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Nel mio bosco: come Maura ci canta di sessualità, appartenenza ed esistenza
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Nel mio bosco: come Maura ci canta di sessualità, appartenenza ed esistenza

Nel mio bosco è un brano che è come un sentiero in mezzo agli alberi in un bosco misterioso, lieto e cupo lungo il quale avventurarsi a piedi scalzi.

Una ballad pop elettronica la cui atmosfera lenta ma incalzante chiede soprattutto all’ascoltatore di fermarsi e di immaginare. Un pop soffice e introspettivo, un pop che “poeteggia”, che ti guarda e domanda di essere guardato.

Quello di Maura, classe 1998 ed all’anagrafe Fatima Maura Zucchi, è un universo musicale eclettico, frutto di ascolti, di influenze e di contaminazioni che vanno dal pop al rock, dall’r&b all’elettronica e molto altro. Un progetto ricco di suggestioni e di rimandi visivi, in cui il corpo è considerato uno strumento potente per rappresentare la vulnerabilità. La stessa vulnerabilità che attraverso il suo primo disco l’artista vuole raccontare.

Nel mio bosco anticipa l’uscita del primo lavoro di Maura sulla lunga distanza, previsto per la primavera, a cui sta lavorando Deposito Zero Studios e Porto Records, e contiene in sé una piccola mappa dell’album, delle immagini imprescindibili per riuscire a cogliere e ad interpretare le storie che quest’ultimo desidera narrare, a cominciare da quella della sua autrice, che nel brano «parla di sessualità solo se è vero che parla di appartenenza: solo se è vero che parla di esistenza».

In occasione dell’uscita del video che accompagna il brano e che presentiamo in anteprima, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Maura.

Per presentarti, quali sono le 5 canzoni e i 5 libri che parlano di te, dei tuoi ricordi, del tuo bagaglio culturale? 

Wow, ok! Mi piace, andiamo giù dritti così. Allora, sicuramente un libro confortevole, che è casa e che posso rileggere infinite volte è Oceano Mare di Baricco. Penso che dia delle immagini fuori dal tempo, è un surrealismo popolare ma delicato. Mi piace molto il registro che usa, il suo stile, e sicuramente testualmente è un modello importante per me. Poi Il Giovane Holden di Salinger, ovviamente. Mi sento Holden un secondo no e trentadue sì. Il silenzio è cosa viva di Candiani, un libro che scorre via come sabbia tra le dita. Beh, anche questo è un libro che ha venduto tantissimo perché Chandra riesce a parlare di spiritualità in termini molto semplici, molto accoglienti. Anche di yoga. Penso di averlo regalato a tutte le persone che conosco, più o meno. Attraversare i muri della meravigliosa Marina Abramović. Lei è un’ispirazione immensa per me. Mi vanto molto di essere sagittario ascendente cancro come lei. È affascinante sotto tremila punti di vista. Poi, un libro di poesie: Cento poesie d’amore a Ladyhawke di Michele Mari. Sembra di leggere un diario privato, che trasuda passione, rammarico, sconforto, sconsolazione, dolore. Sempre molto colloquiale, che mi piace tanto.
Ok, canzoni. Allora… In memoria del mio background country devo cominciare con un pezzo di Kacey Musgraves ai suoi inizi, che si chiama Merry Go ‘Round. È un pezzo che parla dell’assurdità della società tradizionale e della triste autodistruzione dei suoi membri quando tentano di seguire, appunto, la tradizione. O almeno io ci sento questo. Poi la mia ossessione da quando sono alle elementari, Taylor Swift. Quando ero piccola adoravo Back To December, che dovrebbe essere del 2010. E niente, ho ricordi di me che l’ascolto a ruota e che mi esercito a cantare il ritornello senza incartarmi. E mi sembrava velocissimo ai tempi quindi ero molto fiera di riuscire a cantarlo bene. Cherry Wine di Hozier. Ho ricordi molto belli di questo pezzo. Tutte le estati delle superiori le ho passate andando in campeggio in un paesino trentino sul Lago di Garda con un paio di amici, e pensare a quella canzone mi fa subito proiettare nella mia mente noi che camminiamo lungo il lago. I sassi, i turisti tedeschi arrossati, il tramonto, i bambini che passano in bicicletta, Luca con una mano nella tasca, Michele che vuole stare in silenzio. Reflecting Light di Sam Philips, che oltre a ricordarmi Gilmore Girls(altro testo che mi ispira tantissimo, un copione sarcastico e giocoso e vispo e meraviglioso), penso che presenti uno stato emotivo in cui ritorno spesso. Heart Hope degli Oh Wonder, per la sua cieca bontà, il suo ingenuo e bellissimo desiderio di buono. Di amore. Che c’è anche nell’ultimo pezzo che ho scelto, Motion Sickness di Phoebe Bridgers, però in questo caso è stato abusato.

