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Prostituzione nel mondo antico: un confronto con l’attualità
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Prostituzione nel mondo antico: un confronto con l’attualità

Articolo di Alice Picco

È di qualche tempo fa la notizia – se tale si può definire – di una prostituta che, durante l’attesa dei clienti, legge Delitto e castigo di Dostoevskij. Si sono aperte molte discussioni su questo argomento: se sia davvero possibile che una donna (prostituta o ballerina o benzinaia o avvocatessa) sia in grado di comprendere a pieno uno dei massimi autori russi, se sia possibile che a farlo sia una donna che durante il resto delle ore lavorative si dedica al sesso, se non sarebbe più adatto un altro genere di lettura, e tanto altro.
A me, che sono classicista nell’anima, invece è venuta in mente un’altra considerazione: quanto è cambiata la professione “più antica del mondo” dall’antichità ad oggi? Si può dire che ci siano state modifiche sostanziali, o fondamentalmente non è cambiato nulla? Come viene percepita la prostituzione all’interno della società di ieri e di oggi?
Dato che il presente lo viviamo tutti i giorni e quindi, informandoci, siamo in grado di farci una nostra idea precisa, ho deciso di parlarvi del mondo delle cortigiane nell’antichità classica, in modo da poter fare un confronto.

Nell’antica Grecia le prostitute appartenevano, seppur non esclusivamente, alla sfera cittadina, ma spesso arrivavano da fuori e cambiavano luogo di residenza: molte giungevano dall’Oriente, attratte in particolar modo dai grandi centri commerciali greci, come per esempio Atene e Corinto.
Da un punto di vista strettamente storico, si potrebbe dire che una sorta di prostituzione organizzata si è sviluppata in diverse località all’interno dei santuari dedicati ad Afrodite, dove le ragazze, considerate come vera e propria proprietà della dea, si offrivano ai visitatori a vantaggio del tempio: questa è quella che veniva chiamata prostituzione sacra.

La vita lavorativa di una prostituta spesso iniziava già dall’adolescenza: a volte le ragazze cambiavano nome e si assegnavano una sorta di nome d’arte e, qualora la loro carriera si concludesse con il matrimonio, erano autorizzate a cambiare nuovamente nome.
Nonostante la base della vita delle prostitute fosse pressoché uguale per tutte, la situazione giuridica era molto differenziata. Nelle case di piacere si trovavano normalmente delle schiave, ma anche donne libere arruolate a contratto da quelli che nell’antichità si chiamavano lenoni, i protettori moderni, per intenderci; potevano arrivare nei bordelli delle prigioniere di guerra o donne rapite da predoni e pirati, quindi esisteva un vero e proprio commercio di ragazze. Le donne che esercitavano al di fuori delle case di piacere, invece, erano per lo più liberte o addirittura donne libere per nascita. In generale, però, le prostitute venivano reclutate dai lenoni tra i ceti più bassi della società e spesso era la necessità ad indurre a questo tipo di attività. A questo proposito è interessante notare come addirittura i Padri della Chiesa riconoscessero questa motivazione economica e imputassero quindi la responsabilità della vita dissoluta delle donne non alle donne stesse, bensì alla società maschile, che non era in grado di proteggere, per così dire, la propria rappresentanza femminile.

Il prezzo di una prestazione era molto variabile e differiva anche da luogo a luogo: nelle case di piacere la tariffa doveva essere pagata in anticipo e normalmente non era molto elevata, mentre l’affitto di un’amante per un periodo di tempo più o meno lungo era relativamente costoso ed era regolato da un contratto, tramite il quale l’uomo poteva anche assicurarsi un diritto di prelazione sulla ragazza.
C’erano anche donne che potremmo paragonare alle odierne escort: si aspettavano molti regali, come ad esempio gioielli costosi e capi di vestiario, fino ad arrivare al pagamento dell’affitto e dell’arredamento di una casa, con tanto di servitù. Tutti questi regali diventavano poi di proprietà della donna, tanto che alcune prostitute riuscivano a raggiungere condizioni non solo di benessere, ma anche di vera e propria ricchezza: abbiamo notizia di imponenti monumenti votivi e tombe sfarzose fatte costruire da donne che si erano arricchite con la loro attività.
Alle prostitute che lavoravano nelle case di piacere e che quindi conducevano una vita miserabile veniva affibbiato l’epiteto di “àthlios”, sventurata: per queste donne i prezzi erano molto bassi e la clientela era la più diversificata. D’altra parte, le donne più affascinanti potevano attrarre amanti anche molto ricchi, in particolar modo armatori, commercianti o figli di padri agiati.

