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Maria Pia Casalena: “la Storia delle Donne serve a ricucire dei fili”
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Maria Pia Casalena: “la Storia delle Donne serve a ricucire dei fili”

Articolo di Pietro Balestra

Nel mio articolo 5 episodi della Storia del Femminismo che tutt* dovrebbero conoscere, ho provato a spiegare perché conoscere la Storia delle Donne è importante non solo per le stesse donne, ma per tutta l’umanità, facendo ricorso a esempi pratici. Anche grazie ai commenti ricevuti, adesso capisco che, prima di raccontarla, è necessario spiegare cosa sia la Storia delle Donne e cosa sia – dal punto di vista accademico, quindi più scientifico e generale – il Femminismo; perciò ho contattato Maria Pia Casalena, professoressa di Storia delle Donne e dell’Identità di Genere presso l’Università degli Studi di Bologna, la quale è stata molto lieta di rilasciarmi questa intervista.
Le sue parole sono sia ragionate da un’esperta nel campo, sia profondamente sentite e importanti, ed è per me un onore regalarle non solo a chi solitamente frequenta il nostro sito e a chi si definisce femminista, ma a tutt* quant*!

1. Che cos’è la Storia delle Donne?
La Storia delle Donne nasce per ricucire una vicenda oppressa dal Patriarcato. Si è passati poi (o almeno ci si sarebbe dovuti passare) alla Storia di Genere, in cui si guarda alle donne in relazione storica, spaziale e culturale col genere maschile.
Questa è la prospettiva che io adotto e cerco di fare adottare nei miei corsi, eppure ritengo che la Storia delle Donne sia ancora in cerca di legittimazione: è vero che, oggi, in Italia, praticamente ogni Scuola di Lettere prevede un insegnamento, di varia denominazione e cronologia, di Storia delle Donne, ma lo frequentano solo donne.
Credo ci sia stato, qui, un errore di comunicazione: la Storia delle Donne rischia di apparire ancora come una rivendicazione, corredata da panni indubbiamente più scientifici, ma di donne che parlano di donne, con donne, per donne…
Io insegno in una triennale e in una magistrale, entrambi curricula storici: alla triennale, ho solo studentesse donne; esattamente l’anno dopo, al primo anno di magistrale, metà degli studenti erano uomini e metà donne.
Personalmente, credo che la risposta sia perché, in magistrale, Storia delle Donne è coniugata con il corso Storia Sociale, che offre allo studente qualcosa di più riconoscibile e di legittimo. Ma come ha dimostrato Annarita Buttafuoco, la Storia delle Donne serve a ricucire dei fili, ed è proprio questo percorso a risultare universale a livello scientifico, interessando tanto le donne quanto gli uomini, coniugandosi in senso interdisciplinare con l’antropologia, con la storia del corpo – facendo Storia delle Donne non si può fare a meno di spiegare, a uomini e donne, cosa sia uno speculum, e ho notato che sono ugualmente interessati.
Storia delle Donne e di Genere significa portare davanti a un uditorio di tutte le appartenenze di genere una storia politica, sociale e culturale secolare, che troppo spesso dimentica di parlare delle sue radici. Io mi ritrovo con delle studentesse che ne sanno più di me sul Femen, su Se Non Ora Quando, che magari fanno autocoscienza in qualche collettivo… Ma non sanno che dietro hanno una storia.
La Storia delle Donne e di Genere ricuce dei fili e ridona appartenenza e spessore a un pubblico che si sente ugualmente interessato: maschi, femmine e LGBTQIA+.

