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Milano, le donne, gli stereotipi e l’antimachismo: intervista a Populous & M¥SS KETA
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Milano, le donne, gli stereotipi e l’antimachismo: intervista a Populous & M¥SS KETA

HOUSE OF KETA” è il terzo singolo estratto dal nuovo disco di Populous, “W” – come Women, celebrazione della femminilità oltre gli stereotipi e il genere – ed è stato pubblicato a fine maggio.

È un inno da ballroom, un brano che-  prima di diventare tale – era un’idea, nata il giorno successivo al Milano Pride 2019. Una conferma della sinergia tra Populous – producer, deejay, autore di colonne sonore, sound designer per il web, musei e sfilate di moda – e l’enigmatica e acclamata M¥SS KETA, a cui si è aggiunta la collaborazione del performer, ballerino e coreografo Gorgeous Kenjii Gucci.

Milano, le donne, gli stereotipi e l’antimachismo sono stati l’oggetto di una chiacchierata con loro.

Siete tornati a collaborare insieme e il nuovo singolo, HOUSE OF KETA, è freschissimo d’uscita. Un brano che, si legge nel suo comunicato, è un omaggio alla queer culture, nato post Pride dello scorso anno. Pride che quest’anno non potrà tenersi per i motivi che sappiamo. Come può la musica oggi, soprattutto in un momento in cui ci si può “affidare” solo a Internet e agli strumenti di comunicazione, nella diffusione di messaggi, aiutare la comunità LGBTQ+, supportarla, fare il proprio?

M¥SS KETA: Credo che, non solo nella musica ma in qualsiasi campo, ogni persona debba condividere i propri valori con il mondo. In generale, ogni persona ha il diritto di comunicare chi è realmente e per cosa lotta. Per supportare la comunità LGBT+ credo sia giusto mostrarsi per chi si è realmente, senza lasciarsi intrappolare da stereotipi. Alla fine è questo il messaggio della comunità LGBT+: accettati per quello che sei e sii fiero di mostrarlo al mondo.
Populous: Penso sia ormai chiaro a tutti che il modo migliore per comunicare con le nuove generazioni sia Internet. Soprattutto da un punto di vista educativo e sociale. Quando però si vuole davvero rivoluzionare qualcosa e si vuole farlo in fretta, lì c’è bisogno di scendere in piazza col pugno chiuso e urlare al mondo intero qual è il proprio posto nella società. Sta accadendo ora con BLACK LIVES MATTER, lo sono stati e lo saranno ancora i Pride. Al momento il nostro compito è quello di aprire le menti delle persone bigotte. Abbiamo la musica, ma abbiamo anche interviste come questa per poter diffondere il messaggio.

Cosa significa oggi, nel 2020 essere una donna, a Milano? Cosa implica, quali sono le difficoltà e i problemi in cui ancora si imbatte, quali invece i passi avanti che negli anni state notando vengono fatti?

M: Io credo che il problema principale sia la rappresentazione mentale che si ha delle donne, radicata nella società patriarcale, che purtroppo ingabbia sin da subito la visione che si ha del percorso che può avere una donna. Rompere questo tipo di rappresentazioni mentali, andare oltre dimostrando che i percorsi possono essere diversi da quelli che ci si aspetta, cercare sempre di fare un passo in più, di evolvere, di fare sempre meglio è utile non solo per la donna che lo fa, ma anche per mostrare alle altre donne e al mondo che tutto questo è assolutamente possibile e reale.

P: Io l’ho visto e continuo purtroppo a constatarlo con M¥SS. Se sei maschio etero ci sono ottime probabilità o che tu non abbia recepito il messaggio o che tu nutra ancora delle perplessità nei suoi confronti. So che vedere del potere nelle mani di una donna non fa ancora piacere a tutti. Beh, amici, abituatevi, oppure sucate!

Con quali stereotipi, nella vostra carriera professionale e nel vostro percorso umano, avete dovuto fare i conti? Come siete andati oltre a questa antipatica prassi?

