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Partiamo dalle basi: cos’è il femminicidio?
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Partiamo dalle basi: cos’è il femminicidio?

Partiamo dalle basi: che cos’è il femminicidio?

Il termine femminicidio è un neologismo che descrive un fenomeno estremamente diffuso, anche se spesso l’utilizzo del termine di per sé viene criticato, giudicato superfluo o addirittura additato come controproducente quando, secondo alcune persone, basterebbe parlare di omicidio.

Ecco cosa riporta il dizionario Zanichelli:

femminicìdio / femminiˈtʃidjo/
[comp. di femmina e -cidio ☼ 2001] s. m. (pl. -i o raro -ii)
● uccisione o violenza compiuta nei confronti di una donna, spec. quando il fatto di essere donna costituisce l’elemento scatenante dell’azione criminosa.

Il termine femminicidio non indica però (solo) l’omicidio di una donna, ma l’omicidio di una donna in quanto tale spesso da parte di partner, ex partner, marito o conoscente, per motivi quali rifiuto, gelosia e incapacità di accettarne l’autodeterminazione. Ancora troppo spesso, in Italia circa ogni tre giorni, la vita di una donna viene stroncata perché considerata di proprietà di un uomo che si arroga il diritto non suo di porle fine. Proprio la maggior parte degli eventi con vittime femminili avviene in ambito familiare/affettivo (l’85,1%), in cui i principali moventi sono la gelosia e il possesso (impropriamente definito “passionale”) (fonte Eures). È quindi chiaro perché non basti dire omicidio in questi casi: le parole aiutano a dare forma a un concetto nella nostra mente, a riconoscerlo e a prendere familiarità col problema.

La violenza di genere nella storia

Se il termine femminicidio viene coniato a partire dalla definizione di “femicide” di Diana Russel solo nel XX secolo, la violenza brutale contro le donne è invece un fenomeno dalle origini ben più antiche. A cambiare, nella storia, è la concezione di violenza contro le donne e violenza domestica: in passato era un fenomeno maggiormente accettato all’interno della società e veniva semplicemente inquadrato nell’uso giudicato legittimo della forza e della supremazia maschile. Dall’Ottocento, si inizia a far strada in Italia un dibattito sulla violenza maschile contro le donne, che porterà nel 1976 all’apertura del primo Centro contro la violenza sulle donne a Roma. Seguono cambiamenti profondi anche sul piano legale, in cui si approfondisce il concetto di violenza di genere, arrivando a includere nei reati comportamenti in passato giudicati legittimi, come appunto i maltrattamenti in famiglia.

Il delitto d’onore

L’idea che si uccida per “troppo amore”, come ancora qualche media continua a sostenere, ha radici culturali ben precise nella mentalità e nel sistema giuridico del nostro Paese. Soltanto nell’agosto del 1981, infatti, è stato abrogato l’art. 587 del Codice penale sul delitto d’onore, assieme alle disposizioni sul matrimonio riparatore, con la legge n. 442. L’art. 587 stabiliva una sensibile riduzione della pena, da 21 anni previsti per omicidio volontario a un periodo compreso tra tre e sette anni in presenza di “attenuanti” quali motivi d’onore, ira o infedeltà. Il vecchio articolo del Codice penale recitava:

“Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella”.

Nonostante la legge sia stata abrogata, a livello culturale ciò non corrisponde automaticamente a un profondo mutamento sociale. Le evoluzioni sul piano giuridico rispecchiano certo un cambiamento, ma serve tempo affinché questo prenda forma nella mentalità e nei comportamenti della totalità della popolazione. Nonostante l’abrogazione, dunque, il cosiddetto delitto d’onore perdura sotto forma di lascito culturale tutt’oggi tangibile, in particolar modo nel caso dei femminicidi.

Analogamente, lo stupro passa dall’essere considerato “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume” a reato contro la persona secondo l’art. 609 bis del Codice penale soltanto nel 1996.

