Giovanissima, intraprendente e solare.
Maria Letizia Gardoni è un’imprenditrice agricola di Osimo, in provincia di Ancona, sulla riviera del Conero.
La sua attività, Un podere sul fiume, l’ha fondata a 19 anni, nel 2009.
Coltiva frutta e ortaggi di stagione, legumi e cereali con pratiche naturali per produrre cibo sano e sicuro nel rispetto del territorio e della salute dei suoi clienti.
I suoi terreni, circondati di querce, salici e carpini, sono sovrastati da falchi, poiane e aironi cenerini.
Non proviene da una famiglia di agricoltori e l’attività che ha creato nasce dalla passione e dall’amore per la terra, per la vita rurale, dimostrando con la sua dedizione ed i risultati conquistati come oggi, in un’epoca in cui per mano di tecnologia e digitalizzazione sta cambiando il modo di fare lavoro e di cercarlo, iniziare a fare impresa sia sicuramente molto più semplice di un tempo grazie a capitali e competenze più accessibili. Ma alla base di una propria attività ci deve essere una tenace determinazione ed una profonda motivazione per ciò che si fa.
Maria Letizia non ha ancora trent’anni, è laureata in Scienze e Tecnologie Agrarie e dal 2014 è la Presidente Nazionale di Coldiretti Giovani Impresa.
Il suo è uno splendido esempio di imprenditoria fatta da giovani, a confermarci che si può ancora sognare e realizzare i propri sogni.
E che le donne possono farcela, in maniera eccellente, anche in quei settori come quello agricolo, che culturalmente e fisicamente sono stati per lungo tempo lontani da essere considerati femminili.
Al telefono è così vivace ed entusiasta mentre ti parla del suo Podere che, dall’altro lato della cornetta, ti sembra di vederle gli occhi che le brillano e un meraviglioso sorriso.
Maria Letizia, di cosa si occupa un imprenditore agricolo come te?
L’imprenditore agricolo è un imprenditore che si prende cura dei beni comuni, ovvero è un imprenditore che ha a che fare con beni di cui tutti godiamo come l’ambiente, il paesaggio, una cultura, una tradizione recuperata, ed è una persona che con il suo lavoro manuale ed artigianale – perché ancora di questo si tratta – si ripromette di produrre cibo buono e sano nel rispetto dell’ambiente, con un occhio di riguardo per il cittadino-consumatore.
Nella mia attività agricola mi occupo di produzione macrobiotica. Produco ortofrutta nella Val Musone, un contesto rurale nella campagna marchigiana in provincia di Ancona: è un’attività che svolgo da circa 8 anni, iniziata con calma e tranquillità senza troppe aspettative.
Quando ho fondato l’azienda ero ancora una studentessa, ho comprato il terreno mentre scrivevo la tesi ed una volta laureata ho deciso di investire tutto il mio tempo ed energie in questo mestiere.
Produciamo ortofrutta su un’estensione di circa dieci ettari, negli anni abbiamo conseguito anche la certificazione biologica ed abbiamo sviluppato non solo la lavorazione con il fresco, ma ci stiamo approcciando ai processi del prodotto fresco trasformato quale l’ortaggio conservato in barattolo, per poter lavorare con mercati più lontani e non strettamente territoriali.
L’attività che svolgi è caratterizzata da un aspetto molto manageriale, di pianificazione ed organizzazione, ma anche da un impegno fisico non indifferente. Hai mai pensato potesse essere un limite?
Nonostante negli anni, soprattutto nell’ultimo decennio, la specializzazione in particolare meccanica e tecnologica nel settore agricolo è stata importante – così che oggi sono le macchine ad occuparsi di mansioni che fino a qualche anno fa erano le persone a svolgere con le proprie braccia – il lavoro agricolo rimane un lavoro manuale: la qualità, il valore aggiunto del prodotto finale che esce dal ciclo produttivo, da un progetto imprenditoriale, dipende molto anche dall’artigianalità che viene impiegata nel momento in cui si va a realizzare qualsiasi tipo di produzione.
La cosa non mi ha mai spaventata, pur non provenendo da una famiglia agricola ero ben conscia del fatto di cosa mi avrebbe richiesto affrontare questa scelta lavorativa che poi in realtà è diventata una scelta di vita a tuttotondo.
