3 marzo 2021. È sera e Sarah Everard, una donna di 33 anni, lascia l’appartamento di alcunə amicə in un quartiere a sud di Londra per tornare a casa sua, a Brixton. Quattro chilometri la separano dalla sua destinazione, ma si sa, le strade di notte non sono un luogo sicuro per le donne. Questo è quello che ci viene insegnato sin da bambine ed è una verità che di solito accettiamo senza contestare, perché cresciamo con l’idea che non ci sia nulla da fare per cambiarla. Sarah Everard lo sa, perciò fa tutto ciò che si consiglia di fare a una donna sola in strada di notte: sceglie il percorso più lungo, ma molto illuminato e meno isolato, passando per il parco di Clapham Common. A un certo punto, intorno alle 21:15 chiama il suo compagno, con il quale parla per circa 15 minuti. Probabilmente ha le chiavi di casa strette in mano e una gran voglia di tornare il prima possibile.
Questa purtroppo non è una storia inventata, ma una storia vera senza lieto fine. Everard quella notte è scomparsa e a casa non ci è mai arrivata. Per giorni, la polizia l’ha cercata in lungo e in largo senza successo. I suoi resti sono stati ritrovati qualche giorno dopo in un bosco nel Kent. Un uomo, il poliziotto Wayne Couzens, è stato accusato di averla uccisa.
Quella di Sarah Everard è una storia dolorosa. E questo dolore lo abbiamo già sentito innumerevoli volte, solo con una protagonista diversa. Come accade ogni volta, poi, c’è chi si è chiesto perché Sarah fosse da sola in strada a quell’ora, perché non avesse preso un taxi, perché non fosse rimasta a dormire daə suoə amicə. Ancora una volta, c’è chi si è posto le domande sbagliate. Ancora una volta alla vittima è stata attribuita una parte di colpa, anche se aveva fatto tutto ciò che ci si aspettava facesse, anche se, come ogni volta, la vittima non c’entra nulla. Come se non bastasse, la reazione dello stesso Governo inglese è stata quella di consigliare alle donne di non uscire di casa quando fa buio. Perché in fondo se fai certe cose te lo cerchi, il pericolo, e se ti capita qualcosa di brutto non è colpa di chi in pericolo ti ci ha messo, ma tua che non sei stata abbastanza prudente.
Si ha questa malsana tendenza, quando si parla di molestie, stupri, femminicidi, di spostare continuamente l’attenzione dall’origine reale del problema alle sue conseguenze, e quando delle persone cercano di sottolineare che i femminicidi esistono perché ci sono uomini che li perpetrano e non perché le donne se la vanno a cercare, ci sarà sempre qualcuno pronto a rispondere: “Sì, ma non tutti gli uomini”. È vero, non tutti gli uomini sono colpevoli dei femminicidi, ma ogni uomo è responsabile del privilegio che, in quanto tale, detiene, e ogni uomo, così come ogni persona, ha la responsabilità di fare qualcosa per cambiare un sistema in cui le donne vengono uccise solo perché esistono. Se la misoginia dilaga e tu, uomo, stai lì a guardare senza fare o dire niente, senza allearti con le donne e capire come poterle aiutare a creare una società migliore e più sicura, se l’unico contributo che ti viene da dare è quello di dire “non tutti gli uomini agiscono violenza”, allora sei complice di chi perpetra l’odio e le violenze contro di loro.
Pochi giorni dopo la morte di Sarah Everard, il 10 marzo 2021, il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato i risultati di uno studio condotto nel Regno Unito secondo il quale il 97% delle donne britanniche tra i 18 e i 24 anni è stato molestato sessualmente, mentre l’80% delle donne di tutte le età ha dichiarato di aver subito molestie in uno spazio pubblico. Stiamo parlando della quasi totalità delle donne intervistate. Quindi non tutti gli uomini molestano le donne, ma quasi tutte le donne sono molestate da uomini. D’altronde, basta chiedere alle donne che conosciamo se si sono mai trovate in una situazione di pericolo per esempio per strada. La maggior parte ci risponderà di sì. Io stessa risponderei sì. Per recarmi al mio vecchio lavoro durante il weekend, la mattina uscivo molto presto e dovevo percorrere una lunga strada priva di negozi e bar che mi portava dritta alla stazione del treno. Ogni volta che camminavo lungo quella strada, almeno due o tre uomini a bordo di un’auto o di un camion suonavano il clacson, mi gridavano commenti osceni, fischiavano, mandavano baci. Passanti a caso mi hanno palpato il sedere tante di quelle volte nella vita che non riesco a contarle. L’ultima volta è successo durante i festeggiamenti della mia laurea magistrale (ironia della sorte, conseguita con una tesi sulla misoginia online) mentre ero fuori da un locale circondata dai miei amici e dal mio ragazzo. C’erano tante persone intorno a me, eppure questo non ha fermato il mio molestatore, che con nonchalance mi è passato accanto, ha toccato il mio sedere ed è andato via, soddisfatto. Non succede solo agli angoli bui, nelle strade isolate, nei vicoli ciechi, succede dappertutto. E soprattutto, come ci dimostra il caso di Sarah Everard, il colpevole può essere chiunque, anche chi avrebbe il compito di proteggerci.
La storia di Sarah Everard è quello che sarebbe successo a ogni donna se oggi non potesse raccontare le molestie e le violenze che ha subito, se quella volta il suo molestatore fosse andato fino in fondo, fino al punto di non ritorno.
Per questo motivo, sabato 13 marzo centinaia di donne hanno organizzato una veglia al parco di Clapham Common, ultimo luogo in cui Everard è stata avvistata dalle telecamere di sicurezza. A un certo punto, però, la polizia è intervenuta per disperdere la folla e lo ha fatto in modo estremamente violento, caricando e spintonando le donne presenti alla manifestazione. L’episodio più eclatante riguarda una giovane donna, Patsy Stevenson, che è stata buttata a terra e ammanettata. Altre quattro donne sono state arrestate, molte altre multate. La polizia inglese è stata criticata per il modo in cui ha agito, in primis perché la veglia era pacifica e non c’erano disordini, in secondo luogo perché è paradossale che delle donne siano state aggredite proprio mentre manifestavano contro la violenza di genere. La commissaria della polizia londinese Cressida Dick sostiene che la manifestazione fosse “illegale” perché non rispettava le norme relative al contenimento della pandemia da Covid-19, ma in realtà è stato messo in evidenza come le forze dell’ordine si siano rifiutate di collaborare con le organizzatrici della veglia affinché la manifestazione si svolgesse secondo le regole. Nel frattempo, il movimento Sisters Uncut sta protestando contro il disegno di legge “Police Crime, Sentencing and Courts Bill”, un documento che, tra le varie cose, permette ai capi di polizia di imporre misure più restrittive alle proteste, limitando così il diritto di manifestare. La protesta è il modo più efficace con cui le donne e le persone tutte possono far sentire la propria voce e rivendicare i propri diritti.
Oltre quindi a domande sbagliate, si propongono anche soluzioni sbagliate. Non sarà aumentando il potere delle forze dell’ordine o inasprendo le pene per chi manifesta che si risolverà il problema della violenza di genere. Bisogna investire in un processo di rivoluzione culturale, il cui obiettivo non deve essere proteggere le donne, ma educare gli uomini a non odiarle.