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Il femminicidio sui media

Per quanto sul piano legale siano stati fatti dei passi avanti per riconoscere i reati di violenza contro le donne, su quello mediatico la narrativa predominante è ancora un’altra. Nonostante la pervasività del fenomeno in Italia, manca ad oggi infatti una narrazione sensibile e attenta riguardo le questioni di genere e in particolare proprio il femminicidio. Giornali e televisioni sono pieni di notizie di donne uccise per motivi di genere, ma spesso ne viene offerta una versione dei fatti che è figlia di una cultura patriarcale la quale attenua, se non addirittura giustifica, chi ha compiuto violenza.

La narrazione mediatica della violenza di genere è fondamentale per il tipo di messaggio inviato al pubblico, sia quello maschile che femminile. Ci sono infatti vari modi in cui questa può nuocere nuovamente alle vittime di femminicidio, per esempio tramite un’eccessiva enfasi posta sui dettagli che tentano di giustificare gli atti del violento: lei voleva lasciarlo, non ricambiava i suoi sentimenti, lo tradiva, era geloso, ha perso la testa, fino al famoso “raptus” e al pericoloso “troppo amore”. Si rischia inoltre di porre l’accento sullo stato d’animo del responsabile, stimolando a volte pietà ed empatia nei suoi confronti e dimenticando momentaneamente la reale vittima della violenza.

Le notizie tendono poi a far risaltare il carattere di “emergenza” dei singoli fatti riportati, enfatizzando l’episodio specifico e trascurando la più ampia e complessa questione sociale che ne è alla base: non si tratta infatti di un solo caso, né di fatti sporadici. Sarebbe opportuno, oltre ai molti e talvolta inutili dettagli dei singoli femminicidi, parlare più approfonditamente delle cause, della prevenzione e della mancata parità tra uomini e donne.

Concentrarsi nella narrazione giornalistica sui singoli dettagli, sullo stato d’animo del responsabile e su tutto ciò che non riguarda la gravità dei comportamenti possessivi e contro l’autodeterminazione delle donne, è pericoloso per quello che implica la ricezione di tali notizie. Laddove la narrazione non è attenta, infatti, si rischia una vittimizzazione secondaria di chi è stata vittima una volta o di chi ha alle spalle una storia che la porta a immedesimarsi nel fatto di cronaca riportato.

Tra discriminazioni e violenza di genere

Per concludere, il femminicidio è un fenomeno prodotto dalle complesse radici culturali e giuridiche della nostra società. Comprenderne le cause e il legame che intercorre tra le discriminazioni di genere e la violenza è fondamentale per prevenire questo tipo di reato. Nonostante siano stati fatti dei passi avanti nel percorso storico della violenza di genere, dei maltrattamenti in famiglia e dei femminicidi, resta comunque molto lavoro da fare, sia sul piano culturale che politico. Speriamo quindi, ma soprattutto lavoriamo affinché una maggiore consapevolezza delle questioni di genere ci porti verso un futuro in cui le donne non debbano più essere punite semplicemente perché decidono di autodeterminarsi in quanto donne.

Per approfondire
Byerly, C. M. (1994). Teaching Rape Coverage. The Journalism Educator, 49(1), 59-69.
Kitzinger, J. (2004). Media Coverage of Sexual Violence Against Women and Children. In K. Ross & C. M. Byerly (Eds.), Women and Media: International Perspectives. Melbourne: Blackwell Publishing.
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  • Quando il mio ex ragazzo mi ha dato una sberla il mondo è venuto in mio aiuto, sono stata compatita da tutti compresa la madre di lui. Quando la ragazza di mio fratello lo ha aggredito con un martello, lasciandolo sanguinate e c

  • *con tanto di cicatrici perché lui la voleva lasciare la polizia le ha dato “un avvertimento.” Che non le ha impedito di stalkerarlo pesantemente per mesi. La reazione della gente? “Poverina, aveva il cuore infranto.” La gente di merda esiste, uomini e donne. Essere donne non ci impedisce di essere gelose, tossiche, possessive, violente. Sono tratti umani, non tratti maschili.

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