Articolo di Benedetta Geddo
Le vacanze si avvicinano. I cenoni (o pranzoni, dipende dalla tradizione) pure. Ore e ore a tavola con la propria famiglia vicina e lontana, con tanto cibo e tanto vino come complici, possono portare a discussioni interessanti, che variano da vostro cugino piccolo che sta mettendo i dentini a questioni un po’ più universali. Tutto bello finché sono i nonni, storicamente sempre ai lati opposti dello schieramento politico, a tirarsi mazzate verbali in dialetto, mentre nipoti vari ridacchiano perché ah ah che divertente che folcloristico. Meno bello quando si comincia a parlare di società e costume, e ci si rende conto quanto la propria famiglia possa essere, beh, pessima.
Mi spiego meglio, facendo un esempio personale: la mia famiglia è una normalissima famiglia del Nord, moderatamente numerosa, moderatamente di sinistra, moderatamente religiosa (salvo la sottoscritta, che chiaramente è la figlia del Diavolo perché è da anni e anni che non mette piede in una Chiesa), un pochino più acculturata della media ma non ai livelli degli Angela. E mai, mai in un milione di anni, li descriverei come bigotti, o omofobi o razzisti. Certo, i miei nonni, nati e cresciuti in campagna negli anni Quaranta, forse sono un po’ più chiusi e asserragliati sulle loro posizioni rispetto alle generazioni più giovani, ma è anche comprensibile. Non giusto, quello no, ma a mio parere non imperdonabile. Mettersi a litigare con loro ha senso solo fino a un certo punto. Quando si parla di genitori però la situazione cambia.
Sono dell’opinione che i genitori dovrebbero sforzarsi di capire, perché, di nuovo, non sono stati cresciuti negli anni Quaranta. E perché affrontano il ventunesimo secolo non da ventenni, e va bene, ma neanche da ottantenni. C’è una bella differenza. Quindi quando sono anche loro a tirare fuori il peggio del loro bigottismo, la cosa fa male. A me ha fatto male.
Nello specifico, perché penso di avervi confuso ben bene a questo punto, mi ha ferito in modo indescrivibile mia madre che, durante una chiacchierata sulle grandi avventure newyorchesi di Lapo Elkann alla fine di un classico cenone pre-natalizio risponde al mio “Sì, ma ci importava davvero che fosse in compagnia di una donna trans? Se proprio bisogna scrivere qualcosa scriviamo che era una prostituta e chiudiamo il titolo lì” (come detto anche dalla nostra Irene in un suo Parità in Pillole), con un “Guarda, questo tuo essere sempre politically correct comincia un po’ a farmi innervosire. Devi sempre fare la femminista?”. Ci sono rimasta talmente di sasso che non ho neanche trovato le parole giuste per controbattere a tono.
Mia mamma sa benissimo quanto significhino per me il femminismo, la lotta per la parità, Bossy. Lo sa perché gliel’ho detto, più e più volte, quanto sia grata per il modo in cui questi movimento hanno cambiato il modo in cui guardo il mondo, e quanto fiera io sia di fare la mia (piccolissima, ne sono ben consapevole) parte. Lo sa perché quando parlo mi ascolta, lo sa che perché ha spesso condiviso le mie idee. Spesso, ma non oggi. Oggi ha deciso che “femminista” era una parolaccia, qualcosa che forse dovrei smettere di essere, qualcosa di irritante.
Potrebbe essere che, pur avendo maratonato con me tutte le stagioni di Orange Is The New Black, ancora non riesca a sciogliersi da certe leggi non scritte della società in cui viviamo. Non gliene farei una colpa, ma da una donna come lei mi aspetterei anche una capacità di ascoltare e anche imparare qualcosa di nuovo. O magari, sebbene mi dica che non le importa, questa cosa che io sia sempre perennemente la zitellona della famiglia un po’ la preoccupa, e allora non vuole che io appaia come la femminista cattiva che spaventa gli uomini, manco fossimo in una storia di Jane Austen dove io interpreto una figlia impossibile e lei la madre alla disperata ricerca di un “young man in possession of a good fortune“. Potrebbe essere che semplicemente non ha pensato troppo a quello che le usciva dalla bocca, in una sera di fine settimana con tutta la stanchezza di cinque giorni di lavoro sulle spalle. Non lo escludo. Ma quel “Devi sempre fare la femminista?” mi ha investita con la violenza di un cingolato, come quando diceva “Non trovi che quella maglia sia un po’ strettina?” e la me quattordicenne correva a cambiarsi.
