Lo Specchio Concavo è una mostra collettiva curata da Sara Benaglia e Mauro Zanchi che raccoglie opere di quaranta artiste provenienti da nazioni differenti e che operano o hanno operato in momenti distinti dagli anni Cinquanta ad oggi.
Gli spazi che ospitano la mostra dal 22 ottobre al 27 novembre 2016, sono quelli di BACO – acronimo di Base Arte Contemporanea Odierna – e del Museo ALT, ex industria di cemento ad Alzano Lombardo. BACO è un gruppo di lavoro creato da Mauro Zanchi e Stefano Raimondi nel 2011 e che oggi, dopo un primo periodo in cui mostre di arte contemporanea erano esposte presso i matronei della Basilica di Santa Maria Maggiore, ha trovato casa presso la Domus Magna, negli spazi dell’ex-conservatorio musicale in Città Alta.
Presenti ne Lo Specchio Concavo, con lavori fotografici, video e di cinema sperimentale, sono la cipriota Haris Epaminonda, Vanessa Billy e Marina Abramovič.
Yael Bartana, Angela Bulloch, Letizia Battaglia con uno scatto al magistrato Roberto Scarpinato, simbolo della lotta contro la mafia.
Fatma Bucak, Sophie Calle, Barbara Bloom e la sua rappresentazione di Vladimir Vladimirovič Nabokov in forma di piccola collezione di farfalle: l’autore di Lolita ebbe infatti una notevole carriera di entomologo al punto di essere incaricato dall’Università di Harvard di occuparsi della collezione di farfalle al Museo di Zoologia Comparata dell’Università.
Vanessa Beecroft, Dana Hoey, la milanese Alessandra Spranzi.
Shannon Ebner, Catherine Opie, Joan Jonas con Mirror Performance.
Cindy Sherman, Shirin Neshat, Kiki Smith con un bouquet di fiori che è meditazione sulla vita e la spiritualità.
Rä Di Martino, Marinella Pirelli, la polacca Joanna Malinowska.
Eva Marisaldi, Kimsooja, Emily Jacir con una coppia di scatti Ramallah, 22 April 2002.
Nan Goldin, Barbara Hammer, Jemima Stehli, che riprendere l’attivismo di genere delle Guerrila Girls.
Sarah Lucas, Tracey Emin, la romana Elisabetta Benassi.
Georgina Starr, Zanele Muholi, Anna Maria Maiolino con la rappresentazione dei limiti del linguaggio verbale.
Barbara Kruger, Ketty La Rocca, Zoe Leonard con uno scatto, eseguito nel quartiere newyorchese in cui Leonard vive, ad un negozio che offre servizi quali il pagamento di tasse e divorzio rapido per la popolazione ispanica.
Stefania Galegati, Bettina Von Zwel, Rosemarie Trockel insieme ad una doppia felicità nel mirino.
E Francesca Woodman, con uno scatto che fa parte della serie Untitled, 1979-80.
Sara e Mauro ci hanno spiegato con passione ogni singola opera esposta e raccontato qualcosa di più a proposito di Lo Specchio Concavo.
Da quale idea nasce la mostra?
Sara: Lo Specchio Concavo nasce dalla lettura di un saggio di Anne Marie Sauzeau, compagna di Alighiero Boetti, intitolato Lo Specchio Ardente e pubblicato su DATA n.16/17, luglio/agosto 1975. Lo scritto, appunti sul concetto di “altra creatività” di segno (o genere?) femminile, riprendeva Speculum di Luce Irigary ed in particolare l’idea che se la donna è considerata lo specchio eterno dell’uomo, allora, bisogna rompere con un certo modo di specula(rizza)zione, pur non rinunciando a qualsiasi specchio. Al di là della superficie speculare che sostiene il discorso, è infatti interessante pensare che uno specchio concavo concentra la luce del sole diventando uno specchio ustorio, il quale convogliando i raggi del sole è anche in grado di generare fuoco e di bruciare quindi i disastri del desiderio, mortificandolo da tutti in punti di vista.
Il femminismo è quindi una componente essenziale nella costruzione della mostra e nella sua fruizione, perché aiuta a fare emergere le implicazioni della caduta in un destino sessuato, cioè femminile, di una vita d’artista. Questo non implica che tutte le artiste presenti in mostra si dichiarino espressamente femministe, anche se in tutti i casi la rottura con i codici sociali è molto profonda.
Una mostra femminile, ma non del tutto femminista.
Sara: Una sorta di back-lash conservativo dei media negli anni Ottanta ha dipinto lo strumento di critica femminista come ridicolo e superato. Questo implica il rifiuto del femminismo da parte delle generazioni di donne non coinvolte direttamente nei movimenti del Femminismo Radicale e in molti casi porta al rifiuto totale da parte delle nuove generazioni di donne. Questo è causato appunto da una mancanza di informazioni e da una presunzione di auto-sufficienza del soggetto. Alcune artiste non considerano il femminismo necessario per sé e la propria ricerca, anche quando i segni del lavoro vanno esattamente in quella direzione, mentre altre hanno sviluppato un lavoro che prescinde dal femminismo, vedi per esempio Synch Touch (1981) di Barbara Hammer, considerato manifesto del proprio lesbismo.