Le fonti antiche raccontano come le prostitute, ovunque andassero, dessero subito l’impressione di essere “machlàdes”, lascive: il loro comportamento, unito agli abiti e ai gioielli molto vistosi, le caratterizzava fin da subito.
Sicuramente la bellezza è il tratto che appartiene all’immagine idealizzata della cortigiana, tuttavia ciò che era più importante, anche per le meno belle, era l’aspetto curato e pulito. Il trucco occupava un posto particolarmente rilevante, tanto che l’uso di particolari olii e sostanze era proibito alle vergini consacrate. I capelli erano per lo più acconciati con cura, a volte tinti o rimpiazzati da una parrucca.
Al di là dell’aspetto fisico, però, era estremamente importante l’abilità nelle artes meretriciae: oltre alla capacità di dare piacere sessuale, era fondamentale mantenere un atteggiamento esuberante, un andamento sinuoso ed elegante e ovviamente sempre il sorriso sulle labbra. Tuttavia, non sempre queste arti avevano successo: se le pretese del cliente erano più elevate, era necessario che le cortigiane possedessero anche doti di spirito e humour, preparazione musicale, abilità nella danza e ovviamente una vasta cultura. Infatti, a differenza delle “pezài” (ordinarie, volgari), che non avevano particolari attitudini, alcune prostitute potevano vantare una preparazione specifica, soprattutto come “mousourgòi” (musicanti), e intervenivano durante i simposi come suonatrici di flauto o d’arpa e anche come cantanti. A questo proposito potremmo fare un raffronto con le geisha giapponesi del XVII o XIX secolo.

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Per quanto riguarda la posizione giuridica della prostituzione in età antica, sappiamo dalle fonti che essa fu solo in minima parte circoscritta dagli organi statali e non fu in alcun modo regolamentata. Anzi, l’adulterio era considerato un grave delitto, ma la “pornèia” (prostituzione) non costituiva giuridicamente reato e la condizione delle cortigiane escludeva il reato di adulterio e quello di stupro. É interessante notare come le prostitute fossero totalmente squalificate a livello sociale, tuttavia non erano aborrite quanto i lenoni, che erano severamente perseguiti e in alcuni casi rischiavano addirittura la pena di morte.

Ovviamente ci sarebbe molto altro da dire su questo argomento, anche se le fonti antiche sono parecchio falsate dal filtro dei Padri della Chiesa, che hanno duramente condannato, e quindi eliminato, molte testimonianze. Credo comunque di essere riuscita a fare una panoramica generale che renda possibile un confronto con la prostituzione nella società moderna.
In termini giuridici sicuramente (e per fortuna) le cose sono molto cambiate, ma davvero siamo in grado di vedere così tanti cambiamenti a livello di condizione (pensiamo ad esempio all’enorme differenza che esiste oggi tra la prostituta che lavora in strada e la escort) e di considerazione (una donna molto truccata è spesso vista come una poco di buono, senza se e senza ma) tra il passato e il presente?

 

 

Fonti: – G. Arrigoni (a cura di), Le donne in Grecia, Bari 1985                                                                                                                                               – H. Herter, Soziologie der antiken Prostitution im Lichte der heidnischen und christlischen Schiftum, Bonn 1960. Trad. it. a cura                  di G. Zanetto
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