Vi racconto come una passione per la storia dell’editoria periodica si è trasformata nella creazione della mia zine, Frute.
Articolo di Cecilia Cappelli
È ormai da qualche anno che nei media hanno preso piede diverse riflessioni che coinvolgono il femminismo, spesso scatenate da ragazze, sui social, con mezzi artistici.
Allo stesso tempo, è in atto un’altra grande trasformazione riguardante l’indipendenza dell’informazione, e le pubblicazioni indipendenti cartacee nell’ultimo decennio sono riuscite a rivoluzionare il mercato dell’editoria periodica.
Se mescolassimo queste due cose insieme, magari aggiungendo una dose di ricerca sull’aspetto visivo? Ne uscirebbe qualcosa che mira a lavorare su un tipo di comunicazione contemporanea, non patriarcale, libera e femminista.
Ho fondato il mio maga(zine) femminista un anno fa, semplicemente ponendomi la domanda “Come posso coniugare tutti i temi che mi stanno a cuore?”. Da una parte sono una feticista della grafica stampata (è il mio lavoro) e dall’altra sono una ragazza, e come tale mi interessano i diritti della mia categoria.
Quando mi è stato chiesto da Bossy di raccontare in che contesto è nata Frute ho pensato sopratutto alla necessità che sentivo di portare in Italia un pezzettino di quel mondo editoriale femminista che sta contribuendo a modellare una consapevolezza sull’importanza della diversità e dell’inclusione. In un’epoca in cui sembra non ce ne sia bisogno, invece ha perfettamente senso: basta dare un’occhiata ai social per scoprire un sottobosco fittissimo di pubblicazioni indipendenti.
Alcune delle riviste indie più famose di cui potreste aver sentito parlare sono Gentlewoman, BUTT, Bust, Sassy, Riposte… Ma nuovi progetti continuano a spuntare continuamente. Diversi magazine femminili/isti si trovano solo all’estero, nelle librerie oppure online, quindi non aspettatevi di comprarli nell’edicola sotto casa, come per esempio Girls Like Us o Season (rivista di calcio per ragazze), perché si pongono proprio come alternative a quella che è la stampa mainstream.
Questo fenomeno è stato ereditato in parte dal mondo delle fanzine, che esistevano in un mondo editoriale underground che si basava sull’unione sentita tra i lettori, più che sulle vendite. Decenni prima del web, infatti, costituivano un immaginario e una filosofia unici ed indipendenti, lo stesso che poi è emigrato su blog e riviste online. La fanzine femminista in assoluto più famosa era americana e si chiamava Riot Grrrl, da cui poi è nato un intero movimento all’inizio degli anni ’90 (se non siete grandi fan della carta stampata, forse almeno conoscerete le Bikini Kill, il gruppo che ci stava dietro).
La loro l’estetica super iconica non era basata su un’attenzione grafica, ma si concentrava volutamente sull’approccio punk dato da collage, scritte a mano e fotocopie. Non esistevano servizi fotografici ne tantomeno pagine a colori.
Negli anni successivi invece è venuta a crearsi una nuova era di pubblicazioni femministe e queer che mescolano le loro ideologie con il valore della produzione (quindi una professionalità nel design e nel linguaggio visivo in generale). Ed è quello che stiamo cercando di fare anche noi con Frute, parlando di ragazze e discriminazioni.
Per arrivare a costruirla ci è voluto del tempo: il progetto è nato 2 anni fa come lavoro finale della mia laurea in progettazione grafica editoriale, e si basa proprio su una ricerca sulle riviste per ragazze del passato, femministe e non, passando per fanzine ed editoria mainstream — potrei parlare per ore dell’apporto di Cioè o Top Girl sull’educazione sessuale delle adolescenti italiane… Avete mai pensato che anche in riviste apparentemente superficiali, come i teen-magazine, fossero presenti articoli sull’accettazione e la conoscenza di se stesse? Proprio gli stessi temi che poi si ritrovano nelle fanzine di matrice femminista, ad esempio!
Ovviamente però il nostro piano si discosta dal vedere il proprio pubblico come un cliente commerciale, ma anzi, la tendenza è sempre di più il coinvolgere la propria comunità.
