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Perché la tassa sugli assorbenti è una vera e propria discriminazione di genere
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Perché la tassa sugli assorbenti è una vera e propria discriminazione di genere

Articolo di Alessandra Vescio
Articolo sponsorizzato da Friendly Shop

Uno dei modi per conoscere lo stato della parità di genere nel Paese in cui si vive è capire la concezione che si ha del ciclo mestruale e come questo venga affrontato pubblicamente. Come ne parla la politica nazionale? Cosa si insegna nelle scuole? Quali provvedimenti e misure sono state prese a livello sociale? In Italia, lo sappiamo, il ciclo mestruale è ancora purtroppo un tabù. Dalla sfera privata a quella pubblica, dall’ambiente lavorativo alla famiglia fino al gruppo di amici, si parla troppo poco di mestruazioni e, quando lo si fa, questo genera un profondo senso di disagio. “Che schifo”, ci si sente spesso dire quando si accenna al sangue mestruale: una reazione spontanea e trasversale, che arriva dagli uomini ma anche dalle donne, che hanno interiorizzato il sentimento della vergogna.

Eppure il ciclo mestruale è del tutto naturale, è vita e, nelle sue condizioni standard, è sinonimo di salute. Perché allora stigmatizzarlo?

Stigma Vs Natura

Utilizzate storicamente come pretesto per attestare una presunta inferiorità delle donne rispetto agli uomini, le mestruazioni sono considerate più come una malattia che come una normale funzionalità dell’organismo. Impuro, infausto, cattivo, nocivo, il sangue mestruale è il sintomo di un problema che riguarda solo le donne e, in quanto tale, solo loro devono occuparsene, preferibilmente in gran segreto e senza darlo a vedere. Non soltanto, quindi, per cinque giorni al mese circa ci ritroviamo a contorcerci per dolori e fastidi di ogni genere, ma abbiamo anche l’obbligo morale di non parlare di ciò che stiamo provando, per non importunare l’ambiente circostante. Un sorriso falso, per schivare le battute inopportune sui nostri sbalzi d’umore, una pochette per nascondere gli assorbenti e un costante sguardo alle superfici su cui anche solo ci siamo appoggiate, per assicurarci di non aver lasciato traccia del “problema”. Un vero e proprio calvario, dunque, che non si esaurisce in quei cinque lunghi giorni al mese, ma che ha inizio fin dall’infanzia, quando l’attesa del menarca è vissuta col timore e la speranza di potersi dire davvero “donne”, e prosegue ogni mese, tutto il mese, per circa quarant’anni, tra sindromi premestruali, ovulazioni, ritardi e disturbi che precedono e accompagnano le mestruazioni.

Se le mestruazioni le avessero avute gli uomini cisgender, dice qualcuno, sicuramente le cose sarebbero andate in maniera diversa: i giorni del ciclo sarebbero stati momenti propizi, il sangue mestruale avrebbe avuto poteri sacri, ma soprattutto il congedo per dismenorrea sarebbe stato legge e gli assorbenti, su cui la ricerca si sarebbe spesa copiosamente, sarebbero stati distribuiti gratuitamente ovunque e in ogni momento. Invece, dal momento che il ciclo lo hanno le donne e a fare le leggi sono soprattutto gli uomini, le mestruazioni sono derise, malviste, o nella migliore delle ipotesi, tenute distanti e tolte dal tavolo delle discussioni politiche.

Così succede da sempre, così sta succedendo in Italia. Una delle discussioni che nel nostro Paese va avanti da anni e che negli ultimi mesi si è riaccesa grazie ad alcune proposte di legge e alle tante proteste femministe, riguarda la cosiddetta “tampon tax”, la tassa sugli assorbenti e i prodotti per il ciclo mestruale: considerati alla stregua di beni non di prima necessità, in Italia i sanitari destinati alle persone che hanno un ciclo mestruale sono infatti sottoposti ad aliquota ordinaria al 22%. Già nel 2016 era stata avanzata una proposta di legge per ridurre l’aliquota al 4%, seguita nel 2018 da un altro tentativo di abbassarla al 5%: nel primo caso, si è agito di benaltrismo; nel secondo si è parlato – erroneamente – di presunte sanzioni da parte dell’Europa. A maggio 2019 è stato respinto un emendamento alla proposta di legge sulle semplificazioni fiscali per portare l’IVA al 5%, perché considerato troppo costoso. A novembre 2019 la commissione Finanze della Camera ha giudicato “inammissibile” l’emendamento al decreto fiscale che chiedeva l’abbassamento dell’IVA al 10%. A dicembre 2019 infine viene approvato un emendamento al decreto fiscale che riduce l’IVA al 5% per gli assorbenti biodegradabili e compostabili.

Una vittoria? Non proprio, e i motivi sono tanti. Per provare a capirli però dobbiamo partire dal principio.

L’iniquità della tampon tax

Le ragioni per cui è fondamentale ridurre l’IVA sugli assorbenti e i prodotti igienici per il ciclo mestruale sono molteplici. I dati ci dicono che una persona con ciclo mestruale avrà bisogno, nel corso della vita, di circa 12mila assorbenti e che in Italia ogni anno ne vengono venduti circa 2.6 miliardi. Chi ha le mestruazioni ogni mese acquisterà almeno una confezione di assorbenti, il cui costo nel nostro Paese si aggira attorno ai 4€, tassati al 22%. Un’entrata sicura per lo Stato, un’uscita necessaria per chi ne ha bisogno. In linea generale, questa spesa ricade sulle donne, le stesse che in Italia si barcamenano tra un tasso di occupazione tra i peggiori dell’Europa e un gender pay gap ancora rilevante.

