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“Shameful Tomboy”: il nuovo disco di R.Y.F.
Dark Light

“Shameful Tomboy”: il nuovo disco di R.Y.F.

R.Y.F. è Francesca Morello, songwriter folk-rock, veneta d’origine e con base a Ravenna.

Oggi esce per l’etichetta Dio Drone, il suo nuovo disco, Shameful Tomboy, in digitale e in musicassetta a tiratura limitata. Sono dieci brani che rimandano ad atmosfere neofolk, sadcore, doom rock e punk blues, fondendo la denuncia all’approccio autobiografico.

Si tratta del suo lavoro più personale, interamente registrato in analogico con strumenti ed effetti vintage e improntato a un mix minimale: Francesca ha fatto tutto da sola, dividendosi fra canto e chitarre, e l’unico contributo esterno è stato di Roberto Villa che ha aggiunto il contrabbasso in uno dei brani dell’album.

I veleni dell’intolleranza, il senso di colpa filo-cattolico indotto da regole ingannevoli e il desiderio di ridare dignità a chi viene privato della parità di diritti e valorizzare il femminile, sono alcune delle tematiche che R.Y.F., fieramente impegnata sulle tematiche queer, tratta in “Shameful Tomboy”.

Con lei, abbiamo parlato delle sue radici musicali, di come contrastare i pregiudizi e il patriarcato, del suo fare musica e del video di “1st Times”, primo singolo estratto dal nuovo disco, che presentiamo in anteprima e che è stato girato da Francesca stessa, con un mix di autoriprese e immagini scelte per accompagnare in maniera puntuale il testo della canzone.

Francesca, qual è stato il brano che hai ascoltato e ti ha fatta saltare per aria esclamando che il giradischi un giorno avrebbe fatto suonare la tua di voce?

In generale potrei dire tutta la musica grunge ma il disco che ho ascoltato un miliardo di volte e che mi ha dato la spinta per scrivere è stato “In Utero” dei Nirvana. Quando c’era qualcosa che non andava, lo sparavo a tutto volume, specialmente “Tourette’s” che era il mio pezzo “scarica-tensione”. Ho fatto il mio primo concerto l’8 marzo del ’97 davanti a tutta la scuola e, finora, è stata la cosa più bella e rivelatrice della mia vita. Ricordo ancora la grande paura che ho provato nei secondi che hanno preceduto la prima pennata di chitarra, ma poi è stata solo felicità.
Negli anni a seguire ci sono stati un sacco di brani che mi hanno ricordato perché amo cantare e suonare. Ci sono tuttora, ma ha senso fare solo una piccola carrellata dei tardi ’90/primi 2000: i gruppi post-rock dagli arpeggi leggeri ed emo e dalle mega esplosioni; “Killing All The Flies” dei Mogwai è una delle mie canzoni preferite di sempre, che sparo a volumi allucinanti: mi vengono sempre le lacrime agli occhi; le grandi voci femminili: ho consumato “Vespertine” di Björk a forza di ascoltarlo, come i primi dischi degli Skunk Anansie, tutti quelli di PJ Harvey e Tori Amos, soprattutto “Under The Pink”. Poi adoravo i Blonde Redhead.

Quali sono le cose imprescindibili da sapere sul tuo nuovo disco in uscita? Qual è il brano che lo sintetizza? Rispetto alle tue produzioni precedenti, quali sono le assonanze e le diversità?

