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Non se ne può fare a meno. La giustizia climatica ha bisogno del femminismo
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Non se ne può fare a meno. La giustizia climatica ha bisogno del femminismo

Il femminismo o la morte: è questo il titolo dell’opera con la quale Françoise d’Eaubonne coniò nel 1974 il termine “ecofemminismo”. Extinction Rebellion, Ende Gelände, Fridays for Future: si ribellano tutti contro l’estinzione. Contro la morte. Con la distruzione delle foreste, la contaminazione delle acque, delle falde acquifere e del suolo e l’inquinamento dell’aria stiamo mettendo seriamente a repentaglio le fondamenta della vita umana e animale. Lo sappiamo tutti. Non vi è dubbio sulla necessità di soluzioni pulite ed efficienti dal punto di vista delle risorse per il futuro dei nostri nipoti. Tuttavia, il punto sicuramente in discussione è: come riuscirci?

La giustizia climatica è ben più che tutela ambientale

L’attuale movimento per la giustizia climatica svolge in questo momento un ruolo centrale nella lotta contro la crisi climatica. La sua innovazione? Non parla soltanto dell’ambiente e della natura. L’idea non è nuova, ma solo l’attuale movimento per la giustizia climatica intorno a protagonisti come Greta Thunberg e i giovani attivisti di tutto il mondo l’hanno resa socialmente accettabile. È ormai chiaro che la crisi climatica sia una crisi di genere.

Si tratta dell’intersezionalità, dell’interazione di diversi fattori sociali in termini di discriminazione e penalizzazione. Non possiamo risolvere la crisi climatica se non pensiamo al di là del confine ambientale e non consideriamo le cause alla radice. Non si tratta solo di salvare le foreste o di preservare il ghiaccio al Polo Nord. Si tratta di arrivare al nocciolo del problema: sfruttamento e oppressione.

Lo sfruttamento della natura e dell’ambiente funziona secondo gli stessi meccanismi dello sfruttamento delle minoranze sociali, delle persone socialmente svantaggiate o delle regioni economicamente deboli. Per il bene della nostra crescita economica, ci avvaliamo delle risorse naturali a scapito della biodiversità e di un ambiente sano e capace di autorigenerarsi. Allo stesso modo, sfruttiamo il lavoro dei bambini, delle donne e di altre persone socialmente svantaggiate in regioni economicamente deboli a scapito della loro salute, dei loro diritti e dei loro mezzi di sussistenza. L’ecofemminismo non significa quindi nient’altro che smettere di sfruttare le risorse naturali – incluse quelle umane – e rafforzare i diritti dell’uomo, degli animali e della natura.

Il coinvolgimento delle donne nella crisi climatica e nell’attuale società industriale

Nella maggior parte delle famiglie a livello mondiale, le donne sono responsabili della fornitura di acqua ed energia – per cucinare, riscaldare, lavare e così via. In particolare, nei Paesi del Sud globale (come l’Etiopia o l’India), ma anche nell’Europa orientale e nel Caucaso, le famiglie dipendono fortemente dai materiali di riscaldamento a base di legno e le infrastrutture di queste regioni spesso offrono un accesso inadeguato all’acqua potabile. La siccità, l’aridità e la deforestazione su larga scala complicano enormemente il lavoro quotidiano delle donne. In generale, è più probabile che le donne siano coinvolte nel settore agricolo rispetto agli uomini, e che quindi abbiano un interesse diretto nella prevenzione degli insuccessi delle colture.

I ruoli di genere e la conseguente distribuzione delle mansioni comportano anche il fatto che le donne sono più colpite dai disastri naturali in misura maggiore rispetto agli uomini. Per esempio, tra le vittime del ciclone Sidr del 2008 in Bangladesh, l’80% sono state classificate come donne e ragazze e solo il 20% come uomini. Nel terremoto del 2010 in Serbia, le frane hanno distrutto pozzi e contaminato l’acqua, il che ha rappresentato un peso particolare per le donne, tradizionalmente responsabili dell’approvvigionamento idrico. Lo stereotipo delle donne come vittime è stato addirittura rafforzato in questo caso, con la richiesta da parte del Governo di “mille uomini forti” come volontari e la loro celebrazione come eroi. Le organizzazioni di donne impegnate a fornire un sostegno immediato nelle regioni colpite dalla crisi non sono state praticamente notate dall’opinione pubblica.

Le donne tendono ad avere meno opportunità di proteggersi, poiché spesso hanno un accesso più difficile alle informazioni, meno risorse finanziarie e meno voce in capitolo. A livello globale, per esempio, solo il 20% delle proprietà terriere è in mano alle donne. D’altra parte, in alcuni luoghi fino all’80% della produzione alimentare è affidata alle donne. Pertanto, la maggior parte delle contadine lavora nei campi dei loro mariti, padri e fratelli. Allo stesso modo, sono spesso sottorappresentate negli organi decisionali politici ed economici e non hanno quindi la possibilità di partecipare al processo decisionale quando si tratta della regolamentazione giuridica di sostanze tossiche o dell’accesso all’acqua e all’energia.

