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Soak: 22 anni di talento, delicatezza e attivismo
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Soak: 22 anni di talento, delicatezza e attivismo

Il suo nome d’arte è SOAK, all’anagrafe è Bridie Monds-Watson.

È irlandese, socialmente impegnata e ha una voce eterea, ma potente.
È un talento innato e, fin dai primi anni dell’adolescenza, è stata definita dalla critica un astro nascente. Oggi è considerata una vera e propria rivelazione e una promettente cantautrice dai testi intimisti ed estremamente maturi, impegnati, per la sua età.

Soak infatti ha 22 anni e due Glastonbury alle spalle.

Il suo debutto lo ha fatto quattro anni fa, quando era appena maggiorenne e con il suo disco d’esordio Before We Forgot How To Dream, mix di euforica spensieratezza e delicata malinconia. Dopo essere stata candidata ai Mercury Prize, è stata selezionata per i Q Award (Best New Act) e si è portata a casa l’European Border Breaker Award.

Il 26 aprile su Rough Trade Records è uscito il suo secondo lavoro di studio, Grim Town, un album che esamina ciò che accade quando si cresce e ci si ritrova inseriti in un mondo che non era quello che ci era stato promesso.

Di Grim Town, del suo attivismo, dei diritti civili e di cosa significhi avere vent’anni e trovarsi sotto le luci della ribalta, ne abbiamo parlato con lei.

Bridie, qual è stato il primo disco che hai consumato?

Il primo disco di cui mi ricordo di essermi innamorata è quello di Avril Lavigne: a 12 anni ne ero ossessionata, passavo quasi tutte le sere nella mia camera da letto a creare video musicali casalinghi.

Grim Town è ispirato all’ambientalismo audiovisivo di The Wall dei Pink Floyd e alle produzioni di Arcade Fire, Broken Social Scene e Phoebe Bridgers: qual è stata la sua genesi?
Ho letto che eri spaventata dal fatto che tutti si aspettassero che “rimanessi acustica e dolce, quando in realtà volevo che fosse un carnevale di rumore”: ci sei riuscita? Sei soddisfatta?

Grim Town è uno stato d’animo e ho costruito questo album come atto di autoterapia per cercare di capire/accettare il mio cervello. Ho pensato, togliendomi tutto dalla testa e costruendo una città metaforica con quei pensieri, che sarei stata così in grado di vedere più chiaramente e alla fine risolvere alcuni dei miei problemi. Musicalmente stavo cercando di fare sempre la mossa più imprevedibile e lavorare senza limiti di genere. Per me, niente sarebbe stato più noioso che fare qualcosa di simile al mio primo disco, così mi sono lasciata andare a qualsiasi cosa mi interessasse. Sono davvero soddisfatta di come è stato realizzato questo disco ed entusiasta di iniziare a scriverne un altro.

In Grim Town ci sono tante emozioni, dall’amore a distanza alla depressione, il divorzio e la sociofobia, attraversando i cambiamenti del mondo moderno (dal punto di vista sessuale, politico ed emotivo): quali sono le ispirazioni dei tuoi testi? E come è cambiato il tuo modo di scrivere nel corso degli anni? Sei influenzata da un artista in particolare, in termini di scrittura? Chi apprezzi tra i songwriter di ieri e di oggi?

Scrivo i testi basandomi sulla mia realtà, per la maggior parte sulle situazioni che ho vissuto, sulle mie esperienze di vita. Le canzoni di Grim Town affrontano un intero spettro di emozioni, quindi ho cercato di esprimerlo nel modo più accurato possibile. Ho cercato di sfidare me stessa come autrice con il tentativo di approcci diversi in ogni canzone e senza temere la nuova strumentazione.
Grande ispirazione per me, sia da una prospettiva musicale che lirica sono artisti come Bon Iver, The 1975, Big Thief. Mi piacciono i testi realmente onesti, venerabili.

Com’è vivere la turbina del business musicale a vent’anni?
Sei riuscita a trovare un equilibrio tra il tuo essere musicista e te stessa fuori dalla musica?

Sono molto entusiasta di essere tornata a fare la musicista itinerante. È la mia parte preferita del fare musica e sono passati un paio di anni da quando sono stata in giro a suonare, sono davvero eccitata per l’uscita di Grim Town.
Oggi rispetto agli esordi so molto meglio come proteggermi all’interno dell’industria musicale e conosco i miei limiti in termini di esaurimento, ci è voluto un po’ per capirli.

