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Donne e matrimonio ad Atene in età classica
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Donne e matrimonio ad Atene in età classica

Quanto libere erano le donne greche nel V a.C.? A quali azioni era costretta una fetta della popolazione ateniese solo perché donna? Ma soprattutto: come funzionava il matrimonio ad Atene?

Per l’analisi del gender in campo archeologico, i ricercatori si sono avvalsi principalmente di vasi figurati e di contesti sepolcrali che offrono la documentazione più significativa ai fini della definizione di un’archeologia di genere. In questo articolo ci concentreremo sulle rappresentazioni vasaie che hanno come tema principale proprio quello del matrimonio.

L’immagine che ci viene fornita dagli scrittori attici vede le donne quasi sempre intente a filare la lana o allevare i bambini in tenere età, un ritratto stereotipato necessario a contrapporre Atene al mondo di Sparta dove invece potevano esercitarsi nel ginnasio.

Demostene ci dice che l’uomo ateniese poteva avere fino a tre donne: la moglie per procreare figli legittimi, la concubina e l’etera. Ma il ruolo tripartito delle donne ateniesi viene reso più complesso ed articolato da alcuni documenti archeologici figurati: i vasi dipinti creati tra il VI e V a.C. da vasai, pittori e artigiani del quartiere del Ceramico.

Scoperti intorno al XVIII secolo d.C. nelle necropoli dell’Italia meridionale ed erroneamente attribuiti alla civiltà etrusca, i vasi attici danno agio di analizzare molte rappresentazioni femminili, permettendoci di studiare il gender nell’Atene del periodo arcaico e classico, che ben si discostano dai cliché a cui la tradizione letteraria ci ha abituati.

Tra tutti quelli che ci sono pervenuti sono proprio i vasi dedicati alla celebrazione del matrimonio, che mettono in scena il più grande numero di figure femminili (dee, madri, ancelle…), dipinte nel momento in cui la sposa lascia la casa paterna per entrare in quella del marito.

Il cerimoniale del matrimonio ad Atene era composto da diversi momenti che seguono l’accordo formale stipulato tra il fidanzato ed il padre della donna, senza bisogno che ella esprimesse il suo consenso: separazione, passaggio ed integrazione. Mai è stata rappresentata la scena che vede l’accordo tra padre e marito della sposa, e raramente sono stati dipinti banchetti nuziali. Il trasferimento costituisce il fulcro del matrimonio, tanto che la maggior parte delle pitture vasaie mettono in scena questo preciso momento rappresentandolo come una processione notturna, in piedi o sul carro.

Durante la processione ogni personaggio ha generalmente un ruolo specifico: la madre della sposa porta la fiaccola, mentre un pàrochos (accompagnatore) si trova vicino agli sposi; la sfilata è guidata da un proegetès, una guida; ed un bambino con ancora entrambi i genitori (pàis amphithalès) segue il carro.

La porta è considerata contemporaneamente punto di arrivo e punto di partenza, recandosi la sposa da quella paterna al nuovo uscio del marito. Ed è proprio quest’ultimo a guidare l’amata attraverso un percorso lineare, portando a compimento l’unico obiettivo che una donna nella vita doveva porsi: il matrimonio, appunto.

Durante l’età arcaica sono stati prodotti un numero consistente di vasi a figure nere, dove cioè la silhouette dei personaggi è resa con una vernice nera e completata con dettagli colorati così che si innalzi dal fondo del vaso di colore rosso.
La tradizione iconografica delle rappresentazioni della processione inizia dal motivo delle nozze mitiche dei genitori di Achille: Peleo, re della città di Ftia, in Tessaglia, e la nereide Teti, celebre per le sue metamorfosi. Su un dèinos (vaso per banchetti) conservato oggi al British Museum vediamo chiaramente la processione degli dei capeggiata da Peleo, che conduce la folla verso destra dove si trova la porta ancora chiusa della nuova casa. È qui presente anche Chirone, il centauro che alleverà Achille, e a coppie di due Zeus ed Era, Poseidone ed Anfitrite, Estia e Demetra, dee protettrici del focolare. I carri che portano gli dei sono accompagnati da figure a piedi che rappresentano divinità femminili minori: Ore, Muse, Moire e Cáriti. Manca del tutto quella che dovrebbe essere la figura principale, la sposa Teti. È probabile che ella si trovi già all’interno della casa dove si reca il corteo, ma non deve in alcun modo farsi vedere.

Molto simile, ma leggermente posteriore cronologicamente, è la scena raffigurata sul famoso Vaso François. L’organizzazione è la medesima: un corteo di dei, prima sul carro poi a piedi, avanza verso la casa degli sposi mentre Peleo si trova sull’uscio ad accoglierli. La principale differenza con il dèinos precedente è che qui la figura di Teti, sebbene il vaso sia spezzato proprio in quel punto, è presente e se ne legge chiaramente il nome. Ella è dietro Peleo, dentro la porta della casa incorniciata tra due colonne e un portico con frontone. La sua figura doveva essere poco visibile anche senza la crepa: ne vediamo solo una gamba che sporge dall’uscio mentre solleva leggermente la veste con la mano.

Anche in questo caso la sposa c’è, ma non si vede: non la si può guardare direttamente. In questo modo l’abito e la casa creano il luogo privato adibito dai cittadini ateniesi per la donna, imprigionandola lontano dallo spazio pubblico dove stanno sfilando gli dei.

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Il simbolo che compare più spesso, insieme alle porte, è il carro, mezzo di trasporto che in quest’epoca non era utilizzato né in città né in guerra, in cui si avanzava marciando. La presenza così massiccia di un mezzo di trasporto di stampo epico deve quindi servire ai pittori per caricare l’evento di una dimensione mitica, creando una vera e propria metafora: guerra e matrimonio divengono così attributi speculari dei due principali generi; obiettivo principe dell’uomo è la guerra come unico reale compimento della donna il matrimonio.

Sebbene non si escluda del tutto l’esistenza di pittrici e vasai donne, la maggior parte di questi reperti – è importante sottolinearlo – sono stati creati da uomini: si tratterà perciò di modelli di donna (isolate o in rapporto con l’uomo) plasmati da una visione maschile, parziale e soggettiva, che però doveva comunque tenere conto dei gusti degli acquirenti che, di fatto, erano principalmente femminili.

Gli archeologi eludono ogni difficoltà: alcuni le respingono al fondo della scala sociale – le donne messe in scena non sono che delle schiave, delle prostitute o delle etere – altri le portano in alto – rappresentano delle eroine, delle muse, delle dee. In entrambi i casi, si rifiuta loro uno statuto sociale normale. Eppure – sebbene non di frequente quanto ci piacerebbe – le donne venivano spesso rappresentate anche mentre erano intente a suonare la lira, a dimostrazione che il livello di cultura a cui avevano accesso le ricche ateniesi doveva essere molto alto: erano musiciste, cantrici, poetesse, sapevano leggere, avevano accesso alle biblioteche, ai ginnasi e organizzavano manifestazioni culturali parallele a quelle degli uomini.

La vita delle donne ateniesi era molto meno monotona di quello che si possa pensare.

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