Articolo di Natasha Vagnarelli
Che cos’è la pornografia?
È una domanda che può sembrare estremamente banale, dato che tutti, in modo più o meno diretto, hanno avuto a che fare con questo tipo di materiale. Tuttavia non è così facile dare una definizione chiara, adeguata e, soprattutto, condivisa da tutti. Proviamoci, dunque.
Un materiale è considerato pornografico quando presenta contenuti sessualmente espliciti ed ha come scopo l’eccitazione di chi lo consuma.
Si potrebbe dire che questa sia una descrizione adatta, tuttavia si presenta un nuovo problema, ovvero la distinzione di ciò che è effettivamente pornografico da ciò che è erotico. Qui la questione si fa più spinosa, ma potremmo dire che la pornografia, almeno comunemente (per ragioni sociali, religiose, etc.), è vista come maggiormente oscena, quindi “cattiva”. Ovviamente, non tutti la pensano in questo modo, ma tra coloro che sostengono questa tesi vi è Catherine MacKinnon, avvocato, docente e attivista americana, facente parte di un movimento femminista radicale contrario, per l’appunto, al materiale pornografico.

La sua definizione di quest’ultimo è particolarmente chiara e d’impatto: «La pornografia è prima di tutto un atto linguistico violento, dal momento in cui trasforma le donne in oggetto di consumo sessuale, a completa disposizione degli uomini e delle loro fantasie, ed è in secondo luogo una vera e propria pratica politica fallocratica che mira a mantenere la posizione di inferiorità e di subordinazione delle donne».
La posizione della MacKinnon, è necessario dirlo, si concentra sulla donna perché storicamente subordinata all’uomo in vari ambiti, non per un odio intrinseco verso il genere maschile.
Vorrei concentrarmi in particolare sulla denotazione della pornografia come atto linguistico violento. Per comprenderla, è d’uopo aprire una piccola parentesi sulla Teoria degli Atti Linguistici di J. L. Austin, secondo cui un atto linguistico consta di tre parti:
1) Locuzione (struttura ed enunciato);
2) Illocuzione (obiettivo, intenzione comunicativa);
3) Perlocuzione (effetto dell’atto linguistico sull’interlocutore).
Per Catherine MacKinnon la pornografia limita la libertà d’espressione e riduce al silenzio la donna in tutte e tre le parti dell’atto:
1) Silenzio locutorio: utilizzo di strumenti fisici per evitare che la donna parli;
2) Silenzio illocutorio: non ascolto della parola “no”;
3) Silenzio perlocutorio: trasformazione del “no” in un gioco erotico, che forza maggiormente la donna.
Certo, l’obiezione più immediata è che nei materiali pornografici le situazioni di stupro, con godimento della donna nel finale, sono finte. La MacKinnon, però, fa un passo successivo: vede la pornografia come una distorsione della realtà che porta l’uomo a credere che uno stupro reale possa essere legittimato dal fatto che, in termini semplici, alla fine piace anche a lei.
Per rafforzare la propria tesi sulla riduzione al silenzio, MacKinnon fa notare quanto bassa sia la percentuale di donne che denunciano atti di violenza sessuale.
Inoltre, le statistiche di PornHub (uno dei maggiori siti di materiale pornografico gratuito) dimostrano che le donne, percentuale minore di utenti, ricerca principalmente materiale taggato “lesbian” e “gay males”. Semplice gusto?
Inconscia consapevolezza della propria subordinazione? Si ricercano situazioni in cui vi sia maggior parità tra i partecipanti all’atto, oppure in cui sia un uomo ad essere sottomesso?
Qualunque sia la risposta, lo scopo non è convincervi che la tesi della MacKinnon sia valida o meno, ma semplicemente proporvi una linea di pensiero – la sua – che potrete, ovviamente, decidere se abbracciare o no.
a una donna possono piacere i porno gay maschili così come a un uomo possono piacere i porno lesbo, comunque il porno è un atto sessuale non simulato in cui la non simulazione è resa esplicita nelle inquadrature. una scena di sesso di un comune film per quanto sia esplicita non è porno