un carattere e una forza morale incrollabili, e nel corso della serie vediamo che non c’è davvero niente che riesca ad abbatterla, né le discriminazioni né la scoperta di avere sette altre personalità nella sua testa sparse in giro per il mondo. Certo, forse buona parte di questa forza viene anche da Neets, fantastico personaggio secondario, che ama e supporta Nomi in tutti i modi, difendendola dal mondo e da chiunque voglia farle del male. Meravigliosa è anche la mamma di Neets, che supporta la figlia e la sua fidanzata in ogni modo, creando un bellissimo confronto con la madre di Nomi, e lasciando lo spettatore a chiedersi, «ma io, a quale delle due vorrei assomigliare?». Insomma, la storia di Nomi è una storia di lotta contro tutto quello che ci impedisce di essere noi stessi, in ogni ambito della nostra vita. Lei stessa lo spiega in un bellissimo e commovente monologo nella 1×02, alla vigilia dei Gay Pride di San Francisco, in cui racconta di come la madre, fanatica degli insegnamenti di Tommaso d’Aquino, le abbia sempre detto che l’orgoglio è il peggiore dei vizi. Nomi ha imparato che non è esattamente così, che per lei l’odio è molto più tremendo, mentre l’orgoglio è un sentimento da nutrire e conservare. «And today, we march with pride. So screw you, Thomas Aquinas», conclude, e come Neets anche noi ci sentiamo di esplodere in un «Hell yeah!».
E non dimentichiamoci che l’attrice che interpreta Nomi, Jamie Clayton, è davvero membro della comunità transessuale, esattamente come Laverne Cox di OITNB, cosa che non fa mai male, quando ancora i ruoli per cui vengono selezionate persone transessuali sono così pochi.
- Lito Rodriguez, l’attore
Lito è un attore messicano nel pieno della sua carriera, sempre impegnato con ruoli da protagonista, da eroe oscuro, affascinante, e ovviamente è l’idolo di praticamente chiunque dentro e fuori Città del Messico. Bei vestiti, macchine costose, e una bellissima donna al braccio, se non fosse che— a casa, ad aspettarlo dopo ogni premiere, c’è Hernando, il suo fidanzato, del quale Lito non riesce a parlare alla stampa per paura di perdere ogni possibilità di portare avanti la sua carriera. «You cannot be an actor that does the kind of roles I do and be gay», dice Lito, riportando avanti l’idea sempre presente di come in certi ambienti semplicemente i gay non ci possano essere. Nel calcio, per esempio, o nel cinema – dove se non in rarissimi casi un attore gay ottiene solo un determinato tipo di parti. La storia di Lito e Hernando però è appassionata e sincera come quella di Nomi e Neets, con il suo drama, ovviamente, e un’aggiunta interessante: Daniela, la finta ragazza di Lito, che dopo aver scoperto il motivo per cui ancora non è riuscita a chiudersi in camera da letto con lui non corre dalla stampa a spifferare la notizia, ma accetta di continuare ad essere la «barba» e si trasferisce a casa dei due uomini, iniziando una relazione di profonda amicizia che a tratti sfocia nel poliamore, di cui si sente ancora davvero poco parlare nell’ambito dell’intrattenimento di massa.
- Capheus, il cuore
Capheus è forse uno dei personaggi meglio riusciti dell’intero cast di sensates: un ragazzo di Nairobi che riesce a malapena a sopravvivere con i soldi che guadagna guidando una scassata corriera, il Van Damn, tra il centro della capitale keniana e le baraccopoli di periferia. La madre di Capheus, alla quale è incredibilmente legato, visto che la donna l’ha protetto quando era bambino dalle lotte tribali in cui era invischiato il padre rivoluzionando tutta la sua vita, è malata di AIDS, e Capheus è disposto a tutto per ottenere le medicine che servirebbero a salvarle la vita. La particolarità della storia di Capheus, io credo, è prima di tutto il fatto che sia effettivamente ambientata in Africa, e che quindi abbia costanti rimandi alla povertà e alle sanguinosissime faide tra bande locali; e poi che il protagonista sia una persona incredibilmente buona, sempre pronta a guardare alla vita cogliendone solo gli aspetti positivi. È questo a renderlo il cuore del gruppo degli otto, questo suo sorriso sempre presente, anche di fronte a minacce e scelte difficili, la sua infinita gratitudine per le meraviglie del mondo che riesce a vedere grazie alla sua connessione con gli altri.
- Sun, la forza
Interpretata da Bae Doona, comparsa già in altri film delle Wachowski – Cloud Atlas e Jupiter Ascending -, Sun Bak è una donna d’affari di Seoul, che occupa una posizione dirigenziale nell’azienda di famiglia, guidata dal padre e dal fratello minore. Silenziosa e seria, con un senso del dovere fortemente radicato nel suo essere, Sun nasconde una profonda rabbia latente, che sfoga allenandosi nelle arti marziali e combattendo – e vincendo – nelle arene sotterranee della città. La cosa interessante è non solo l’incredibile forza morale di Sun di fronte alle difficoltà che deve affrontare, ma anche il suo complicato rapporto con la famiglia: la madre, morta quando Sun era appena una bambina, le ha lasciato il compito di proteggere il fratello, mentre il padre l’ha sempre ignorata in favore del figlio che considera l’erede del suo impero finanziario. Non capita spesso che una donna sia rappresentata come priva di affetto per le relazioni famigliari più vicine, cosa che è un po’ considerata la prerogativa dei personaggi femminili, mentre i tratti di Sun sembrano essere molto più affini a un personaggio maschile – forza fisica e introversione prima di tutti. È inoltre interessante notare che l’unico personaggio capace di cimentarsi in salti rotanti e pugni che sfondano il legno sia una donna, e non bianca.
