Alla guida dei cortei o invitate dai media, le donne antirazziste si fanno portavoce di discorsi attivisti e sono finalmente ascoltate, rompendo il fenomeno di invisibilizzazione di cui erano state vittime fino ad oggi.
“Lavoro su questi temi da 15 anni e non ho mai visto una tale frenesia nello spazio pubblico. È diventato l’argomento scottante delle ultime settimane”. Entusiasta, Mame-Fatou Niang ripensa alle mobilitazioni antirazziste che hanno scosso la Francia dopo la manifestazione contro le violenze della polizia del 2 giugno a Parigi. Niang, che è docente alla Carnegie-Mellon University (Pennsylvania), osserva con soddisfazione che le discussioni sono state inserite nell’agenda mediatica e politica: “La visibilità delle donne nere, dove prima non erano rappresentate, è una vera vittoria. Da Assa Traoré a Rokhaya Diallo, passando per Maboula Soumahoro, la studiosa saluta una nuova generazione di donne dedite alla lotta contro il razzismo. “Sono ‘unapologetic’ (in italiano, ‘che non vogliono scusarsi’, NdT). Non hanno niente da dimostrare, non chiedono niente, vogliono solo gli stessi diritti di chiunque altro”.
Sorellanza e intersezionalità
“È un bene in termini di rappresentatività”, dice Saphia Aït Ouarabi, vicepresidente di SOS Racisme, quando si parla della figura di Assa Traoré. “Porta con sé le idee guerriere di una combattente e aiuta a ispirare altri attivisti”. Grace Ly, podcaster, autrice e video-artista impegnata nella lotta contro il razzismo anti-asiatico, si dice d’accordo con la diciannovenne. “L’incarnazione di Assa Traoré della lotta contro la violenza della polizia può ispirare altre donne, vittime delle stesse situazioni, a parlare”. Nata da genitori cinesi, la co-creatrice del podcast Kiffe ta race può facilmente identificarsi con le richieste di Assa Traore. “Stiamo parlando di lotte francesi e io sono francese. È una storia di schiavitù e di imperialismo coloniale che si rivolge direttamente anche ai francesi asiatici”.
Per quanto riguarda la lotta contro il razzismo anti-asiatico, quella che è stata eretta “suo malgrado portavoce delle comunità asiatiche”, sottolinea lo spirito di sorellanza che ha permesso alle donne di far sentire la loro voce. “A differenza degli uomini asiatici, che sono ancora completamente tenuti sotto silenzio, hanno potuto beneficiare della luce che si diffonde sulle donne grazie alle lotte femministe. Le prime persone che mi hanno contattato sono state delle donne”. Per Grace Ly, separare le lotte femministe da quelle antirazziste è stupido: “Le donne discriminate in base all’etnia sono bersagli indiscriminati: non ti svegli una mattina e dici “oggi sarò femminista e domani sarò antirazzista”. La linea di demarcazione tra questi due concetti è tracciata sulla base di riferimenti create da persone bianche”.
Le dimenticate dalle lotte
Mentre l’incarnazione dell’antirazzismo da parte delle donne è un fenomeno nuovo, le donne hanno sempre avuto un ruolo importante nella lotta contro le discriminazioni. “In tutte le organizzazioni, come nella nostra società patriarcale, le donne sono le piccole mani (ovvero vengono sempre viste come di importanza secondaria rispetto agli uomini, NdT), sia che si tratti di associazioni politiche, di chiese, nell’organizzazione di eventi personali”, dice Fania Noël, pensatrice, attivista e membro del collettivo Mwasi. L’attivismo non è un settore che sfugge al rapporto di genere”. Per Mame-Fatou Niang, il mancato riconoscimento del lavoro delle donne nei circoli militanti antirazzisti risale all’epoca dell’indipendenza africana degli anni Sessanta. “La sinistra francese ha scelto di sostenere gli intellettuali maschi. Il lavoro di donne come Suzanne Césaire e Aoua Keïta è stato totalmente invisibilizzato. La lotta per l’indipendenza è diventata la lotta degli uomini, e ci siamo fissati sull’idea che, quando una lotta deve essere combattuta in un contesto pubblico, deve essere combattuta dagli uomini”.
