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Parliamo di parità… in termini di parità
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Parliamo di parità… in termini di parità

La parità passa anche e soprattutto attraverso il linguaggio. Le parole sono veicolo di significati oltre che di messaggi. Frutto di secoli di evoluzione del pensiero, sono esse stesse il messaggio. Rimandando a una rete semantica da cui non si può prescindere, i termini di un vocabolario sono tutti interconnessi e non sussistono da soli.

Non ci si può, o almeno non ci si dovrebbe, esprimere mediante parole che, per il loro significato o il loro uso attuale, siano in contraddizione con il messaggio che si vuole trasmettere. Parlare ad esempio di femminismo in termini sessisti, oltre a delegittimare l’intero discorso – minando in maniera irreversibile alla sua credibilità – produce un effetto di contraddittorietà intrinseco che non permette al contenuto del discorso di viaggiare fino al suo destinatario.

Il lessico utilizzato è parte integrante dello scambio linguistico. Ne va della comunicazione stessa.
Per parlare di parità bisogna perciò parlare in termini di parità.

Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza su alcuni termini/temi chiave della parità, che finora, coniugati in ambito sociale e politico, hanno fatto parte della storia italiana e non solo.

ASSIMILAZIONE

Per assimilazione si intende, o meglio, si intendeva – data l’arretratezza del concetto – una parificazione mediante agguagliamento e omologazione. L’uguaglianza di una minoranza rispetto alla maggioranza in cui questa si inseriva si basava esclusivamente nella capacità degli individui di rendersi il più possibile simili alla massa.

L’accettazione di un gruppo minore da parte di uno numericamente più esteso avveniva attraverso l’assorbimento di quest’ultimo. In altri termini, le minoranze subivano una sorta di conversione. Le differenze venivano via via assottigliate, fino a scomparire del tutto. Nell’assimilazione, il diverso veniva quindi accettato solo nella misura in cui riusciva a rendersi sempre meno diverso, sempre più simile.

Direttamente connesso all’assimilazione, è il concetto di “accettazione”.

L’accettazione è un’azione che viene compiuta da una determinata categoria di persone in relazione a un’altra. Una sorta di gentile concessione che, nei termini e nelle modalità che il primo gruppo stabilisce, viene offerta a un secondo gruppo, reputato – per criteri vari ma comunque considerati incontestabili – diverso. Ed è un’operazione unilaterale, non biunivoca. Questo si traduce nell’inglobamento di una certa minoranza a patto che questa si adegui in ogni ambito alla maggioranza. L’accettazione è insomma una sorta di non esclusione, un’idea ancora molto lontana da una reale ed effettiva parificazione tra persone.

Per fare un esempio, un bambino con disabilità viene accettato in una classe a maggioranza “normodotata” quando, pur non essendo escluso a priori mediante norme o criteri ad hoc, viene trattato e considerato come non avente disabilità. La diversità risulta annullata non in quanto superata, ma in quanto ignorata e dimenticata. Il bambino non verrà escluso dalle attività relative alla sua classe, ma queste non saranno pensate sulla base della sua condizione. Trattare una persona con disabilità come se non ne avesse non la aiuterà a superare le difficoltà che dalla sua condizione derivano, al contrario provocherà un senso di ulteriore lontananza e differenza rispetto al gruppo di cui, sulla carta, fa parte. Il bambino si ritroverà a dover rinunciare alle attività proposte in quanto inadatte a lui, esclusive di determinate persone e, quindi, escludenti per tutte le altre.

L’assimilazione è un concetto che l’ha fatta da padrona in ambito socio-economico e politico-culturale per secoli. Ha iniziato a vacillare solo con la critica post-coloniale e l’avvento di società multiculturali.

INTEGRAZIONE

L’integrazione è invece un processo di incorporazione in cui due o più categorie di persone vengono a coesistere. Per poter rendere questa combinazione funzionale e far sì che nessuno venga schiacciato dagli altri componenti, si adottano delle strategie volte al rispetto delle caratteristiche dei vari gruppi. Dall’inserimento di una minoranza all’interno di una maggioranza viene fuori un composto dichiaratamente disomogeneo, in cui le differenze non vengono cancellate ma raccordate. Ne risulta una specie di intersezione tra insiemi distinti in cui si viene a creare uno spazio comune in cui questi possano coesistere pacificamente e senza difficoltà. Dall’assorbimento dell’assimilazione si passa qui alla cooperazione.