- Kala, la fede
Kala è una scienziata farmaceutica, vive a Mumbai e sta per sposarsi con l’erede della compagnia per cui lavora. L’unico dettaglio è che lei non è innamorata di lui, e sta facendo tutto questo solo per compiacere la sua famiglia. La storia di Kala è interessante perché dimostra come una donna possa essere femminile e allo stesso tempo forte e intelligente tanto quanto una donna più tipicamente badass – grazie alle sue conoscenze in chimica, Kala riuscirà a salvare la pelle in più di un’occasione ai suoi compagni sensates. È anche l’unica a praticare esplicitamente una religione, l’Induismo, con una particolare devozione per il dio Ganesha, e questo suo profondo spiritualismo non contrasta con la sua vocazione da scienziata, anzi: Kala è l’unica che riesce a conciliare queste due forze da sempre in contrasto in una visione del mondo equilibrata e pacifica: per lei, spiega citando Galileo, sono solo due linguaggi differenti che descrivono lo stesso miracolo, la vita.
Ci sono anche Wolfgang, ladro di Berlino con una quantità non indifferente di traumi dovuti al padre violento, che vive assieme all’amico d’infanzia Felix per il quale farebbe di tutto; Will, poliziotto di Chicago che si trova nel bel mezzo del conflitto tra la propria moralità e la guerra tra bande che non riposa mai nel ghetto della città; e Riley, DJ a Londra, islandese di nascita, che si porta dietro un orribile avvenimento passato col quale dovrà riuscire a scendere a termini.
Ognuno di questi personaggi ha il suo caleidoscopio di emozioni e problemi, e nonostante in alcuni casi cadano un po’ nei cliché (la donna indiana deve per forza essere nel mezzo di un matrimonio, per esempio), è ammirabile sia lo sforzo nel produrre un cast così vario, quando la norma è ben altra, sia il fatto che questi personaggi siano abbastanza per portare avanti dodici puntate. Il focus viene messo un po’ di più su Will e Riley, l’eroe e l’eroina più tipici, ma tutto il cluster contribuisce alla risoluzione della trama, e tutti sono importanti esattamente come gli altri – del resto, sono tutti parte di un’unica entità.
È vero che la prima puntata può essere un’oretta un po’ pesante, dal momento che deve introdurre queste otto persone e gli otto contesti completamente diversi in cui vivono, ma Sense8 merita davvero una possibilità: non glissa su faccende importanti come povertà, omofobia, transfobia, politica, identità e libertà individuali, in primo luogo. In secondo luogo, è una storia di culture e mondi diversi, esplorati davvero nel rispetto delle loro tradizioni, e non messi lì per «fare colore», come invece spesso succede. E infine, è una storia di coraggio, una storia che racconta di come si possa riuscire a trovare sé stessi negli altri, e di come le persone siano in grado di aiutarsi le une con le altre senza per forza fare domande o trovare un tornaconto immediato (come anche aveva fatto il film inglese Pride, di cui abbiamo parlato anche in un nostro articolo). Il livello di vicinanza umana ed emotiva che porta sullo schermo è incredibile, e io credo anche profondamente toccante. Senza contare lo straordinario livello tecnico di regia e montaggio – ogni scena in cui due dei sensates interagiscono è una piccola perla di continui cambi di ambientazione, per non parlare delle quattro o cinque incredibili scene corali, in cui tutti i membri del cluster si ritrovano dando vita a uno spettacolo diviso e allo stesso tempo unico.
Quindi, date una possibilità a Sense8. È caotico, e su questo non discuto, ma in un certo senso anche la vita lo è. Se ben ci pensiamo, lo show racconta esattamente il modo in cui noi percepiamo il mondo che ci circonda: un suono qui, un’immagine lì, tutto mischiato insieme, e il nostro cervello sceglie le informazioni più utili per fornirci un senso a quello che vediamo. La stessa cosa avviene per Sense8, seguendo l’ambizioso e sofisticato genio creatore dei suoi autori, portandoci storie che sono così inusuali per la televisione attuale che perdersele sarebbe davvero un peccato. E poi, diciamocelo. Qualunque show abbia un attore e un creatore che pensano questo dei personaggi:
merita una possibilità, o no? Se pensate di sì, trovate tutta la prima stagione già online, e il trailer ufficiale (più un paio di quelli per ogni personaggio) qui sotto, per farvi un’idea dell’atmosfera. E quindi, buona visione.
La darei anche a Torchwood una possibilità del genere. Da vedere assolutamente, una serie dove si parla parecchio di bisessualità
Fratelli Wachoswki non si può leggere su questo sito, sono le sorelle Wachoswki
L’articolo è stato scritto nel 2015, quando una delle due sorelle non aveva ancora fatto la transizione. In ogni caso, abbiamo appena aggiornato l’articolo 🙂