Sei nata sul finire degli anni Novanta: musicalmente parlando, la tua generazione da chi si sente rappresentata? Cosa cerchi in termini di sonorità, testi, suggestioni?

So per certo che io non sono la persona giusta con cui parlare per avere informazioni sulla mia generazione. Soprattutto in termini di cultura musicale. Sono quella persona che quando si nominano artisti massivi della cultura italiana non sa mai a chi ci si stia riferendo. Mio padre, a casa, ascoltava solo musica classica. Mia madre è algerina e ha sempre messo musica araba. Ogni tanto si sentiva qualche canzone che passava in radio in quegli anni, ma poca e di rado.
Per quanto riguarda quello che cerco, tipo, come ispirazione… È una gran bella domanda. Sinceramente non penso di cercare di somigliare a cantautori del passato. Penso che mi affascini molto l’idea di capire me stessa attraverso le cose che faccio e che scrivo. Penso che mi piaccia dire cose fastidiosamente oneste, mostrarmi vulnerabile. Usare il mio corpo e la nudità per comunicare. E sicuramente i libri e le canzoni che ho menzionato tracciano un po’ un percorso, ma non ho degli idoli generazionali da cui cerco di plasmarmi, se è questa la domanda…

Quando hai iniziato a scrivere canzoni? Quanto nei tuoi testi emozione ed immaginazione vanno a braccetto?

Ho iniziato a scrivere canzoni alle elementari, “evolvendo” dalle poesie in un certo senso. Non scrivevo spesso canzoni ma scrivevo spesso. Poi, quando alle medie ho cominciato a prendere lezioni di canto, ho gradualmente iniziato a scrivere più canzoni. A dirla tutta, erano canzoni che sembravano molto più poesie che canzoni vere e proprie, che forse è una cosa che mi è tornata negli ultimi anni. Mentre facevo le superiori ascoltavo molto country per qualche motivo, quello contaminato dal pop da radio, e ho avuto un paio di anni in cui scrivevo canzoni country in inglese. Poi c’è stata una fase pop – sempre in inglese – in cui ero ossessionata dal riuscire a copiare la formula americana di pop commerciale nel modo più autentico possibile. A un certo punto quella cosa lì è sfumata e, ricominciando a scrivere in italiano, mi sono ritrovata sempre più affascinata dal togliere. È difficile da spiegare, ma volevo trovare il mio modo di fare le cose. E questo ha comportato un’accettazione graduale sempre maggiore di quelle cose che prima limavo. E più le tenevo nel conto, più volevo che fossero al centro. E più erano al centro, più le trovavo affascinanti e volevo capirle meglio. Non sono nemmeno vicina ad avere capito del tutto le cose che – a questo punto – ho messo al centro. Però ci sono e continuo a guardarle. Cerco di avere una scrittura impulsiva e il più spontanea possibile, non pensata. Scrivo quando mi sento emotivamente provata, sovraeccitata negativamente. Anche se pure quello sta un po’ cambiando… Però, diciamo che l’emozione è il punto di partenza e l’immaginazione è l’aiutante con cui mi spiego l’emozione di partenza. Quello che è molto importante è capire quelle cose che emergono, che mi sembrano mie e basta. E celebrarle.

