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#leimeritaspazio Sibilla Aleramo: vita e letteratura di una scrittrice dimenticata
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#leimeritaspazio Sibilla Aleramo: vita e letteratura di una scrittrice dimenticata

Articolo di Alessandra Vescio

Quanti di voi conoscono Sibilla Aleramo? Quanti ne hanno studiato la vita e le opere allo stesso modo in cui si sono ritrovati a dover fare Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello o Giuseppe Ungaretti? Pochi, lo so. Pochissimi e forse nessuno. Perché alle donne di solito nei libri di scuola viene riservato un trafiletto alla fine di un capitolo e quando se ne parla spesso è per ricordare le loro relazioni con intellettuali famosi o per screditarne quelli che vengono considerati soltanto dei tentativi anziché dei talenti.

Eppure Sibilla Aleramo, come tantissime altre scrittrici dimenticate, è autrice di uno dei romanzi più importanti dei primi anni del Novecento e ha continuato a scrivere, a raccontare e a raccontarsi per decenni. Perché allora nessuno ne parla?

Chi è Sibilla Aleramo

Nata ad Alessandria il 14 agosto 1876, Sibilla Aleramo, il cui vero nome è Marta Felicina Faccio (detta Rina), inizia presto a viaggiare con la famiglia per il lavoro del padre. Da Alessandria si sposta a Vercelli, poi a Milano e infine a Porto Civitanove Marche dove trascorrerà gran parte della sua infanzia e tutta la sua adolescenza. Rina è una bambina sveglia e attiva, ama leggere e studiare e trascorrere del tempo con il padre che lei stessa definisce come un uomo che «sapeva tutto e aveva sempre ragione». La madre, fragile e bisognosa di cure, soffre di turbe psichiche che la porteranno prima a tentare il suicidio e poi a essere internata in un manicomio. A soli 12 anni Rina accetta l’impiego di contabile nell’azienda dove lavora il padre e nel tempo libero studia e si occupa della casa.

Lo stupro e il matrimonio riparatore

Nel 1892, un episodio di violenza le cambia la vita: a soli 16 anni, è vittima di uno stupro da parte di Ulderico Pierangeli, un dipendente della stessa azienda per cui lei e il padre lavorano. Lo dirà in futuro e nei suoi scritti: nella sua vita esistono un prima e un dopo e quell’evento segna il confine tra l’infanzia luminosa e il buio dell’angoscia. In Una donna, romanzo autobiografico che Aleramo pubblica nel 1906 per la casa editrice torinese STEN, acclamato dalla critica soprattutto per la sincerità della narrazione, l’autrice descrive l’episodio della violenza e le conseguenze che ha dovuto subire. Dopo lo stupro, Rina è costretta infatti al matrimonio riparatore che porta con sé il terrore di avere accanto quell’uomo violento, le voci meschine del paese, i tentativi di screditare la sua famiglia venuta da lontano e perfino l’orgoglio di chi l’aveva stuprata, diventato una sorta di mito tra amici e compaesani. E come se questo non bastasse, Pierangeli le impone una vita fatta di reclusione e violenza: Aleramo racconta di come il marito, estremamente geloso, le vietasse di affacciarsi alla finestra per evitare gli sguardi maschili o come le imponesse di nascondersi in camera ogni volta che un uomo fosse entrato in casa, si trattasse anche solo del medico della madre. Rina è spaventata e svuotata e la nascita del figlio nel 1895 da un lato le riempie il cuore di gioia, dall’altro non riesce a farla sentire completa e nel 1896 tenta il suicidio. È solo grazie alla scrittura che Rina riesce a trovare un appiglio e uno sfogo a tutto quel dolore. Si trasferisce a Milano per il lavoro del marito e lì inizia a collaborare con diversi giornali e dirige temporaneamente la rivista «Italia femminile», in cui parla di politica e attualità.

Una donna

Dopo poco però è costretta a tornare nell’ambiente per lei soffocante del paese marchigiano e nel 1902 decide di lasciare il marito e il figlio e di trasferirsi dalla sorella a Roma. È una decisione drastica, quella presa da Rina, che in pochi all’epoca riescono a capire. Di questa scelta, del suo significato e di ciò che ha comportato parla molto in Una donna, dove analizza anche il tema della maternità e dell’essere genitori: secondo l’autrice infatti la madre sopprime in sé la donna e questo non può mai essere un esempio da seguire per un figlio; inoltre sostiene che bisognerebbe diventare genitori solo quando si è consapevoli di sé e completi al punto da dare la vita a un altro essere umano.

Sibilla proverà con tutte le sue forze a ottenere la custodia del bambino e la separazione legale dal marito, che però non le concederà nessuna delle due. Anzi, dopo due anni le impedirà anche di avere col figlio un rapporto epistolare. Quando nel 1934 madre e figlio si rincontreranno, saranno purtroppo due estranei.