“Shameful Tomboy” è un disco che parte dalla composizione della sua title track, scritta dopo aver ripescato un ricordo della mia infanzia, di un episodio successo all’età di 5 anni all’asilo. In sostanza, è stato il primo momento in cui mi sono sentita fuori posto e giudicata negativamente senza capire cosa stessi facendo di sbagliato. Tutto parte da He-Man e il cartone animato “Masters of the Universe”. Per me il personaggio He-Man era come la Barbie delle altre bambine e la Befana quell’inverno aveva deciso di farmi trovare il castello di Grayskull (il castello presente nella serie di cartoni animati “He-Man and the Masters of the Universe”, NdR). Ero la bambina più felice dell’universo. Decisi di portarlo a scuola dopo le vacanze per giocare con i miei amichetti/e. Questo mio atto di condivisione ed espressione di felicità non fu visto esattamente bene dalla mia insegnante, suor Gabriella, che con uno sguardo rigido di disapprovazione mi disse: “Vergognosa!!!” Ecco perché il titolo Shameful Tomboy: è la riappropriazione orgogliosa di un termine che mi ha ferito e schernito e che avevo in qualche modo rimosso. Da questo pezzo, poi, si sono srotolati tutti gli altri. Si può dire che le ultime tre tracce del disco sono la connessione con quello precedente, mentre le altre si staccano sia come varietà sia come approccio: c’è un cambio di accordatura e di mood personale. Alcuni testi sono molto vecchi, altri li ho letteralmente sputati fuori in un attimo.

Se dovessi pensare alla soddisfazione più grande che lascia il “fare tutto da sola”, dalla composizione in sala prove alla fase di registrazione, fino al live davanti al pubblico, quale aspetto sceglieresti?

Cantare e suonare sono la cosa che sento più naturale e necessaria, quindi trovo tutto molto entusiasmante. Questa volta, però, per la registrazione del disco, ho fatto una pre-produzione casalinga. Visto che ho registrato tutto in analogico, volevo essere pronta e ho provato tantissimo a casa. Devo molto alla pazienza della mia ragazza. Mi sono trovata subito a mio agio in studio con Roberto Villa: “L’amor Mio Non Muore”, il suo studio tutto analogico, è una sorta di salotto vintage bellissimo, dove ti senti subito a casa. Il fatto di registrare tutto su nastro ha reso questo disco ancora più magico e importante per me, una sorta di sogno che si avvera. Mi sembrava di essere in uno di quei video delle band anni Novanta, quelli girati in studio, che guardavo da ragazzina sui canali di musica.

Il video di “1st Times” l’hai girato tu stessa: cosa ci troveremo davanti agli occhi? Come viaggiano a braccetto le immagini e il testo?

Vi troverete un video girato completamente con una action camera puntata su di me in diverse situazioni, azioni e luoghi. Mi sono auto-ripresa, per restare in tema con il fare tutto da sola, e mi sono divertita un sacco! Le riprese sono intervallate da stop motion velocissime di immagini prese da Internet, che sono strettamente collegate al testo e rendono il video più punk e dinamico. L’idea mi è venuta dal titolo della canzone, “1st Times”, il cui testo è strutturato come un elenco di “prime volte”, e io non avevo mai girato né montato un video prima d’ora, quindi ho pensato di provarci e di aggiungere un’altra “prima volta”.

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Quante volte ti sei sentita “un ragazzo vergognoso” perché non rispondevi alle aspettative e ai canoni stereotipati altrui? Quale consiglio daresti a ogni ragazza che gioca con le micro machines, ogni ragazzo che ama truccarsi, a tutti coloro che fanno scelte differenti, fuori dal tradizionale modo di fare e pensare e che per le loro scelte vengono tediati, offesi, discriminati?