Certo, oggi non butterei all’aria tutto l’armadio per trovare qualcosa che lei approvi. Così come so benissimo che sì, essere politically correct in alcune situazioni è importante, e che io continuerò a esserlo. Sono cresciuta, sono più sicura. Ma è anche vero che continuerò a restarci male per questa sua ultima uscita: mi tornerà in mente tra due mesi, tra un anno, tra cinque, e sentirò di nuovo il peso della consapevolezza che non siamo sulla stessa lunghezza d’onda, non su tutto, non su questioni che mi stanno a cuore.
Allo stesso tempo, so che mia madre non potrà mai essere una di quelle persone che urlano “gli omosessuali sono tutti peccatori viva la terapia di conversione“, e che non è cattiva, anzi. Io e mia mamma abbiamo e continueremo ad avere un rapporto splendido. Abbiamo sempre parlato di tutto e con passione, dai massimi sistemi fino alle teorie sui prossimi film della saga di Animali Fantastici. È stata lei a passarmi l’amore per l’inglese che ha scolpito la mia vita, lei a leggermi per la prima volta Lo Hobbit, lei a portarmi a vedere Il Lago dei Cigni a teatro, lei a insegnarmi la tecnica perfetta per far stare sei giorni di vestiti in una valigia di dimensioni bagaglio a mano. La considero una donna eccezionale. Fin da quando mi ricordo ho sempre sperato di diventare come lei. Oggi mi ritrovo però a dover dire che sì, spero sempre di riuscire ad assomigliarle, salvo in certe cose.
Penso che sia normale rendersi conto che i propri genitori non sono quegli adulti perfetti e infallibili che ci immaginavamo (o almeno, che io mi immaginavo) da bambini. Sono umani. Hanno i loro difetti. Quindi forse sta qui il messaggio di questo articolo che alla fine articolo non era (more like un blob tra sfogo e riflessione e aiuto sto crescendo panico): non cedere, non per le cose in cui crediamo. Non cedere, anche quando non tutte le persone più care e importanti sono d’accordo con te.
E magari, il giorno dopo, sedersi al tavolo della colazione insieme e iniziare con “Ti andrebbe di sentire perché io penso che invece devo proprio farla sempre, la femminista?”. Un passo alla volta. Perché alla fine siamo tutte e due dell’opinione che Fitzwilliam Darcy è bello e tenebroso finché si vuole e possiede metà del Derbyshire, ma Elizabeth Bennet è una donna splendida, intelligente e capace anche da sola.
non è una questione di essere “politically correct”, è una questione di accettare tutti per quello che sono, perché alla fine siamo tutti uguali, “politically correct” è un termine di quelli che non capiscono questo fatto
Certo, hai ragione. Io ho riportato il termine ‘politically correct’, però, perché è quello che è stato usato nella conversazione: non il termine migliore, ma considerato che viene impiegato da una persona che non ha letto libri sul femminismo o è informata sempre sulle ultime questioni di social justice, è anche comprensibile. Non si tratta di non capire, io credo, quanto piuttosto di non avere termini specifici: ‘politically correct’ è l’espressione che più si avvicina al concetto. Appunto, per una persona che non ha il lessico giusto.
Tagliare il cordone ombelicale con i propri genitori dopo una delusione avuta da loro è un passaggio obbligato.
Ognuno di noi lo vive in periodi diversi della vita, il punto d’arrivo è quasi sempre lo stesso: dobbiamo riconoscere che hanno difetti e limiti e continueremo ad amarli, ma in un modo più adulto e disincantato.
Diverso è se scopri che un genitore non accetta per niente quel che pensi, si oppone, ma abbiamo visto che non è questo il caso. Sarà un giro di boa, non sentirti amareggiata, magari quella chiacchierata del giorno dopo a colazione, però, falla con lei. Al contrario, sarebbe un’occasione persa 😉
Per me non è stato tanto un tagliare il cordone quanto rendersi conto che, come dici tu, anche i nostri genitori hanno difetti e limiti. E la chiacchierata c’è stata, don’t worry.
Mi è successa una cosa molto simile di recente e questo articolo mi è stato davvero d’aiuto per rifletterci un po’ su e per capire che anche se non si è sempre d’accordo, non bisogna farne una tragedia. Crescere in fondo comprende anche questo.
Veramente illuminante, complimenti!