Chissà quanti fumettisti in potenza ci sono là fuori.
Persone cresciute con la passione per questo genere letterario (ehi, mica lo dico io, lo dice Will Eisner) e magari anche piuttosto abili col disegno, che per un motivo o per un altro non sono mai diventate autori.
Sarebbe potuto essere questo il destino anche di Fabien Toulmè, di professione ingegnere civile, che a un certo punto della propria vita si è trovato fra le mani una storia da raccontare con urgenza, finendo per sfornare il suo primo graphic novel. La storia in questione era la sua.
“Non è te che aspettavo” (edito da Bao Publishing) è infatti il racconto autobiografico della nascita di Julia, secondogenita dell’autore affetta da Trisomia 21 – comunemente chiamata Sindrome di Down. Un evento che comprensibilmente sconvolge gli equilibri del microcosmo familiare composto da Fabien, dalla compagna Patricia e dalla piccola Louise.
Toulmè affida alla narrazione fuoricampo in prima persona e ad uno stile grafico asciutto, ma incredibilmente maturo per un esordiente il compito di raccontare la vicenda, dalle prime diagnosi errate, passando per la nascita della figlia, il rifiuto della genitorialità, la voglia di saperne di più, fino alla presa di coscienza finale, il tutto con una onestà spiazzante. In altre mani sarebbe potuto uscirne fuori un melodramma pietistico con velleità pedagogiche, ma in questo caso l’autore è abilissimo a mantenere un tono leggero e persino ironico che fa gradualmente affezionare il lettore ai personaggi, squarciando al tempo stesso lo stereotipo della disabilità.
Già le sento le domande nella vostra testa: “Sì, ma io che non ho velleità di diventare genitore?” “Sì, ma io che non ho dei cari affetti da trisomia?”
Bene, la chiave per amare ancora di più questo graphic novel non è quella di aver vissuto un’esperienza simile, ma proprio l’esserne estranei: il duro percorso di accettazione di Toulmè, che passa da un doloroso rifiuto iniziale a una fase di indagine e comprensione sull’argomento fino a diventare davvero “genitore”, è in qualche modo anche il percorso che il lettore compie nell’avvicinarsi al mondo della Sindrome di Down attraverso questo fumetto.
La struttura in capitoli enfatizza ulteriormente questo concetto di “fase”: ognuno è infatti connotato da un colore predominante che diventa un ulteriore elemento a supporto del racconto (i ricordi del passato in seppia, i momenti in ospedale in azzurro…).
A far da contrasto al conflitto interiore di Fabien c’è inoltre la naturalezza con cui compagna e figlia accolgono la nuova arrivata, come a voler calcare la mano sul fatto che la paternità non sia una componente innata, ma vada in qualche modo costruita.
Terminata la lettura, sarà difficile vedere con gli stessi occhi le persone affette da Sindrome di Down, un po’ come quando Fabien dopo un affettuoso incontro con un altro bambino trisomico afferma:
“Mi sentii felice, felice di essermi evoluto, di non vedere più l’handicap, ma il bambino”.
“Non è te che aspettavo” è una storia semplicissima, lineare nel tempo e negli eventi che scandiscono la narrazione, che parla del potere dell’empatia nel percorso di accettazione dell’altro. È la testimonianza di un singolo che se compresa diventa un modello applicabile a qualsiasi altro tipo di discriminazione, ma perché no, anche alla genitorialità intesa in senso universale: quello che emerge dalle vicende raccontate da Toulmè è che non si tratti di una qualità innata, quanto del frutto di un percorso interiore ben preciso. L’autore finisce così per regalare con quest’opera un vero e proprio atto d’amore per la figlia e per la propria famiglia.
Rifiuto, comprensione, accettazione, affetto. Quattro fasi di un modello che probabilmente tutti noi abbiamo vissuto, in diversi contesti. Forse però, come ci dice questo graphic novel, il requisito di partenza è solo uno: essere sinceri verso se stessi e verso gli altri. Forse, in fondo, non serve davvero molto altro.