Non mi sono mai sentita un “maschiaccio vergognoso”, me lo hanno fatto credere e pesare gli altri. Vorrei precisare che tra questi “altri” non sono inclusi né i miei genitori, né le mie sorelle e mio fratello, e nemmeno le persone che mi amavano e continuano a farlo. Nella mia infanzia, come ora, non ho mai capito a cosa servissero i confini, le delimitazioni di quello che una persona può o non può fare in relazione al genere biologicamente assegnato. Forse si ha l’impressione che i bambini non possano sapere cosa è meglio per loro stessi, ma per mia esperienza personale – quando si è bambini le ingiustizie si sentono lo stesso, non si è stupidi – questo mi faceva soffrire. Crescendo tutto ciò mi ha confusa e poi mi ha fatto pensare che io avessi qualcosa che non andava, mi ha fatto pensare di essere inadeguata, fuori contesto, fuori posto, mi sono quasi sempre sentita un po’ un alieno. Fortunatamente questa sensazione, anche se mi turbava, ha cominciato a piacermi perché ero diversa, ma continuavo a far finta di non sapere perché, finché non ho abbracciato completamente la mia unicità. Penso che sia bello essere uno diverso dall’altro ed è la nostra forza, perché di uguale nelle persone, negli animali, nelle piante e nella natura non c’è proprio niente. Tutto è colorato e multiforme. La norma e ciò che è normale l’ha deciso l’uomo ed è una noia totale. Ai bambin* in particolare vorrei dire che è fantastico giocare con qualsiasi cosa e le persone e i bambini che non lo capiscono si perdono del gran divertimento, si perdono la varietà e le cose diverse, e diverso non vuol dire né pauroso né sbagliato. Vorrei anche suggerire di provare a spiegarlo agli amic* che non lo capiscono ma molt* faranno fatica a capirlo e ci sarà chi non capirà mai. Tenete duro perché vale veramente la pena essere liberi e felici.

Quotidianamente, e molto semplicemente, con quali gesti e attitudine possiamo contrastare il patriarcato che ancora impera nel 2019?

Basterebbe non stare più zitt* (tutt*) ed educatamente fare presente a chi ha atteggiamenti sessisti (che queste persone siano M, F o X) che è scorretto quello che stanno facendo e, nel caso di attacchi verbali, obiettare argomentando quello che stiamo dicendo. Ma non basta, bisognerebbe farlo presente anche a chi usa aggettivi offensivi inappropriati e che riguardano le donne e la loro libertà sessuale, a chi fa body shaming, a chi sottovaluta la donna o dà per scontato minori capacità della donna in certi settori…: la lista si va ad allungare troppo se le metto tutte! Insomma, ogni volta che ne sentite la necessità. Si può essere anche maleducati quando serve! Bisogna che lottiamo tutte insieme da buone sorelle.

Se dovessi scegliere un tuo pezzo e farlo reinterpretare a un’/un altra/o artista, quale sceglieresti? Quali – sempre che ci siano – musicist* nel panorama attuale italiano senti vicin* a te, sulla tua stessa lunghezza d’onda?

Non credo di riuscire a rispondere alla prima domanda. Ci sono tant* artist* che sento vicin* per affinità, amicizia, tanto affetto e amore. Prima su tutti, la mia dolcissima metà Stefania Pedretti aka ?Alos, cantante e chitarrista degli OvO. Come potrete immaginare, per condivisione di qualsiasi idea. Stefania per me è l’esempio migliore da seguire per autodeterminarsi e assecondare i propri sogni: è la mia più grande fonte di ispirazione. Amo tutto quello che riesce a creare e ogni volta mi stupisce. Ha la capacità di catturarti, rapirti e portarti lontano, è devastante e selvaggia e allo stesso tempo raffinata e delicata. Bruno Dorella, l’altra metà degli OvO, eclettico e talentuoso fratellone: tra i suoi tanti progetti adoro soprattutto i Ronin. Da poco è uscito il loro nuovo album e non riesco a togliermelo dalla testa, lo continuo a canticchiare. Sempre disponibile e presente, per lui provo stima e un affetto esagerato. Nàresh Ran (Hate & Merda), il profeta della mia etichetta Dio Drone, colui che ha dato vita al mio nuovo disco, che adoro in ogni cosa faccia, che è soltanto di due giorni più vecchio di me quindi siamo praticamente come gemelli. Francesca Amati dei Comaneci: amo la sua voce, riesce a mettere uno strato di velluto su ogni canzone che passa tra le sue corde vocali. È super intensa ed è anche una cara amica. Abbiamo duettato una volta ed è stato bellissimo. Non posso fare una lista troppo lunga, questi sono i primi che mi vengono in mente!

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