2. Perché è importante studiarla?
Oggi crediamo che studiare la differenza si risolva nel leggere un libro di storia globale, andare a finire in Cina, in India… è anche questo, ma non solo: la differenza sta anche nella storia locale, per cui è una scommessa intellettuale.
Altra scommessa intellettuale è reintegrare questa differenza nella storia generale. Le donne hanno, loro malgrado, una storia per tanti aspetti separata, sono spesso l’eccezione e non la norma (basti pensare al lato giuridico), ma rientrano nella storia generale: non sono assenti da nessuna parte, basta saperle cercare.
Oggi è importante studiare la Storia delle Donne innanzitutto per una lezione di pluralismo: non c’è la donna, non c’è il femminismo, ci sono le donne, ci sono i femminismi… È una differenza che aiuta a decostruire, a mettere in discussione tutto il lessico che si impara quando si studia storia.
Studiando Storia delle Donne, noi bianchi, cristiani e agiati, ci troviamo a considerare come più problematiche quelle categorie che consideravamo monolitiche, come quella di diritto o quella di legge. Ci abituiamo a considerare sfera pubblica e sfera privata necessariamente intrecciate per le donne come per gli uomini. Ci abituiamo a pensare delle soggettività che possono seguire la norma, ma possono anche disattenderla. E andare fuori dalla norma non significa per forza essere sovversive o sfociare in un’altra identità, significa decostruire.
Siamo tutti d’accordo che la cultura politica e civile debba essere assolutamente contro la violenza, ma dobbiamo anche saper coniugare i concetti di libertà, diritto e violenza in vari contesti culturali, questa è la vera difficoltà.
Ho avuto una ragazza col velo a lezione e non le ho mai chiesto niente. è venuta anche a fare l’esame ed era preparatissima, ma credo che non fosse d’accordo su niente di quanto detto a lezione: aveva studiato e aveva imparato, ma manteneva il suo pensiero. A me resta il rimpianto di non averla individuata prima e di non averla fatta parlare.
Lo studio della Storia delle Donne è essenzialmente dialogico: fa i conti con il vissuto, con la coscienza e con la soggettività di ogni uditore, non può essere qualcosa impartito ex cathedra; perciò questo studio non può fare a meno di essere coinvolgimento, sia quando io parlo in un’aula universitaria a studenti che contano quest’esame come crediti da portare a casa, sia quando parlo in un forum, sia quando parlo in sede accademica e di ateneo (e politica quindi), dove si discute delle pari opportunità.
Fare Storia delle Donne è fare immediatamente anche politica ed è una politica plurale e partecipata.

3. Che rapporto intercorre tra lo studio della Storia delle Donne e l’attivismo femminista?
È difficile impostare un corso di Storia delle Donne, soprattutto se sui femminismi e in maniera da soddisfare tutte le femministe; d’altra parte, è difficile dare allo studio e all’insegnamento una completezza tale da potersi misurare con vari orientamenti.
Mi è capitato, per esempio, di trovarmi in occasioni didattiche dove il principio separatista è stato messo fortemente in discussione: non potrebbe essere questo un argomento di cui discutere a livello scientifico, politico e intergenerazionale?
La difficoltà dell’impegno è fare i conti col linguaggio: siamo tutti immersi in un linguaggio profondamente sessuato, pieno di topos e stereotipi, ma che, per quanto combattuto, va tenuto costantemente presente: possiamo rifiutare e sentire lontane le rappresentazioni di genere, ma le dobbiamo conoscere.
Non si può insegnare Storia di Genere senza andare in edicola e dare uno sguardo sugli stereotipi di genere e parlarne: quest’immersione nel discorso corrente è un altro tramite tra lo studio – che deve demolire l’imposto, il costruito, la norma… –, e l’impegno, che non può che essere molto problematico.
Mi è capitato l’anno scorso, per esempio – non nel modulo di Storia delle Donne, ma in quello di Storia Sociale –, di ospitare la Squadra Mobile e la Casa delle Donne per un corso informativo sulla violenza alle donne. Due cose mi sono saltate all’occhio: non è stata mai pronunciata la parola femminicidio, e i più interessati erano gli uomini.
Questo è un buon punto di partenza per un confronto costruttivo tra varie competenze, e la ricerca di un linguaggio giusto. La ricerca di un linguaggio giusto può arrivare solo dal confronto, ma il confronto senza un supporto scientifico non ci può essere.
Con questo non mi sto augurando una rinascita dei collettivi e non so nemmeno se l’università oggi possa essere la sede di una di una nuova ondata del Femminismo; ma di sicuro quello che per troppo tempo è stato scisso, i giovani e le giovani vogliono ricomporlo, vogliono avere impegno sapendo, non s’impegnano a scatola chiusa, né in questo, né in nient’altro.