Sessualità ed appartenenza: due temi che si intrecciano nel tuo nuovo singolo. Come si relazionano? Con quali sfaccettature? 

Ahahah, oh, che complicato… Diciamo che in Nel mio bosco comunicano, sì. La sessualità è uno degli strumenti per eccellenza per l’autoscoperta e la scoperta dell’altro, non è un segreto. Non so se sia chiaro o meno, ma io sono ossessionata in maniera disturbante dal capire come funzionano le persone, me compresa. E le relazioni tra le persone. Il sesso mi sembra un buon medium per esplorare. Capire come una persona vive la sessualità è molto affascinante e ti dice tanto di lei. In parte, Nel mio bosco dice qualcosa di come io mi vivo la mia. E l’appartenenza, beh. A cosa apparteniamo se non alle cose che non possiamo non essere e alle cose di cui abbiamo bisogno? Di nuovo, Nel mio bosco sa a cosa appartengo.

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Ci racconti un aneddoto legato al video che lo accompagna e che presentiamo in anteprima?

Il video mostra due personaggi. Una mistica vestita di bianco che compare anche nella copertina del singolo e un arciere che vediamo solamente alla fine. Quella mattina dovevo portare l’arco per le riprese ma l’ho dimenticato nella mia cantina a Bologna. Quindi il personaggio che si vede alla fine, nella mia testa, è un arciere ma, nella pratica, ho scordato l’arco. La cosa divertente è che anche per altri contenuti dovevo portarlo, mi pare altre due volte. L’ho sempre dimenticato. Magari è un segno o magari ho la testa bucata, una delle due.

Il singolo anticipa l’album in uscita: cosa aspettarsi? Quali riferimenti in termini di influenze, rimandi, atmosfere troveremo? Cosa ti piacerebbe che questo disco trasmettesse?

Qualcuno che ti legge delle storie un po’ scure, un po’ intime, un po’ sconvenienti in una radura del bosco, quando il sole inizia a calare. L’idea è che tutto quello che si sentirà prenda vita all’interno del bosco. Rimaniamo in questo spazio ad ascoltare storie. Onestà, quiete, tensione, nudità. Umidità, freddo, paura, sesso, caldo, perdita. Posso dirti in super segreto che uno dei concetti su cui si regge l’album è una domanda: “Da dove arriva l’acqua?”. Se riuscissi a trasmettere con efficacia questo mondo, questa immagine, sarei molto soddisfatta.

Quali sono i tuoi obiettivi ed i tuoi sogni nel breve termine? E sulla lunga distanza?

Sulla breve distanza, vediamo… Vorrei iniziare a suonare fuori, ho tanta fame di fare live. Sento proprio il bisogno di creare quel tipo di connessione con un pubblico e di mettermi alla prova. Senza dubbio, a breve termine, mi piacerebbe riuscire a rendere l’aspetto live più centrale nella mia vita, sì. Poi, un’altra cosa di cui ho tanta fame è di essere ascoltata e, successivo a quello, di essere capita. Sarebbe bellissimo potere creare una mia tribù di persone che si sentono rappresentate da quello che scrivo e che faccio, e che pensano di avermi capita o che io capisca loro. Mi farebbe sentire davvero piena. Spero mi possa succedere. Per la lunga distanza, invece. Continuare a fare musica e arrivare a più persone possibili è un obiettivo enorme che mi segue da sempre. Però non mi sento nemmeno del tutto identificata dall’appellativo di “cantautrice”. Voglio fare arte con media diversi e la musica è uno di questi. Ci sono tante altre idee che ho e su cui, in parte, già sto lavorando. Ecco, un obiettivo a lungo termine è creare un modo di essere un’artista che non sia confinato e che mi faccia sentire pienamente identificata. Che si sfoci nella musica, nel teatro, nella fotografia, nella performance. Trovare la più autentica forma di me. Mi auguro anche questo, lo auguro un po’ a tutti.

Artwork di Chiara Reggiani

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