M: Abbattendoli uno a uno dimostrando sempre sul campo che gli stereotipi non sono reali. Purtroppo ancora oggi a una donna nel mondo del lavoro, in tutti i campi, non viene quasi mai data fiducia sin da subito, c’è sempre un certo tipo di titubanza, quindi è come se fosse sempre richiesta una prova sul campo; personalmente con M¥SS io e tutto Motel Forlanini non abbiamo mai avuto paura delle sfide, e abbiamo sempre dimostrato sul campo il nostro valore e portato a casa dei grossi obiettivi. Quelle vittorie ora sono nostre, sono oggettive, nessuno ce le può togliere, e inoltre hanno sbaragliato gli stereotipi e le difficoltà basate su di essi che abbiamo dovuto affrontare. Mi piacerebbe in generale che le difficoltà fossero le stesse per tutti, ma credo e spero che quello che abbiamo fatto noi con M¥SS rappresenti anche un passo avanti in questa direzione.

P: Agli inizi tutti tiravano in ballo la storia di “nemo propheta in patria”, perché ero un ragazzino terrone con zero riferimenti nella musica italiana. Fortuna ha voluto che cominciassi a lavorare direttamente con una label di Berlino (la Morr Music), bypassando di fatto il paludoso mondo della musica indipendente nostrana. Ora sono davvero in pace con me stesso, artisticamente e spiritualmente, per cui mi frega davvero meno di un cazzo degli stereotipi e/o delle idee sbagliate che le persone potrebbero farsi su di me/noi.

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Negli ultimi tempi, stiamo assistendo a modelli sempre più antimacho anche nel settore discografico. Credete che questo sia sinonimo di cambiamento o, come spesso accade, è solo un modo per cavalcare l’onda del successo di alcune tematiche?

M: Io credo che ci sia un cambiamento in atto, da parte di tutte le persone: sento che in generale siamo tutti stanchi di dover seguire i percorsi già indicati, i comportamenti che ci si aspetta da noi, il modo di parlare al mondo e l’espressione personale che “dovrebbero essere” per una donna o un uomo. C’è invece voglia di essere se stessi, esprimersi liberamente, essere orgogliosi di quello che si è. È una spinta forte che include assolutamente tutti: anche gli uomini vogliono giustamente liberarsi dagli stereotipi machisti. Il queer è questo secondo me: accettarsi in tutte le proprie sfaccettature, fermare così gli stereotipi esterni e soprattutto rompere le gabbie mentali interne create dal vivere in una società di questo tipo – purtroppo molto spesso anche queste ci danno problemi.

P: Un pensionato e la zia che legge li puoi pure prendere in giro, ma una persona smart è in grado di rendersi subito conto della genuinità di certi atteggiamenti/costumi/ammiccamenti. Però ecco, al di là del fattore “onestà”, io sono comunque felice se un maschio etero diffonde un certo messaggio. Nel 2020 preferisco assistere a del teatro queer piuttosto che ascoltare l’ennesimo rapper che dice di scoparsi l’ennesima tipa.

Quali sono oggi i vostri riferimenti, a livello inspirational, del panorama non solo musicale, ma a livello artistico in generale, che reputate hanno su di voi e sulle vostre produzioni un’influenza? Chi sono invece collegh* che ci consigliate di tenere occhio e in particolare?

M: Tantissimi! Io credo che tutto quello con cui vengo a contatto abbia un’influenza su di me: film, musica, libri, persone – ogni piccola esperienza ci rende quel che siamo. Vado in ordine sparso dicendo quello su cui ultimamente sono fissata: Ballard, Cronenberg, le serie Devs e Westworld, Kali Uchis, Charli XCX, Cazzurillo, la Grace Jones di Warm Leatherette, la Juke, Dj Slugo, Zebra Katz, Pelada, Park Hye Jin, Ninajirachi, Marco Ferreri, Lady Gaga in questa nuova era e il jockstrap che vende nel merch, Mugler, gli alieni.

P: Mi piace l’architettura e il design. Al liceo non sapevo neppure calcolare il diametro di un cerchio ma ora ho sto trip. Su Instagram infatti seguo solo profili di studi di architettura e orsi spagnoli. Poi Frank Ocean, Xavier Dolan, Martin Parr, i video di skateboarding, Brian Eno, la Warp records, lo studio Ghibli, Gregg Araki. Frank Ocean l’ho già detto? Non importa tanto lo nomino sempre due volte in ogni frase. Attualmente sono 100% ammaliato dal collettivo losangelino che ruota attorno a Leaving records (la costola avant della Stones Throw). Fanno meditazione, musica ambient, corsi per synth modulari. Freaks 2.0 insomma. Io nel dubbio adoro 3.0.

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