Ho saputo prendere il mestiere per quello che è, ovvero quando mi ci sono avvicinata ho scoperto sulla mia pelle cosa significasse produrre ortofrutta. Quindi grande sacrificio, sforzo fisico e grande capacità di sapersi adattare ai ritmi naturali: ci sono mesi dell’anno in cui lavori 16-17 ore al giorno – ti svegli all’alba e lavori fino alle 21.30/22 – ed altri periodi dell’anno in cui la natura ti permette di recuperare le energie, come per esempio durante i mesi invernali, per poi riprendere a lavorare appieno a partire dalla primavera successiva.
Per cui ho sicuramente dovuto prendere le misure con un lavoro che ti condiziona le giornate e lo stile di vita, ma ti permette di recuperare concretezza, una tangibilità di ciò che vai a fare, è un mestiere che ti insegna ad essere paziente, a guardare da qui ai prossimi anni. È un mestiere che ti insegna a programmare e progettare. Chiaro, questi sono aspetti più manageriali, ma sono tutti aspetti di un mestiere altamente affascinante.
Sei una ragazza, pure giovanissima, che si è buttata a capofitto in un’attività caratterizzata da stereotipi e ad appannaggio maschile per tanto tempo. Sei stata toccata da questo tipo di pregiudizi? Come ti sei comportata?
È stato sicuramente un balzo nel vuoto avviare l’attività, ma averlo fatto in un contesto del genere, che è stato a lungo considerato maschile ed è stato a lungo maschilista, ha rincarato la dose.
Non mi sono però mai sentita in difficoltà o a disagio, nonostante molto spesso sia stata snobbata e non sia stato facile incontrare persone, soprattutto uomini adulti che fanno questo mestiere da una vita, che mi dicessero di stare tranquilla e che ce l’avrei fatta: ho ricevuto una mancanza di supporto non per la mia scelta imprenditoriale e per ciò che sarei andata a produrre, ma per il mio essere giovanissima e donna.
E l’ho vissuto anche a livello di rappresentanza, come Presidente Nazionale di Coldiretti Giovani Impresa.
Il mondo dell’associazionismo è molto maschile, soprattutto a livello dirigenziale.
Il pregiudizio l’ho vissuto in tutti aspetti della mia vita lavorativa ma non mi ha mai spaventata, anzi! Per me è stato più uno stimolo che un ostacolo o un impedimento, in alcuni contesti ho provato più fastidio che spavento e mi ha dato spinta e determinazione ulteriori per caricarmi e mettercela tutta per dimostrare che anche giovani ragazze possono riuscire in un lavoro del genere.
Negli anni sono stata felice di aver trovato conferma di questa mia determinazione conoscendo altre ragazze che hanno deciso di intraprendere il mio stesso tipo di mestiere: in Italia un’azienda agricola su tre è condotta da donne ed è un dato in crescita negli ultimi anni! Questo sta a dimostrare che chi dieci anni fa ha avuto il coraggio, come me e altre donne, di iniziare questa attività, lo ha fatto non solo per se stessa ma anche per passare un messaggio. E sembra che questo messaggio sia stato recepito.
Che consiglio daresti a un giovane che decide di intraprendere oggi una carriera imprenditoriale?
Se un ragazzo nutre questo sentimento, questo istinto, non deve reprimerlo per la paura di non riuscirci, ma deve provare a coltivarlo.
Certamente non si può lavorare solo di pancia, ma quando si capisce che questo potrebbe essere il lavoro della propria vita, si decide di dedicarci tutto quello che si ha: chi decide di lavorare in proprio, la vita la costruisce attorno al lavoro! La vita diventa un tutt’uno con la propria attività.
Chi capisce che emotivamente potrebbe essere una scelta intelligente da fare deve essere in grado di saper combinare la passione con le conoscenze, con la capacità di essere sempre curioso, di non sentirsi mai arrivato, con la voglia di mettersi in discussione.