È per questo che Frute cerca di presentarsi meno come fanzine e più come rivista: perché viene creata grazie non ad amatori ma a giovani autori, illustratori, fotografi e professionisti del mondo editoriale.
Esce due volte l’anno e si pone l’obbiettivo di guardare ad un futuro post-gender.
Ci occupiamo di diritti, confini del genere sessuale, poliamore, concezione di famiglia, prevenzione della discriminazione, corpo, sessualità, auto-determinazione delle ragazze… insomma, quando l’ho immaginata, mi sono resa conto che stavo lavorando ad una rivista femminista.
La produzione di riviste femministe in realtà è stata molto florida in Italia (durante le mie ricerche sono approdata alla Biblioteca della Casa delle Donne di Milano, posto che consiglio a tutt* i/le magazine-nerd come me). Le più famose in assoluto sono state Noidonne ed Effe. Il gap che ho notato, però, era che mentre da una parte esistevano diversi progetti di di partito o di controcultura, dall’altra esisteva solamente l’editoria mainstream, senza una via di mezzo, e per molto tempo è stato così.
Non ci vergogniamo di dire che Frute infatti è rara nel suo genere (se conoscete altre riviste cartacee femministe autoprodotte fatevi sentire e facciamo squadra!).
“Ma è meglio carta o web?”
Occupandomi di editoria, non riesco a ricordarmi quante centinaia di volte abbia sentito questa domanda. Sono due mezzi differenti e non è detto che debbano essere in lotta. Le testate online sono ottimi strumenti perché dispongono di grande accessibilità, molto più che un oggetto cartaceo; invece in Frute, ad esempio, abbiamo deciso di dare importanza allo spazio fisico, e creare qualcosa che le persone possano conservare. Sappiamo che la
fisicità è un pregio ma anche un limite, perché ci saranno solo un determinato numero di copie disponibili. Questo però impreziosisce il progetto, e, una volta preso in mano, crea un rapporto intimo con il suo proprietario.
Frute è una parola che sembra senza lingua. Come si legge?
All’inglese, alla francese? Ricorda la frutta, ma ha un suono aspro. È diretta, ma incomprensibile. In realtà Frute significa ragazza nella lingua friulana, il posto da dove veniamo. Usare un’espressione dialettale è decisamente poco cool, e noi non vogliamo prenderci troppo sul serio, anche se quello di cui ci occupiamo è serio, serissimo. Allo stesso tempo questa vicinanza con il territorio mette in luce la situazione del riconoscimento di questioni fondamentali riguardanti non solo il femminismo, vicine a noi geograficamente: ad esempio per una coppia omosessuale austriaca è possibile adottare, mentre in Italia non possiamo nemmeno adottare nemmeno i figli* del* nostr* partner etero, dimostrazione di una chiusura verso un concetto di famiglia non tradizionalmente imposta dal matrimonio. Mentre in Slovenia, a pochi chilometri, l’omofobia viene considerata un’aggravante nel compimento di un reato (allo stesso livello delle motivazioni razziali), in Italia ci ritroviamo ancora a dover subire discorsi sessisti da parte di personaggi pubblici. Detto questo, sappiamo che fino ad oggi il termine femminismo è stato spesso travisato con superficialità, da coloro che si sentono minacciati dallo sviluppo del movimento: è per questo che vogliamo diffondere il più possibile l’idea che femminismo non significa chiusura, ma sostegno reciproco, insieme a tutti coloro che credono nella parità dei diritti.
In definitiva, il nostro progetto vuole continuare ad occuparsi di disuguaglianza di genere facendolo a più livelli, contenutistici e visivi, ad esempio attraverso l’occhio dei propri autori e raccontando storie personali che aprono dibattiti e approfondiscono una visione del mondo lontana dalle discriminazioni.
E non dimentichiamo che la possibilità di piegare la carta, la sua non-condivisibilità, la leggibilità, sono tutte caratteristiche che nessuna tecnologia è in grado di riprodurre.
È concedersi il piccolo lusso di staccare la spina, leggere, toccare e immergersi in un mondo patriarchy-free!