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Reagire a questi tempi facendo musica: intervista ai Bluedaze
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Reagire a questi tempi facendo musica: intervista ai Bluedaze

Sospesi tra dream pop e psych rock, i Bluedaze sono un quartetto nato nel 2017 nella provincia di Varese, esattamente a due passi dal Lago Maggiore. Il 19 novembre uscirà il loro album di debutto, “Skysurfers”, e nell’attesa abbiamo parlato insieme del loro singolo “Dreamwalk”, del panorama musicale italiano, di solitudine e di progetti stravolti da questo infausto periodo storico che stiamo vivendo.

Per presentarvi chiedo a ognuno di voi di scegliere un brano che pensate sia il più bello del mondo, e un*artista/band che nonostante gli anni, le mode, il cambio di rotta musicale che può aver avuto, rimane una vostra pietra miliare, una copertina di Linus alla quale si torna sempre.

Domanda DIFFICILISSIMA. Dopo giorni e giorni di riflessione siamo arrivati a questo: per quanto riguarda il brano più bello del mondo, Elisa dice “Something” dei Beatles, Francesco “Anesthetize” dei Porcupine Tree, Manuel “Echoes” dei Pink Floyd e Nicolò “Tiny Dancer” di Elton John. Mentre per quanto riguarda artist* o band per noi irrinunciabili, Francesco segnala Steven Wilson, senza esitazioni. Nicolò The Stooges, mentre Elisa e Manuel menzionano entrambi i Pink Floyd.

Parlando di arrangiamenti, ma anche di testi, di contenuti, nel panorama musicale attuale, cosa non vi piace proprio e da cosa vi distanziate, e cosa invece apprezzate, ascoltate, stimate?

Non apprezziamo le copie-delle-copie-delle-copie, ovvero tutti quegli artisti che sono la versione italiana di qualcosa di internazionale o la versione low budget di artisti italiani già arcinoti. Ci piacciono invece i progetti con una forte personalità, che riescono a raccontare attraverso musica e parole il loro personale – e spesso speciale – modo di vedere il mondo. Non importa che siano italiani o internazionali.

“Dreamwalk”, il vostro ultimo singolo, è una riflessione in musica sulle domande che ci poniamo tutti, su ciò che siamo, sulla solitudine che viviamo, un invito, come scrivete nel comunicato relativo all’uscita del brano, a darsi pace. Quali sono i quesiti che arrivati a sera, vi ponete? E come si può trovare un equilibro, una tranquillità, nello smettere di bombardarsi la testa di interrogativi? Lo avete trovato?

Ovviamente no, altrimenti non continueremmo a farci tutte queste domande! Ma, in fondo, va benissimo così. Le risposte sono statiche, le domande invece sono sempre l’inizio di un percorso. Solo che molto spesso le domande non sono né rassicuranti, né confortevoli. Diciamo che se hai scelto di stare dalla loro parte, hai scelto di vivere scomodo… Ma ti aspetteranno anche molte sorprese. Detto questo, i nostri quesiti della sera sono tanti e diversi, ma quelli di questo periodo storico possiamo raccoglierli sotto un’unica grande domanda: chi saremo quando ci toglieremo la mascherina?

Quanto i social network, Internet, i continui stimoli che riceviamo dall’esterno, che ci capitano o che vogliamo avere sotto agli occhi, influiscono sulla percezione di noi stessi, sull’autostima? È ancora possibile in tutto questo marasma di informazioni digitali, usarle per non sentirsi insicuri ma per rafforzarci – non dal punto di vista egocentrico – e migliorarci?

I social network, internet, sono solo degli strumenti. Quello che realmente conta è come noi li usiamo. Se sono lesivi per la nostra autostima, se ci rendono insicuri, è principalmente colpa di come le persone, gli utenti stessi, si comportano online. Vale veramente la pena riflettere su questo e non lasciare che l’utilizzo di questi strumenti resti inconsapevole. Del resto abbiamo dato loro un ruolo sociale, economico, politico e relazionale talmente rilevante che sarebbe ingenuo, oggi, pensare di poterli utilizzare senza aver appreso prima una sorta di codice di comportamento digitale, poiché la nostra vita online – nel 2020 – è a tutti gli effetti parte di quella offline e contribuisce a costruire la nostra identità personale. Perché siano strumenti di crescita e miglioramento, c’è bisogno di usarli con consapevolezza e con rispetto, sempre, per se stessi e per gli altri.

Torniamo al tema solitudine/relazionarsi agli altri. Suonate insieme da tre anni: come, in un rapporto così stretto come è quello dei componenti di una band, si riescono a mantenere quelle sacre sacche di intimità e solitudine e come si bilanciano i momenti di condivisione?

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Difficile rispondere a questa. Semplicemente succede! A volte in maniera più facile, altre meno. Ma succede. Forse c’entra il fatto che quando condividi con qualcuno un atto intimo come quello della creazione di qualcosa, entri in relazione a un livello più profondo ed è forse più facile vedere i bisogni dei tuoi compagni di viaggio.

Cosa sperate/pensate che questo periodo che stiamo vivendo, che vivremo non si sa fino a quando, cambi il modo di vivere la musica da parte degli utenti, del pubblico, e da parte degli operatori stessi?

È difficile fare pronostici, soprattutto perché la situazione cambia di settimana in settimana. Il fatto è che il settore musicale – con alcune dovute e virtuose eccezioni – non se la passava mica tanto bene già prima della pandemia. Questa emergenza ha messo a nudo tutti i problemi e potrebbe essere l’occasione per rivedere l’intero sistema. Ad oggi, però, la situazione risulta talmente compromessa che prima di tutto si deve sperare che gli operatori del settore riescano a sopravvivere. Servono sicuramente fondi e politiche adeguate, ma servono anche buone idee. Dobbiamo inventarci dei modi nuovi per “vivere la musica”, dato che quelli a cui siamo abituati non torneranno per un bel po’ e le esperienze parziali (concerti seduti, drive-in ecc..) sembrano soddisfare meno il pubblico.

Quali sono i vostri progetti, i programmi che avete nel breve medio termine? Come, se lo sono stati, sono stati rivoluzionati dall’emergenza Covid-19?

Il nostro debut album “Skysurfers” uscirà il 19 novembre e sarà anticipato dal video di “Dreamwalk”. L’uscita era prevista per la primavera scorsa, e sarebbe stata accompagnata da un tour promozionale che avrebbe toccato un po’ tutto il Nord Italia, ma non ce la siamo sentita di rischiare. Rilasciare, in quelle condizioni, un disco nel quale avevamo investito tanto tempo, energie e denaro si sarebbe probabilmente rivelata una scelta disastrosa. Oggi non è cambiato molto, in verità. Ma in un momento in cui anche fare cose ordinarie (come la musica) è diventato qualcosa di straordinario, abbiamo pensato che far uscire questo disco fosse un po’ il nostro modo per “tenere duro”.

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