La diversità nei modelli integrativi non è un problema ideologico e nemmeno fattuale. Si ricercano cioè delle modalità e degli approcci che non rendano problematiche le differenze tra individui nemmeno a posteriori, nell’effettiva interazione tra persone.

Per tornare all’esempio del bambino con disabilità, la sua integrazione passa attraverso la proposta di attività completamente alla sua portata, la cui fruizione non è messa in discussione dalla sua condizione. La classe non dimentica la sua disabilità ma la tiene in considerazione. Dall’accettazione come magnanima elargizione, si passa alla comprensione della diversità. Il processo è biunivoco. Entrambe le parti in causa ricevono e offrono qualcosa e, dall’interazione reciproca, ambedue ne risultano avvantaggiate, arricchite.

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L’idea di integrazione si è affacciata relativamente di recente, in particolare dagli anni Settanta del secolo scorso e, con qualche accorgimento e attenzione in più, è tuttora un valido approccio nell’inter-relazione tra soggetti e/o gruppi. Tuttavia da sola potrebbe risultare insufficiente. L’integrazione infatti lavora prima sulla minoranza e poi sul contesto e chiede al soggetto specifico di coordinarsi con il percorso “standard”. Necessita dunque di essere ripensata per far sì che i suoi strumenti, comunque validi, possano essere messi in atto. Da qui nasce l’idea di inclusione.

INCLUSIONE

Nell’inclusione si ha la creazione di un nuovo insieme di persone, nato dall’unione dei due gruppi precedenti ma aperto a ulteriori nuovi gruppi di individui. Laddove l’integrazione crea un’intersezione tra insiemi, l’inclusione opera appunto un’unione. E forse l’esempio insiemistico non basta a rendere l’idea, in quanto nell’inclusione, più che di una delimitazione entro certi limiti, si ha un’apertura verso l’altro. Se l’integrazione muove da una situazione di reale coesistenza di diverse categorie, l’inclusione è più la possibilità di una possibile convivenza. Infatti si definisce inclusivo un modello che permette e agevola l’inserimento di una minoranza anche prima che questa sia già effettivamente entrata in relazione con la maggioranza.

Non è corretto nemmeno parlare di inserimento perché dà l’idea di un processo additivo: nell’inclusione, invece, dall’interazione di persone diverse si ha un nuovo contesto in cui non è possibile tracciare i confini del noi-voi, dell’io-altro. L’inclusione non è un processo di contenimento.

Le differenze, dopo essere state comprese, vengono qui valorizzate. La considerazione della diversità permette di ri-comprenderla: viene ri-compresa nel senso di ripensata in termini più inclusivi appunto, e ricompresa nel senso di abbracciata in un nuovo insieme più ampio e più aperto. L’inclusione è un processo multi-direzionale. La relazione non è più a due. Abbattendo le barriere tra una certa minoranza rispetto alla maggioranza, se ne abbattono molte altre, non immediatamente connesse alle prime. Si crea così una nuova società multiforme, non più pensata secondo un solo criterio di differenziazione.

Dall’offerta di piani formativi e didattici inclusivi, risulterà valorizzato non solo il bambino con disabilità di cui sopra: l’intera classe trarrà dei vantaggi in termini educativi, acquisirà nuovi strumenti, amplierà le proprie capacità e svilupperà delle attitudini che, in un altro contesto, sarebbero state solo potenziali. Nato negli ultimi decenni, l’inclusione è l’attuale modello preso in considerazione quando si parla di interazione tra persone.

Quali differenze?

Al di là dei diversi approcci alla questione, è importante chiarire che il problema di fondo è quello di mettere in discussione i criteri di classificazione delle persone. Chi decide l’appartenenza o la non appartenenza di un individuo rispetto a un determinato gruppo? E soprattutto, chi stabilisce quali parametri debbano essere discriminanti per questa o quella categorizzazione? Le differenze, come le somiglianze, esistono solo rispetto a qualche tipo di principio di distinzione/similarità. Se cambiamo criterio, cambiamo le differenze. Se lo ripensiamo, le superiamo.

Per approfondire:
Seyla Benhabib, La rivendicazione dell’identità culturale – Eguaglianza e diversità nell’era globale
Caterina Botti (a cura di), Le etiche della diversità culturale
Gayatri Chacravorty Spivak, Critica della ragione postcoloniale
Laboratorio Apprendimento
Miur
Inclusive education: Knowing what we mean
Immagine di copertina: Tim Mossholder

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