Il ruolo (di genere) del Nord globale

In modo analogo, è possibile osservare una disparità nel Nord globale per quanto riguarda la tutela climatica e ambientale. Anche in questo caso, in seno agli organi decisionali siedono prevalentemente uomini. Per esempio, nel 2019 la quota rosa nei consigli di amministrazione delle grandi società quotate in Germania soggette a codeterminazione era solo dell’8,5%. A ciò si aggiunge il fatto che in Germania le donne guadagnano circa il 20% in meno degli uomini e il reddito è correlato alle dimensioni della propria impronta di CO₂. Questo significa che nel Nord globale produciamo una quantità di CO₂ pro capite maggiore rispetto al Sud globale. E gli uomini producono in media più CO₂ rispetto alle donne.

Perché? Per adempiere al loro ruolo di genere, guidano auto più grandi, guidano più velocemente, usano più dispositivi elettronici e mangiano più carne. E le donne? Queste ultime si assumono ancora spesso la maggior parte del lavoro di cura e si occupano della famiglia e della casa. Questo significa che anche il lavoro extra per una gestione sostenibile della casa spetta a loro: ridurre l’uso della plastica, preparare de sé uno shampoo ecologico e persino confezionare un pesto dai ciuffi verdi delle carote in modo da ottenere un riciclo completo. A ciò si aggiunge il fatto che la donna moderna del Nord globale ha anche un lavoro da svolgere. La tutela climatica e ambientale è quindi in ogni caso una questione femminista.

Il problema non sono gli uomini. Il problema è il patriarcato.

I problemi menzionati non sono colpa degli uomini, né delle donne o di qualsiasi altro genere. Il problema risiede nei ruoli di genere con cui veniamo ugualmente socializzati fin dalla nascita. La scelta dell’auto ha raramente a che fare con le preferenze personali e innate, bensì con le aspettative della società a cui siamo esposti.

Tanti uomini non hanno più voglia di machismo e di comportamenti dominanti. Sono più inclini verso una forma di mascolinità che permetta loro anche la cura, la dolcezza e la moderazione – tutte qualità in precedenza attribuite alle donne. Affinché ci sia possibile vivere le qualità che vogliamo vivere e non quelle che ci sono state assegnate in base al genere, occorre il contributo di noi tutti. È necessario un cambiamento di valori. Ecco perché l’ecofemminismo ci riguarda tutti.

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L’ecofemminismo consiste nel trovare un equilibrio e sfidare le nozioni patriarcali di tutte le forme di oppressione. E non solo tra i generi, ma tra tutti gli oppressi e gli oppressori: Tra uomini cis e donne e comunità LGBTQ+, tra ricchi e poveri, tra bianchi e BIPoC (Black, Indigenous and People of Colour) e anche tra l’uomo e la natura. La lotta per il clima, la tutela ambientale e l’accesso equo alle risorse è la stessa lotta per la giustizia di genere. Assume semplicemente forme diverse.

Il mondo vivrà – se lo lasciamo vivere

Abbiamo bisogno di decisori politici che prendano sul serio l’accordo climatico di Parigi e che attribuiscano maggiore importanza alle soluzioni volte a creare un mondo sostenibile anziché un pensiero di crescita distruttivo. Abbiamo bisogno di persone nel mondo degli affari per garantire che le aziende seguano il principio di precauzione e non mettano sul mercato prodotti chimici nocivi, non brevettino le sementi e non privatizzino l’acqua. Abbiamo bisogno che i Governi rendano seriamente possibile un’energia pulita e decentralizzata e realizzino un’economia circolare. Abbiamo bisogno di decisori che assicurino l’accesso all’acqua pulita, all’energia e ai medicinali. Questo è l’unico modo per colmare le lacune della disparità.

L’ecofemminismo ci aiuta a individuare gli ostacoli strutturali che si frappongono tra noi e un mondo basato sulla parità tra i generi caratterizzato da un ambiente sano, e ci fornisce gli strumenti per superarli. In quanto organizzazione – Women Engage for a Common Future – che lavora per un mondo sano e giusto, ci rendiamo conto che questi strumenti devono essere molteplici. Sono necessarie soluzioni individuali a seconda del problema, della regione e delle rispettive condizioni sociali e culturali.

Il mondo vivrà. Perché vediamo la nostra responsabilità nell’utilizzare i mezzi democratici che sono (ancora) a nostra disposizione per influenzare i decisori. Allo stesso modo, vediamo la nostra responsabilità nel prendere coscienza del nostro spazio di intervento e nell’utilizzarlo. #ReclaimÖkofeminismus – e il mondo vivrà.

Fonte
Magazine: Gunda-Werner-Institut
Articolo: Ohne geht’s nicht. Klimagerechtigkeit braucht Feminismus
Scritto da: Julika Zimmermann
Data: 6 novembre 2020
Traduzione a cura di : Grazia Polizzi
Immagine di copertina: v2osk su Unsplash
Immagine in anteprima: Pinterest

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