Per le famiglie monoreddito, in difficoltà economiche e/o con più di una persona che ha bisogno di acquistare assorbenti mensilmente, poi, l’acquisto di salviette per le mestruazioni rappresenta una spesa non indifferente, che spesso porta a scegliere prodotti qualitativamente inferiori ma meno costosi, mettendo così a rischio la salute.

La period poverty, ovvero la difficoltà a disporre di prodotti sanitari come assorbenti e salviette e ad accedere a spazi sicuri e dagli alti standard igienici durante le mestruazioni, è un problema che affligge ancora moltissime donne e ragazze, non soltanto nei Paesi più poveri. Secondo uno studio del 2018 condotto in Inghilterra dall’organizzazione a scopo benefico Plan International UK, ad esempio, il 42% delle ragazze intervistate nei giorni del flusso è stato costretto a indossare prodotti di fortuna, come calzini o carta di giornale, perché non poteva permettersi di acquistare gli assorbenti. Per far fronte alla period poverty, il Governo britannico ha dunque deciso di offrire a tutte le scuole e i college pubblici del Paese la possibilità di fornire assorbenti gratis. Un provvedimento simile è stato preso lo scorso anno anche dalla Scozia, che si è impegnata a versare 4 milioni di sterline per rifornire di prodotti sanitari gratuiti i luoghi dell’istruzione del Paese.

E in Italia? Ciò che sappiamo al momento è che, secondo il Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute sulla sanità del 2017, 12.2 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare o rinviare cure mediche per questioni economiche e i due terzi di questi sono coloro che hanno malattie croniche, le persone a reddito basso, le donne e chi non è autosufficiente. Non è difficile dunque immaginare che anche il nostro Paese sia afflitto dalla period poverty eppure al momento possiamo solo fare affidamento su iniziative private, come quella di Friendly Shop, negozio specializzato in prodotti eco-sostenibili e zero waste che ha deciso di rimuovere il valore dell’IVA dal prezzo finale sui prodotti destinati al ciclo mestruale.

Intanto nel 2006 l’Unione Europea ha inserito i prodotti “di protezione dell’igiene femminile” tra quelli che possono essere assoggettati ad aliquote ridotte e molti Paesi ne hanno approfittato: in Spagna, l’IVA sugli assorbenti è stata abbassata al 10%, in Belgio al 6%, in Francia al 5,5%, in Lussemburgo al 3%, per fare alcuni esempi.

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L’Italia invece è ferma sui suoi passi e l’abbassamento dell’IVA sugli assorbenti biodegradabili e compostabili approvato alla fine del 2019 non è di certo considerabile un traguardo. Siamo tutti consapevoli dell’impatto ambientale degli assorbenti usa e getta e riconosciamo l’importanza di promuovere iniziative sostenibili e tese a preservare l’ambiente, ma l’approvazione di questo emendamento – che, non dimentichiamolo, arriva dopo una serie di bocciature di proposte più incisive e trasversali – è considerabile il perfetto punto di incontro tra il green washing e il pink washing. Al momento, infatti, gli assorbenti biodegradabili e compostabili sono molto più costosi di quelli usa e getta e inoltre sono difficili da reperire nei normali supermercati. Il Consorzio Italiano Compostatori, organizzazione europea che si occupa di certificare i prodotti adatti al compostaggio, ha dichiarato inoltre che al momento nel nostro Paese non solo non ci sono assorbenti con Certificazione CIC, necessaria per essere accettati dagli impianti di compostaggio, ma non disponiamo neppure delle tecnologie adatte a trattare prodotti con sostanze biologiche umane.

La questione ambientale, intanto, è diventata la principale giustificazione alla tampon tax: a usarla come arma, ovviamente, sono principalmente gli uomini che il ciclo non lo hanno mai avuto e che storcono il naso quando si accenna al sangue mestruale. “Che indossino la coppetta!”, ci sentiamo dire da novelli Marie Antoniette, che non sanno ad esempio che non tutte le persone possono indossare dispositivi come dischi e coppette mestruali e che soprattutto non hanno alcun diritto di esprimere un proprio parere sul tema.

“Praticamente veniamo tassate in quanto donne”, ha detto Cristina Garcia, membro dell’Assemblea statale della California che da anni si batte contro la tampon tax, aggiungendo che il problema principale di quella che è una vera e propria discriminazione basata sul genere è che le istituzioni dove risiede il potere sono dominate dagli uomini.

Una discriminazione basata sul genere, sì. Perché come altro dovremmo chiamare una tassa che grava sulle donne, che statisticamente guadagnano meno degli uomini; sui cui corpi si è sempre dibattuto e legiferato senza che potessero mai avere parola in merito; e che senza alcun dubbio non hanno scelto di avere il ciclo mestruale ogni mese, per quarant’anni della propria vita, e doverne pure subire lo stigma sociale?

Come ha scritto l’avvocatessa femminista Jennifer Weiss-Wolf su Ms. Magazine, “per avere una società realmente partecipativa, dobbiamo avere leggi e politiche che assicurino prodotti sanitari destinati alle mestruazioni che siano sicuri ed economicamente accessibili per chiunque ne abbia bisogno. La possibilità di accedere a questi articoli incide sulla libertà di una persona di lavorare, studiare, restare in salute e relazionarsi al mondo in modo degno. E se l’accesso di qualcuno è compromesso, che sia per povertà o stigma o mancanza di educazione e risorse, è nel nostro interesse assicurarci che questi bisogni vengano soddisfatti”.

L’Italia sarà mai pronta a occuparsene?

Immagine di copertina: Erol Ahmed
Immagini presenti nell’articolo, in ordine di apparizione: Kinga Cichewicz, Giovanni Storiale, Charles Deluvio
Illustrazione di Benedetta C Vialli

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