Lo stesso vale per la lotta contro l’antisemitismo, in cui “le parole potenti portate dalle donne” stanno guadagnando terreno, secondo Noémie Madar. La Presidente dell’Union des Etudiants Juifs de France (UEJF) si rammarica che il ruolo delle donne combattenti della resistenza come Lucie Aubrac, Germaine Tillion o Josephine Baker sia stato “riconosciuto molto tardivamente” e in modo “molto minoritario” rispetto a quello degli uomini. “Nell’immaginario collettivo, l’ ‘attivista di base’ è più incarnato da un uomo, visto come forte, solido, indistruttibile di fronte alla durezza di questo ambiente. La donna attivista è più facilmente vista come ‘arrabbiata’, ‘eccitata’ o ‘isterica’”. Interrogata sulla quasi assenza di donne alla guida di SOS Racisme, Saphia Aït Ouarabi evoca un altro riflesso del patriarcato: l’esistenza di un sentimento di illegittimità tra le donne, contro il quale lei sostiene di lottare dalla sua posizione.
Ascoltare la voce delle donne
Argomento di una delle rubriche “Ouvre les guillemets” di Mediapart, affrontato anche da Le Monde con il ritratto di Assa Traoré e portato in prima pagina da L’Humanité – che confonde in modo preoccupante Maboula Soumahoro e Ndella Paye: il posto occupato dalla voce delle donne nella lotta al razzismo non è passato inosservato dai media. “Vederle non basta – dice Mame-Fatou Niang – Dovete ascoltarle e lasciarle parlare”. L’esperto denuncia un trattamento mediatico spesso “molto stereotipato nell’estetica e basato su un’interpretazione superficiale, che ci impedisce di arrivare al cuore dell’argomentazione eminentemente politica”. La depoliticizzazione delle lotte antirazziste è anche il risultato di un trattamento “naturalista” da parte di alcuni giornalisti: “Per quanto riguarda Assa Traoré, parliamo della lotta di una sorella per suo fratello, insinuiamo che prendersi cura della famiglia e della sua comunità è molto femminile, evochiamo l’istinto materno, i temi del care (prendersi cura, NdT)… Come se le donne avessero una naturale inclinazione a proteggere il loro gruppo”.
“Ci si aspetta che le donne attiviste nere siano belle, che siano dei gusci vuoti”
Fania Noël critica anche il modo in cui le parole degli attivisti vengono accolte: “C’è un certo paternalismo, come ‘stanno giocando a fare le guerriere’, ma il discorso cambia quando ci si trova di fronte a una vera mobilitazione. Ci si aspetta che le attiviste nere siano carine, che siano dei gusci vuoti, e se escono da questo quadro, vengono razzializzate. È quello che è successo quando abbiamo creato il Nyansapo Festival. Siamo stati criticati per essere stati ingrati nei confronti della Francia, per essere stati subdoli, per aver fatto il lavaggio del cervello, per aver ingannato gli uomini…”. È su questi argomenti che l’attivista ci invita a riflettere. “Gli uomini neri o arabi sono considerati pericolosi dalla società. Non sono viste come persone che pensano e non viene data loro voce”. Quando si è venuto a sapere che BFMTV ha scelto di intervistare Jean-Marie Le Pen per parlare di razzismo nella polizia, si è potuto constatare che * prim* interessat* mancano ancora di visibilità.
Fonte
Magazine: Cheek Magazine
Articolo: Pourquoi le combat antiraciste est de plus en plus porté par des femmes
Autrice: Margot Cherrid
Data: 13 luglio 2020
Traduzione a cura di: Charlotte Puget
Immagine di copertina: Clay Banks
Immagine in anteprima: Sarah Dahir