A Roma Rina inizia una relazione con Giovanni Cena, il quale lavora moltissimo alla stesura definitiva di Una donna, tagliando parti e sistemando pezzi in modo autoritario e quasi imponendole l’utilizzo di un nuovo nome per la pubblicazione: quello appunto di Sibilla Aleramo. Sibilla, perché le cose che la scrittrice ha da dire sono tante e profetiche; Aleramo come quel cavaliere dall’animo puro che si sacrifica per amore.

Una donna ovviamente fa scandalo. In un’Italia perbenista e borghese, raccontare in prima persona di uno stupro, della scelta consapevole di abbandonare il focolare domestico, del rifiuto dei ruoli di genere, della paura e anche dello smarrimento dovuto al dolore che spesso ha portato la scrittrice a confondere amore e violenza, è uno schiaffo alle convenzioni. Non è un caso d’altronde che il romanzo sia considerato uno dei pilastri del movimento femminista in Italia, per via di quell’indagine della condizione femminile attraverso un’individualità che sa di pluralità. Già dal titolo si capisce infatti quanto Aleramo volesse parlare di sé, di un caso singolo che non ha nome, ma per finire a parlare di tutte.

Il movimento femminista e le questioni sociali

E del movimento femminista la scrittrice fa parte e ne è esponente di primo piano, perlomeno all’inizio. Partecipa al Congresso nazionale femminile che si svolge a Roma nel 1908, scrive articoli sulla condizione delle donne, crede fermamente nella necessità di ciascuna di essere libera. E a ciò accompagna un forte interesse per le questioni sociali in senso più ampio: nel 1909 Aleramo va in Calabria e in Sicilia con Cena dopo il terremoto dell’anno precedente e un altro viaggio, questa volta con Gaetano Salvemini, la porta ad approfondire lo status culturale del Meridione. Nello stesso romanzo Una donna, d’altronde, Aleramo intreccia alla sua autobiografia anche temi d’attualità, come la nascita di una nuova borghesia, le proteste degli operai, la questione dell’industrializzazione: Sibilla in sostanza è una donna attenta e particolarmente interessata a ogni forma di oppressione.

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E come una sorta di reazione alla repressione che lei stessa ha vissuto in precedenza o forse più semplicemente perché finalmente ha la possibilità di essere se stessa, da quando si trasferisce a Roma la sua vita cambia drasticamente riempiendosi di eventi, incontri, relazioni e viaggi. Milano, Firenze, Parigi, Ischia: in ogni città in cui si trasferisce per un tempo più o meno breve, Aleramo conosce intellettuali di spicco, si innamora e soprattutto scrive. Poesie, racconti, articoli di giornale, lettere mai spedite e poemi che non raggiungono un grande successo di critica: tra alti e bassi, la penna di Sibilla si muove freneticamente e lo dimostrano i suoi tanti diari, le bozze e le carte, oggi conservate nell’archivio della Fondazione Gramsci a Roma.

Illustrazione di WhatRozz

Nel 1925 Aleramo firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti e poco dopo, per via dei suoi rapporti con Tito Zaniboni, autore di un non riuscito attentato a Mussolini, viene arrestata e la sua abitazione perquisita. Le difficoltà economiche però la assalgono e nel 1928 scrive proprio a Mussolini chiedendogli un colloquio, durante il quale riesce a strappargli una rendita fissa (alcune fonti sostengono invece che Mussolini le abbia dato solo una somma di riconoscimento e che lo stipendio mensile sia venuto successivamente e per intercessione di altri). Aleramo entra a far parte anche dell’Associazione fascista donne artiste e laureate e del Sindacato autori e scrittori e si allontana gradualmente dal femminismo, che definirà come un’avventura da adolescenti: in seguito, sosterrà la tesi della diversità delle donne e della necessità della «libera estrinsecazione dell’energia femminile».

È dopo la guerra, e precisamente nel 1946, che Aleramo decide di iscriversi al Partito Comunista italiano, recuperando e riaffermando quell’interesse per le questioni sociali: «La nostra è una dolorosa lotta di liberazione compiuta e da compiere in sintonia con il movimento politico generale di emancipazione degli sfruttati di tutto il mondo», dirà Aleramo nel 1952.

Sibilla Aleramo ha ancora molto da dire

Costellata fino alla fine di storie d’amore e pagine di diari, la vita di Sibilla Aleramo è stata intensa, irrequieta e trasgressiva. A sue spese scopre cosa voglia dire essere libera: da stereotipi, da condizionamenti, ma anche da quella sensazione, che le appare come un obbligo, di non sentirsi completa. Piena di contraddizioni e ferite, capace di colpire al cuore con un racconto del dolore intimo e profondo, coraggiosa al punto tale da attraversare la sofferenza per ritrovare se stessa, Sibilla Aleramo ha ancora oggi molto da raccontare. Ecco perché #leimeritaspazio.

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