Potremmo tra l’altro aprire una parentesi sul femminismo e sul fatto che la parità tra uomo e donna non può essere considerata nemmeno oggi superata in quanto di fatto, ancora, non è propriamente raggiunta…
Sara: Ne Lo Specchio Concavo, il 12 Novembre, insieme a Vittoria Broggini abbiamo presentato Indumenti, un documento cinematografico di Marinella Pirelli (1925-2009). Nell’opera Luciano Fabro esegue un calco del seno di Carla Lonzi, figura di riferimento del femminismo radicale italiano e autrice di Autoritratto (1969). Il documento di Marinella Pirelli è datato 1966-67 ed è interessante perché rappresenta Lonzi prima della crisi che la porterà ad abbandonare la sua attività di critica d’arte per il femminismo, ovvero prima del rifiuto di partecipare ai momenti celebrativi della creatività maschile. Lonzi, negli anni Settanta, dopo aver fondato Rivolta Femminile insieme a Carla Accardi, arriverà gradualmente a una posizione di non riconoscimento della possibilità per una donna di praticare in maniera sincera ed onesta l’arte, perché spazio patriarcale.
Lo Specchio Concavo, in cui sono presenti lavori sviluppati tra gli anni Sessanta e oggi, è leggibile come un insieme di dissonanze del pensiero femminile. Il pensiero femminista è uno strumento critico indispensabile per leggere molte opere.
Come avete selezionato le artiste, visto peraltro che il parco di artiste femministe – e non solo – è più ampio di quelle presenti?
Sara: La scelta è stata eseguita cercando di tenere vivi almeno due filoni: uno è quello della critica al linguaggio verbale e visivo (vd. Barbara Hammer, Anna Maria Maiolino, Ketty La Rocca), l’altro vede la crescita nel contemporaneo della radice marxista del femminismo per cui una critica al patriarcato avviene nella cornice di una liberazione sociale mettendo in evidenza il modo in cui lo Stato borghese opera interagendo con forze religiose, con l’apparato giuridico-legale, con i mezzi di comunicazione e con le forze militari (vd. Emily Jacir, Yael Bartana).
Mauro: Ci sono tanti punti di vista, quelli di quaranta artiste, molte declinazioni dello sguardo femminile dentro la realtà e le sue contraddizioni. Partendo dalla suggestione del titolo che abbiamo scelto per la mostra, ci interessa comprendere se l’arte possa avere capacità di chiaroveggenza e se le intuizioni delle artiste abbiano la forza di modificare la realtà e di migliorarla, prevedendo pericoli o indicando nuove vie da percorrere per l’evoluzione del pensiero.
Le opere esposte raffigurano oggetti del quotidiano, corpi nudi, situazioni di vita reale, catturati da sguardi femminili. Come le avete selezionate?
Mauro: Siamo partiti da una prima idea, da una suggestione che interessava a entrambi. Poi abbiamo innescato collegamenti di senso, percorsi di combinazioni tra opere e ricerche delle artiste. In questa azione è stato interessante vedere come sia anche intervenuto il caso, o come gli incontri con determinate persone (collezionisti, galleristi), mostre e letture abbiano portato altre opere o ulteriori suggestioni, che all’inizio non avevamo nemmeno preso in considerazione. Quindi la parte più interessante nell’atto organizzativo è la coazione tra qualcosa che determina l’inizio e qualcosa che prende forma durante il farsi della mostra, e poi tra qualcosa che accade mentre si scrive il testo per il catalogo e ciò che arriva dopo aver visto molte volte le opere allestite negli spazi espositivi: tutte queste componenti portano verso altre direzioni e derive, in direzione di qualcos’altro che si svilupperà nelle mostre o nei progetti successivi.
Qual è l’opera a voi più chiara e che più delle altre rappresenta il senso della mostra
Mauro: Oggi eleggerei quella di Haris Epaminonda. Mi piace l’idea di sospensione che esprime il soggetto della sua polaroid. Mi suggerisce l’idea di una donna in perenne stato di sospensione tra la terra e il cielo, come se stesse lì a speculare sull’idea della distanza tra uno stato e un altro. Sta a metà strada, sospesa a immaginare. Esprime una tensione verso altro, il cielo, l’assoluto, o un superamento, o una sorta di elevazione. Però c’è un rapporto continuo e profondo con la terra, con la Madre Terra e con l’elemento liquido dell’acqua, qui visibili con una porzione triangolare della montagna e una striscia di mare.
Sara: Sync Touch di Barbara Hammer contiene il potenziale di una uscita dal linguaggio verbale e visivo. Mentre il nostro linguaggio non lascia spazio ai sentimenti, la nostra cultura predilige il senso della vista rispetto al senso del tatto. Credo che la ricerca artistica che rompe il visivo in favore di altri sensi lo faccia cercando di affrontare le contraddizioni che Lonzi aveva trovato rigettando l’arte come sistema patriarcale. Trovo interessante il fatto che Barbara Hammer porti all’interno del letto la videocamera per filmare il farsi di una lesbica attraverso il senso del tatto. Questo gesto incarna non solo il desiderio di superare una identità di genere stereotipata, ma anche una tensione verso la creazione di un linguaggio della differenza. L’indagine sul tatto è per me una rottura contro il monopolio dell’arte come visiva e senza il femminismo non si sarebbe raggiunta una posizione tanto radicale.