Genova, classe 1993. Da che ha memoria i suoi interessi…
La visione comune della donna nel mondo del lavoro nasce da un bias (un errore sistematico della mente che, a scapito di ragionamenti logici, fomenta giudizi e pregiudizi), per la precisione da un optimism bias. Che detto così suona anche bello allegro. Il “bias dell’ottimismo”, grazie cervello per questa botta di fiducia nel futuro!
E invece no, perché la caratteristica dell’optimism bias è quella di creare un tipo di ottimismo ingiustificato, frutto di paragoni grossolani con il passato e il presente volti a farci vedere tutto sotto una più rosea luce.
In che modo questo avrebbe ripercussioni nel nostro modo di vedere le donne e il lavoro?
Semplice: le donne possono accedere al mondo del lavoro tanto quanto gli uomini, le donne fanno tutti quei lavori un tempo riservati ai soli uomini, le donne ricevono una retribuzione egualitaria a quella dei colleghi maschi, le donne con figli possono avere un lavoro.
In quattro frasi ci sono quattro bugie, giochiamo con i dati dell’Italia e scopriamo perché.
Punto per punto.
1. “Le donne possono accedere al mondo del lavoro tanto quanto gli uomini”
Nel settembre 2016, le ricercatrici della Banca d’Italia Maria Rosaria Marino e Marzia Romanelli hanno presentato il tema di discussione Donne al lavoro: l’impatto di politiche fiscali di sostegno al reddito in un modello dinamico di offerta di lavoro, nel quale si pone l’accento, fra le varie questioni, sulla maggiore difficoltà riscontrata dalle donne nell’inserimento lavorativo.
I dati presi in analisi ci dicono che il tasso di occupazione femminile in Italia, nel 2014, per le donne fra i 25 e i 54 anni, era del 57,6% a fronte di una media UE del 71,7%.
Il divario fra il tasso di occupazione femminile e quello maschile è di 18 punti percentuali circa. La Grecia e l’Italia hanno registrato, per il 2014, rispettivamente il più basso e il secondo più basso livello del tasso di occupazione femminile.
Non siamo riusciti ad avere il primato, ma presto usciranno i dati relativi agli ultimi due anni, quindi non demordiamo.
2. “Le donne fanno tutti quei lavori un tempo riservati ai soli uomini”
L’occupazione femminile soffre terribilmente di segregazione orizzontale (concentrazione delle donne in determinati ambiti lavorativi).
Ad esempio, nel settore agricolo ci sono 30 donne occupate ogni 100 lavoratori, e in quello industriale scendono a 28 su 100. Il settore delle costruzioni vanta poi 5 donne ogni 100 occupati.
Stando ai dati del Sistema Informativo Excelsior (che fornisce annualmente i dati di previsione sull’andamento del mercato del lavoro) parte della ragione starebbe nella preferenza di genere espressa dalle aziende nel momento delle nuove assunzioni: nel 42,3% dei casi l’annuncio di lavoro è rivolto unicamente al genere maschile.
This is a man’s, man’s, man’s world.
3. “Le donne ricevono una retribuzione egualitaria a quella dei colleghi maschi”
Dall’indagine ISTAT del 2016, Differenziali retributivi nel settore privato, emerge che il differenziale retributivo delle donne rispetto agli uomini è negativo e pari al 12,2%, ed aumenta sia a livello settoriale che regionale.
Inoltre l’aumentare del livello d’istruzione femminile è inversamente proporzionale alla parità di guadagno: lo svantaggio retributivo arriva al 30,6% per le posizioni che prevedono la laurea e oltre.
Mettiamo in luce anche il fatto che le donne sono maggiormente soggette a situazioni contrattuali sfavorevoli: l’11% lavora in nero (a fronte dell’8% degli uomini) e si segnala un aumento considerevole nelle assunzioni part-time.
Ovviamente le disparità salariali si ripercuotono anche sulle pensioni: le donne superano il 50% dei pensionati, ma ricevono poco più del 40% della spesa pensionistica. Questo si traduce in assegni sotto i mille euro per più della metà di loro, a fronte di un terzo degli uomini che versa nelle stesse condizioni.
Non piacciono quindi le donne “studiate”, meno che mai quelle con il portafogli pieno.
4. “Le donne con figli possono avere un lavoro”
Nell’ottobre 2015 l’ISTAT ha presentato, durante un’Audizione alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, alcuni dati riguardanti le differenze di genere presenti in ambito lavorativo. Il quadro che emerge dipinge una situazione ancora più avversa per le madri lavoratrici.
Nello specifico: quasi un quarto delle neomamme lascia o perde il posto di lavoro; fra quelle che interrompono volontariamente il lavoro, nel 60% dei casi l’uscita si prolunga per almeno 5 anni. Il dato trasversale, ma non da sottostimare, è che nella cura della casa e della famiglia il 72% delle ore di lavoro sia di competenza femminile.
È inoltre in costante aumento il tranding del mobbing da maternità: secondo le ultime stime dell’Osservatorio Nazionale Mobbing, negli ultimi due anni sono almeno 350mila le donne licenziate o costrette a dimettersi a causa della maternità o per aver chiesto agevolazioni per conciliare meglio vita familiare e professionale.
Ninna Nanna Mamma, stattene a casa.
Oggi è la Festa dei Lavoratori e, ahimè, da festeggiare c’è proprio poco.
Per le donne ancor meno.
Genova, classe 1993. Da che ha memoria i suoi interessi concernono la lettura, la scrittura e l'attivismo sociale. Lavora in una biblioteca, ça va sans dire. Ricerca il suo posto nel mondo in direzione ostinata e contraria. Nello specifico riesce a contrariare il mondo.
Sarebbe meraviglioso leggere ogni giorno articoli cime questi che aprono la mente e gli occhi sula nostra società…Grazie!