Quando si parla di ambientalismo, uno dei quesiti importanti da porsi è: cosa si intende per ambiente? Tuttǝ ricorderemo le due definizioni studiate alle elementari di “naturale” e “artificiale”, derivate da una concezione di scienza occidentale post cartesiana.
Con “Natura” intendiamo “Il sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate, che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi”. Le definizioni di “natura” o “naturale” sono generalmente molto ampie e spesso ricalcano quell’ideale ottocentesco di natura perfetta e ordinata in cui ogni cosa ha la sua funzione in un equilibrio cosmologico. Natura ordinata e perfetta ma fredda e crudele, per questo l’uomo (maschio, cis, bianco, temporaneamente non disabile, borghese, potremmo dire) vi si contrappone con la tecnologia per renderla migliore. Nell’ideale romantico, invece, la natura è caos emotivo, selvaggia, da esplorare in ogni suo esotico aspetto. Spesso crudele, ma anche materna, assolutamente idealizzata come immagine della divinità sulla Terra.
La Natura nel mondo occidentale viene connotata come femminile, come incomprensibile, ostile all’uomo, opera d’arte e fonte di ispirazione per chi fa arte. La definizione di natura sembra contenere ogni cosa ma, da un punto di vista antropocentrico, è separata dall’essere umano.
E qui giungiamo alla definizione di “artificiale” che viene proposta come contrario di “naturale”. “Artificiale” ha una definizione che identifica una realtà parallela e contrapposta alla natura in quanto “ciò che è stato creato dall’uomo”. Questa definizione binaria della realtà potrebbe essere del tutto irrilevante se non vi fosse nella distinzione binaria anche una separazione ideologica che pone l’uomo fuori dalla natura. La Natura è buona quando ci fornisce i suoi frutti che spesso non sarebbero cresciuti se una persona non li avesse coltivati.
La natura è sacra per i movimenti ambientalisti e femministi che ritrovano nelle dinamiche di sfruttamento del corpo naturale le stesse oppressioni compiute dal sistema patriarcale sul corpo delle donne. Questa natura sacra e buona continua però a essere “casa nostra” ma non noi. L’essere umano è riconosciuto come naturale, ma la tecnologia da lui creata e il frutto del suo lavoro sono artificiali, quindi nell’ottica binaria di contrapposizione ritroviamo l’essere umano come abitante di un mondo “finto”, violento, imperfetto e tossico.
Durante una discussione che ho avuto sul concetto di natura e la sua sacralità, è venuto fuori il parere per cui un edificio in cemento non potesse essere considerato parte della natura, mentre uno in pietra sì. Questa riflessione mi ha portata a pensare all’esistenza di un momento temporale in cui effettivamente l’uomo sia uscito – anche solo parzialmente – dalla natura, ovvero con il frutto del suo lavoro, anche se si trattava comunque della casa in cui abitava.
Allo stesso modo i device elettronici sono intesi come innaturali, fittizi. Questa idea di tecnologia però non attecchisce in tutte le comunità, come in quella delle persone disabili per cui per esempio la sedia a ruote o una protesi è parte del proprio corpo. Anche per molte comunità native non esiste alcuna differenza tra il prodotto delle azioni umane e quelle naturali.
Il mondo artificiale prende però nell’ambientalismo bianco le caratteristiche della mascolinità tossica e sale su un binario diverso creando una spaccatura invalicabile tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Non è “naturale”, quindi si scontra con la natura da difendere negando una realtà che consente agli esseri umani di vivere. “Artificiale” è una parola difficilmente definibile per popolazioni che vivono senza aver compiuto questa separazione e si ritrovano a un certo punto a essere costrette a diventare parte del mondo artificiale, quando le dinamiche occidentali bianche colonialiste costringono le persone a lasciare i loro luoghi incontaminati e ritenuti selvaggi, inabitabili.
Alcune frange dell’ecofemminismo anarchico hanno quindi posto una domanda. Così come cerchiamo di distruggere la separazione binaria dei generi che polarizza in uno scontro manicheo e genera dinamiche di potere tra ciò che è giusto e ciò che è “altro”, potremmo iniziare a considerare l’essere umano come naturale e tutto ciò che crea per sopravvivere come naturale, in quanto non esisterebbe senza l’azione umana ma rispettante le medesime regole fisiche della natura?
L’essere umano non crea ma assembla, trasforma, trasporta, sintetizza. Se pensassimo infatti alla tecnologia ovvero al frutto dell’attività umana come parte non distinta della natura sarebbe a tutti gli effetti la stessa qualità di materia del nido di un uccellino, le modificazioni del territorio come quelle compiute dagli elefanti o dai castori.
Perché questa idea sarebbe rivoluzionaria? Innanzitutto per riconoscere dal punto di vista ambientale che le città sono ambienti da salvaguardare perché parte della natura ma non come entità altra. Quando si parla di cambiamento climatico si tendono a usare frasi come “il pianeta sta morendo”, come se dovessimo occuparci di una realtà aliena ma strettamente collegata a noi mentre moltissimǝ attivistǝ e scienziatǝ insistono col sostenere che il pianeta non ha problemi. Il pianeta inteso come natura si modifica e si adatta alla mutazione di circostanze. Se invece osserviamo la nostra presenza e contingenza rispetto alla natura, potremmo spostare la discussione dell’ambientalismo sul piano di un’equa protezione delle persone e della sopravvivenza del genere umano sul pianeta.
L’antropocentrismo è stato spesso indicato come l’origine del sistema gerarchico che il femminismo intersezionale si prefigge di smantellare e, in questo caso, il ragionamento condotto fino a qui potrebbe sembrare un cortocircuito che riporterebbe l’uomo al centro. Quello che penso invece è che è necessario togliere potere all’uomo sulla natura, smantellare la visione di onnipotenza gerarchica e ridare una dimensione di realtà al tutto, così da garantire una società più equa per tutti gli esseri viventi, senza distinzioni.
esistono uomini e donne senza stereotipi