È un’attività che non è mai statica: tutte le attività cambiano, ma anche e soprattutto quella del lavoratore autonomo che deve osservare i cambiamenti che avvengono nel
mondo attorno a lui ed essere pronto ad assorbire come il mondo esterno stia cambiando.
Dal punto di vista emotivo non bisogna fermarsi di fronte alla paura: potrebbe essere un concetto banalissimo, ma siccome l’ho vissuto spesso sulla mia pelle, e probabilmente non sono l’unica, posso dire che molto spesso è la paura quella che non ti fa fare quel passo in più che porta a migliorare te e la tua azienda, a fare quegli investimenti che invece sarebbero necessari per darti una prospettiva futura di più ampio raggio.
Molto spesso è la paura stessa che non ti permette di incontrare altre persone, conoscenze e collaboratori che potrebbero aiutarti.
Bisogna avere la capacità di capire che sei un bravo imprenditore, hai delle buone idee, ma che hai bisogno di un supporto di altri lavoratori e di non smettere mai di imparare, anche dagli altri.
Come concili la tua vita privata, le tue passioni con l’attività lavorativa ed istituzionale che svolgi?
Non è facile.
Negli anni ho capito che la mia felicità dipende alla mia realizzazione professionale e non dalla capacità di costruire un legame di coppia o affettivo. Ognuno raggiunge e vive con le proprie tempistiche i propri traguardi personali, che possono essere diversi per ognuno di noi.
Una donna per esempio può realizzarsi anche senza fare un figlio, ma questo è un concetto che non tutti riescono ancora a comprendere, soprattutto le donne stesse. Da questo punto di vista, a livello culturale c’è tanto da fare.
Conciliare vita privata e lavorativa non è mai stato facile, non ho tanto tempo a disposizione per cose oltre la mia attività, ma nonostante ciò sono state pochissime le volte in cui ho vissuto questo come un peso perché vivo del mio lavoro, sono innamoratissima del mio lavoro e di ciò che faccio. Sto bene così adesso, e sono orgogliosa anche delle batoste sui denti che mi sono arrivate: è soprattutto grazie a quelle che poi riesco a pormi altri obiettivi, a migliorarmi.
Se oggi non avessi la tua attività, cosa staresti facendo?
Questa è una domanda difficile perché non riesco a vedere una vita diversa da questa, se non stessi facendo quello che faccio ora, sarei in ogni caso in mezzo alla natura, alla campagna, sporca di terra.
Probabilmente avrei fatto la guardia forestale a cavallo, l’altro mio sogno nel cassetto.
Sono innamoratissima dei cavalli, ho studiato per anni equitazione, mi piacerebbe un giorno riuscire a realizzare un’attività in azienda da me coi cavalli, e quindi sì, avrei fatto quello!
Si parla sempre più frequentemente del ritorno alla campagna, alle radici, alla ruralità, dello spostarsi dalla città al mondo agricolo. Cosa ne pensi?
Che per l’80% non si tratta di moda.
Diciamo che c’è un aspetto molto intrigante della campagna soprattutto per come viene vissuta oggi, come una fuga dalla frenesia delle città, dai lavori fatti stando incollati a uno schermo.
C’è sicuramente una voglia di evasione, un pizzico di moda, ma la maggior parte delle persone che si avvicinano a questo settore sono persone che se riescono a vivere di questo lavoro significa che ci tengono fortemente: questo è un lavoro altamente condizionante, ti cambia la vita, è un impegno che richiede un lavoro costante, giornaliero, spesso fisico e manuale. Devi avere una forte passione che ti guida per poter reggere determinati ritmi e pressioni oltre che immaginarlo quale lavoro che ti accompagnerà per tutta la vita.
Chi si avvicina per moda non riesce molto spesso a portare avanti un’attività imprenditoriale del genere: fare l’agricoltore oggi non significa zappare una zolla di terra, ma fare l’imprenditore con tutto ciò che comporta, ossia investimenti, sacrifici, capacità di gestione, organizzative, capire dove sta andando il modo, assumersi di tante responsabilità. È un lavoro tosto ed impegnativo.
Chi ci si avvicina perché è figo, perché cool, non dura.
Chi ci si avvicina perché in realtà è guidato da una passione, allora sì che avrà trovato il lavoro della sua vita.