Sei di Derry, portato alla ribalta dal telefilm Derry Girls. Com’è stato crescere in una piccola città? Tante persone che crescono in provincia, nelle città piccole, non vedono l’ora di scappare, andare lontano: tu hai mai pensato di trasferirti altrove?

Mi sono trasferita a Manchester due anni fa perché volevo sperimentare qualcosa di nuovo. Mentre Derry durante la mia infanzia è stata un ambiente sicuro e divertente in cui crescere, sentivo il limite di vivere in un posto piccolo e sapevo che avrei avuto più opportunità spostandomi. Ora vivo sopra “Allen’s fried chicken”: i sogni diventano realtà.

L’Irlanda, come l’Italia, è un Paese molto religioso. Recentemente si è svolto qui da noi il Congresso Mondiale delle Famiglie, durante il quale estremisti di destra e fondamentalisti religiosi hanno messo in discussione la legge sull’aborto, dichiarato che l’omosessualità è una malattia e altre sciocchezze da Medioevo. In che situazione si trova la comunità LGBT+ nel tuo Paese? Quali sono i problemi in cui si imbatte?

Attualmente nell’Irlanda del Nord le persone LGBT non possono sposarsi e siamo senza governo da due anni. Sembra che nessuno stia combattendo per noi.
Fortunatamente, sono cresciuta con il sostegno della mia città e di chi mi è vicino. A Derry si tiene ogni anno un enorme Pride a cui partecipano migliaia di persone: è più di una protesta e il fatto che non sia stato commercializzato è un aspetto che ho sempre amato.

Non ci sono scuse per l’omofobia e non c’è nessuna scusa per il fatto che il diritto di sposarsi per il popolo queer sia un lusso e che non siano benvenuti nell’Irlanda del Nord. Credo che sia arrivato il tempo che dinosauri come Arlene Foster realizzino in che anno siamo e con il suo clan di bigotti DUP smetta di negare i nostri diritti.

Sei giovanissima, ma fin dal tuo esordio sei stata molto attiva nel sociale e hai una forte sensibilità e consapevolezza. Cosa vuol dire essere femminista a 20 anni nel 2019? Cosa può fare un ventenne per tutelare i diritti civili e raggiungere l’empowerment?

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Il femminismo è molto importante per me, soprattutto nel 2019 perché abbiamo ancora così tanti problemi sociali in cui le donne arrivano dopo. Tra una moltitudine di altri bastoni tra le ruote, il diritto all’aborto e la libertà di scelta devono ancora diventare legge nell’Irlanda del Nord.
Penso che la cosa più importante sia che ci si difenda l’un l’altro senza smettere mai di perseguire l’uguaglianza per tutti. Insieme possiamo rafforzarci. Se vedi l’ingiustizia, ne parli.

Da bambina ti è stata diagnosticata la dislessia. Che consiglio daresti a chi ha avuto la stessa diagnosi? Come si riesce ad andare oltre le difficoltà che potrebbe comportare?

Quando ero più piccola ho avuto la fortuna di essere molto competitiva e motivata, così quando mi veniva detto che non ero in grado di fare qualcosa, mi veniva ancora più voglia di farla e riuscirci. Il consiglio che darei ai più giovani con la dislessia è di leggere il più possibile e tentare di scrivere in modo creativo in qualsiasi formato. Essere in grado di nutrire la mia immaginazione attraverso la scrittura è stato per me estremamente benefico.

Sei molto amata dal pubblico, supportata dalla tua famiglia, considerata una rivelazione fantastica. Hai mai ricevuto critiche? Come hai fatto ad andare oltre senza abbatterti?

Esporsi pubblicamente porta con sé i suoi pro e contro. Inizialmente è stato difficile affrontare le critiche (e a volte lo è ancora) ma è qualcosa di fisiologico, bisogna sempre ricordarsi dei propri obiettivi e liberarsi dai dubbi inutili su se stessi.

Ti vedremo in concerto in Italia?

Lo spero!

Ci saluti col titolo di una canzone di Grim Town che più ti rappresenta e che ci possa dare l’idea di chi è Soak oggi?

Penso che Life Trainee sia il pezzo più significativo dell’album, è così che mi definirò per sempre, credo.

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