4. Cosa pensa dei femminismi odierni?
Credo ci sia una grande differenza tra quei femminismi che ripropongono una questione femminile che ritengono soffocata dal genere e che operano con una certa specificità, e i femminismi di Quarta Ondata che comprendono tutte le identità e gli orientamenti.
Ritengo che oggi il “bacino delle vittime” – se così possiamo chiamarle – del Sistema sia molto composito. In tutte le culture è indubbiamente rimasta una questione femminile, ma non credo sia necessario chiudersi tra donne per comprendere: sono necessari dei momenti più autoreferenziali di riflessione e autoriflessione. Ma la scommessa è superare le richieste della specificità in un impegno corale per un cambiamento culturale – quindi ponendo l’accento sull’istruzione – più generale.

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A sorpresa, la professoressa Casalena aggiunge:
Vorrei chiudere quest’intervista dicendo una cosa: benché io mi sia laureata con una tesi in Storia delle Donne, io mi sono ritrovata un po’ per caso a insegnarla e vorrei che lei reagisse in qualche modo nel dire cosa c’è di utile, e cosa potrebbe esserci di più utile, ai fini di ciò che abbiamo discusso, in un corso di Storia delle Donne.

Ed io rispondo con gran piacere:
Benché io sia irrimediabilmente innamorato della Filosofia, sono convinto che studiare Storia sia fondamentale per conoscere il DNA del genere umano, quel qualcosa che lega tra loro tutti gli individui passati, presenti e futuri, e che detiene le risposte a una – quantomeno – larga parte dei nostri come e perché: come posso giudicare razionalmente un fenomeno contemporaneo, che influenza enormemente la mia (e non solo) vita, senza conoscerne le cause prime e tutti i passaggi?
Credo che alcune molto discutibili scelte politiche degli ultimi anni dimostrino quanto l’ignoranza storica possa essere nefasta. Questo dal punto di vista più generale.
Più nello specifico, io ho sempre notato come ogni stereotipo femminile abbia il suo corrispettivo maschile: se la donna deve essere innanzitutto madre, l’uomo dev’essere innanzitutto guerriero; se la donna è e dev’essere debole ed emotiva, l’uomo dev’essere forte e apatico; se una donna vittima di violenza sessuale dev’essere una puttana, un uomo vittima di violenza sessuale dev’essere un finocchio
Questo mi è sempre stato chiaro fin da piccolo. Quel che non capivo era perché le donne combattessero per liberarsi dalle proprie catene, mentre gli uomini no.
Studiando Storia delle Donne, ho scoperto come tutto (il Patriarcato, i femminismi…) è iniziato, e ho capito che se noi uomini ci “adagiamo sugli allori”, è perché non abbiamo alle spalle un passato di battaglie di genere, non ci siamo ancora pienamente resi conto del fio da pagare per mantenere il nostro privilegio maschile.
I pochi che si oppongono agli stereotipi incolpano le femministe, negano l’esistenza di un Patriarcato; ma se tutti (maschi, femmine e LGBTQIA+) studiassimo Storia delle Donne – le rivendicazioni, le battaglie, le controversie –, potremmo rispecchiarci gli uni negli altri, comprenderci e cominciare le nostre specifiche battaglie. Battaglie per tutta l’umanità.
È con questo preciso scopo che sono entrato a far parte di Bossy, ma non avrei mai maturato tutto questo se non fosse stato per la professoressa Casalena e le sue magistrali lezioni di Storia delle Donne e dell’Identità di Genere.

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