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Signature Move, la mossa segreta di un amore normale

Signature Move, la mossa segreta di un amore normale

Articolo di Alessandra Vescio

Ironico, leggero e divertente, Signature Move è uno di quei film che indaga tematiche complesse come l’accettazione di sé con semplicità e naturalezza.

Scelto per aprire il Florence Queer Festival, rassegna di cultura queer nata a Firenze nel 2003, Signature Move è infatti una commedia romantica ma non stucchevole, che lascia il sorriso sulle labbra pur facendo riflettere. Nello specifico, il lungometraggio racconta la storia d’amore tra Zaynab, avvocatessa lesbica e aspirante wrestler, e Alma, libraia di origini messicane e figlia di un’ex lottatrice. Le due si incontrano in un bar, si conoscono, si innamorano e tra una serata in discoteca, un allenamento in palestra e qualche shot di tequila, affrontano gli alti e bassi di una relazione.

Provenienti da due mondi solo apparentemente molto lontani, Alma e Zaynab sono entrambe figlie di immigrati in una Chicago multiculturale che ha accolto le loro famiglie alla ricerca di nuove opportunità.

Alma, libera e determinata, vive con la madre e due fratelli e con loro ha un rapporto aperto ed estremamente amichevole. A tavola parlano di sesso e relazioni, trasgressioni e libertà, ma anche di quel marito che più volte ha provato a sottomettere e limitare la madre di Alma riuscendo a ottenere soltanto la separazione e la fuga.

Zaynab, invece, è pakistana e musulmana e vive con la mamma, la quale si è trasferita da lei dopo la morte del padre e che trascorre intere giornate a guardare la TV e a desiderare che la figlia trovi presto marito. Zaynab infatti non riesce a dire alla madre fervente musulmana che è attratta da altre donne, e neanche che ha iniziato ad allenarsi per diventare wrestler. Ed è proprio su questo rapporto, fatto di piccole bugie e segreti, che Alma si scontra con Zaynab, la quale a sua volta si scontra con la madre e in fondo con se stessa.

Conflitti generazionali, culturali, religiosi si intrecciano in una commedia sentimentale che indaga la scoperta e l’accettazione di sé con quella «leggerezza del cuore» di cui tanto ha parlato la regista Jennifer Reeder. Signature Move infatti non condanna né giudica, ma cala in un contesto di normalità un cammino che dall’esterno sembra avere più ostacoli che altro. È la stessa Zaynab, infatti, a dire che il percorso che ha portato Alma a essere così sicura di sé è senza dubbio meraviglioso, ma non per questo può dirsi migliore del suo, fatto invece di cadute, riprese e piccoli compromessi. E proprio in un’intervista alle protagoniste del film che l’attrice Sari Sanchez (Alma) spiega quanto sia stato entusiasmante per lei interpretare un personaggio così determinato e sicuro che alla fine, però, si ricrede nei riguardi di ciò che sa e su tutte quelle cose che ancora deve imparare e capire. E lo farà proprio grazie alla più esitante compagna.

Sia chiaro, Signature Move non giustifica neanche i pregiudizi di una madre che da quando ha lasciato la sua terra si è chiusa in se stessa e nei dettami della sua religione: il film piuttosto gioca su luoghi comuni con garbo e ironia. Parveen, questo il nome della mamma di Zaynab, interpretata dalla celebre attrice indiana Shabana Azmi, passa tutto il giorno sulla sua poltrona: lì si sveglia, si addormenta, mangia ciò che per lei prepara la figlia. Difficilmente si alza o cambia posizione, se non per scombinare la composizione di quadri appesi alla parete o per spiare col binocolo dalla finestra potenziali futuri generi. A fare da sottofondo alle sue giornate tutte uguali, quella soap opera pakistana che funge da trama secondaria e volutamente semplificata: anche lì due persone che si amano sono ostacolate dalla famiglia, anche lì una madre e una figlia discutono e si scontrano su valori e desideri.

«Quando mi è stato chiesto di girare questo film, non ho potuto dire di no», ha affermato la Reeder che, abituata a girare cortometraggi sperimentali e intrecci inusuali scritti interamente da lei, si è misurata con una trama lineare e una comicità fresca e semplice ma pur sempre finalizzata a porre e porsi domande su tematiche sociali. Le riprese del film completamente composto da donne davanti e dietro la telecamera – eccetto che per il ruolo del barista – sono iniziate, infatti, quando la corsa alla Casa Bianca aveva puntato i riflettori su dei diritti che qualcuno stava mettendo in discussione: «Eravamo convinti che avremmo portato il film in tour durante l’amministrazione della prima donna Presidentessa degli Stati Uniti e, dal momento che non è stato così, questa storia assume un significato ancora più importante», ha dichiarato la Reeder durante un’intervista.

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Uscito nelle sale statunitensi a marzo 2017, Signature Move è stato scritto da Lisa Donato e Fawzia Mirza (anche interprete di Zaynab), che in un tweet dello scorso anno si definì «una lesbica, musulmana, pakistana, attrice, attivista, scrittrice, produttrice, avvocatessa e creatura di passione», usando l’hastag #CanYouHearUsNow.

L’hashtag era la risposta delle donne americane musulmane alle insinuazioni di Donald Trump verso Ghazala Khan, madre del Capitano Humayun Khan, morto nel 2004 in Iraq. Durante il Congresso Nazionale dei Democratici a Philadelphia, infatti, Khizr Khan – il padre del soldato rimasto ucciso – aveva risposto alle affermazioni di Trump secondo cui gli americani musulmani hanno simpatie terroristiche o restano in silenzio quando sanno che qualcuno di loro le ha. Impugnando la Costituzione americana, Khizr Khan chiedeva al candidato se l’avesse mai letta e se fosse mai stato al Cimitero di Arlington dove si trovano «le tombe dei coraggiosi patrioti che sono morti per difendere l’America: troverai tutte le fedi, tutti i sessi, tutte le etnie», disse Khan.

L’unica risposta che diede il candidato repubblicano fu la peggiore possibile: dopo aver definito Mr. Khan come una «brava persona», spostò l’attenzione sulla moglie che durante il discorso era rimasta in piedi accanto a lui: «Se guardi la moglie, lei sta ferma lì. Non ha niente da dire. O probabilmente non le è concesso di parlare».

#CanYouHearUsNow diventò dunque lo slogan delle donne musulmane americane che, a differenza di quello che credeva Trump, avevano e hanno tantissime cose da dire. Come dimostra Fawzia Mirza, che col suo film ha raccontato la leggerezza e la bellezza di una storia d’amore complessa secondo i canoni classici di una commedia sentimentale in cui si ride, ci si diverte e ci si accorge di quanta normalità ci possa essere in una relazione d’amore, a prescindere dalla religione, dal sesso, dal pregiudizio. E forse la “signature move” è proprio questa: andare oltre le etichette e i giudizi, amarsi e rispettarsi, e imparare a farlo senza fretta, senza paure e con la voglia di sorridere. Perché se d’amore si tratta, si ride.