Il giallo è il genere letterario di maggiore successo. I romanzi del mistero, al primo posto, superano quelli di fantascienza, dell’orrore, e apparentemente anche i romanzi rosa.
E perché no? C’è qualcosa per chiunque in ogni giallo – investigatrici anziane, detective palestinesi alle prime armi, investigatori professionisti belga, poliziotti scozzesi gentili, poliziotti scozzesi scorbutici, poliziotte irlandesi compromesse, poliziotti scandinavi esausti, detective con un passato nell’esercito, giovani investigatrici in erba, giovani detective tristi e ubriache. C’è anche una detective che ha come collega uno scheletro.
Quello che non sembra esserci, invece, sono le detective donne che iniziano la propria carriera nella mezz’età (due casi, V.I Warshawski di Sara Peretsky aveva 32 anni quando si è imbarcata nelle proprie avventure, e Kay Scarpetta di Patricia Cornwell aveva 36 anni). Le donne tra i 40 e i 60 anni non fanno molte comparse nella letteratura in generale, quindi forse non dovrebbe sorprendere che non appaiano nei titoli di genere giallo.
Ma è una cosa sorprendente, se sei una donna sulla quarantina che sta iniziando a scrivere romanzi del mistero – come me, non tanto tempo fa. E mentre è un cliché che le persone scrivano di quello che sanno, quando ho deciso di scrivere gialli, ho abbracciato quel cliché appieno. Ho iniziato a scrivere libri quando ero nei miei 40 e ho scritto anche delle mie detective come donne sulla quarantina.
Mentre ho descritto le mie protagoniste come in parte specchio di me, ho anche scelto di dar loro questa età per diverse ragioni. Per quanti miglioramenti e progressi, la cultura contemporanea rimane a disagio con le donne di mezza età, specialmente quelle single, e quelle senza figli, che hanno scelto di non avere figli. Ho voluto confrontare questa particolare avversione in modo diretto, e ho fatto sì che le mie investigatrici rientrassero in queste categorie.
Questa è stata una piccola decisione, ma mi ha permesso di affrontare una questione con la quale ho sempre combattuto: la questione su cosa, intellettualmente, la letteratura dovrebbe fare. Deve rappresentare il mondo così com’è o deve modellarlo per come potrebbe – o dovrebbe – essere?
Donne arrabbiate
La narrativa recente magari non sarà piena di donne di mezza età, ma è piena di donne arrabbiate. Ci sono una marea di modelli distopici di repressione femminile e di donne e uomini, implacabilmente messi le une contro gli altri: prendiamo per esempio “Ragazze Elettriche” di Naomi Alderman, “Red Clocks” di Leni Zumans, “I Testamenti” di Margaret Atwood. Mentre ero impegnata a creare il mio mondo fittizio, mi stavo chiedendo se queste esternazioni di rabbia, tutte giustificate, tutte valide, fossero abbastanza.
Da una parte, questo tipo di letteratura è senza dubbio positivo: la rabbia femminile è una delle cose che la cultura ha assiduamente evitato di considerare per secoli e, durante questo tempo, le donne sono state sottomesse, ridotte al silenzio, usate e maltrattate, in modi che giustificano certe espressioni di rabbia.
Questo panorama letterario di repressione femminile non sta cambiando e va bene che venga forzato davanti agli occhi dei lettori. In un recente articolo di The Guardian riguardo al Staunch Prize, il nuovo premio per il miglior romanzo giallo che non include violenza contro le donne, l’autrice Kaite Welsh ha scritto che lei non vorrebbe “sterilizzare la mia (sua, NdT) scrittura al servizio di qualche utopia femminista fittizia […] il mio lavoro si basa nello sposare la mia immaginazione con la dura realtà”. Questa è un’argomentazione importante.
Modellare il futuro
Ma mentre non mi interessa dell’assenza di mondi utopici femministi, mi interessa dell’assenza di una scrittura che possa modellare il futuro che vogliamo. Come sarà il mondo che vogliamo, dove si gioca alla pari, e uomini e donne sono semplicemente persone, assieme? Credo che l’unico modo per immaginare sia basandosi su ciò che abbiamo già visto ed è parte del compito della letteratura aiutarci a vedere cosa non esiste ancora, ma potrebbe.
Per questa ragione, sebbene io abbia ambientato i miei romanzi nel presente (“Death in Paris” nel 2014, e “The Books of the Dead” nel 2016), ho fatto scelte specifiche riguardo a questo presente. Nei miei libri, ogni persona in una posizione di potere è una donna. Capi di dipartimento, dottori, personaggi che siano fonti di saggezza, o nemici implacabili: tutti personaggi femminili.
È ancora più notevole, per quanto mi riguarda, che nessuno faccia attenzione a queste cose. Sono così normali che non sono nemmeno degne di nota. E nessuno commenta il fatto che entrambe le mie detective siano senza figli o che una di loro rimanga felicemente celibe. Entrambe sono eterosessuali, ma ho preso questa decisione così che potessi dare a ciascuna un marito o un compagno che le veda come intellettualmente ed emotivamente loro pari, e per i quali l’uguaglianza sia la norma. Le donne nei miei libri fanno del buon sesso e hanno buone conversazioni – quasi nessuna delle quali gira attorno agli uomini.
I miei libri sono pieni di sviste e omissioni e non ne sono del tutto soddisfatta. Ma quello che miravo a fare, e che cerco ancora di fare, è aumentare le rappresentazioni della rabbia legittima, gli onesti ritratti dell’ancora presente crudeltà e violenza contro le donne, con storie che possano fare spazio a un po’ di speranza.
Fonte
Magazine: The Conversation
Articolo: I’m a novelist – and this is why I choose middle-aged women as the heroes of my crime thrillers
Autrice: Emily Bernhard Jackson
Data: 6 gennaio 2020
Traduzione a cura di: Caterina Fantacci
Immagine di copertina: Jason Leung su Unsplash