Premessa: in fatto di televisione sono schizzinosa ed esigente, e non pensate che qualcuno in casa mia possa guardarsi I Cesaroni o una qualunque fiction di Rai Uno senza dover ascoltare le mie critiche sprezzanti. Nonostante la mia dipendenza da serie TV, ho sempre mantenuto un minimo standard qualitativo, pur guardando cose molto diverse tra loro, e ho sempre preso in giro la TV scontata e prevedibile alla Don Matteo, per non parlare poi della soap opera. Di seguito la storia di come sono finita davanti al computer a guardare soap fino a tarda notte.
È cominciato tutto quando per lavoro mi sono trovata a fare ricerche sull’attrice di soap Crystal Chappell, scoprendo così che nella sua lunga carriera la signora Chappell si è spesso trovata a interpretare ruoli gay(ish): prima come parte della prima coppia lesbo di Sentieri, poi di Beautiful, e in seguito anche nelle due web soap che ha prodotto e in cui ha recitato come protagonista.
È bastato qualche minuto su internet, e la moderna scienza al servizio dell’uomo nella forma di video correlati su YouTube mi ha riversato addosso un’enorme quantità di spezzoni di puntate di soap, opportunamente editate così da seguire l’evoluzione della coppia queer preferita senza doversi sorbire l’intero show. Hollyoaks, Verbotene Liebe, Los Hombres de Paco, Amar en Tiempos Revueltos, sono solo alcuni dei titoli che escono fuori. Curiosando tra quegli spezzoni di soap e drammi seriali senza troppe pretese, spesso molto più vicini per situazioni e linguaggi alla nostra fiction di carabinieri, preti e medici in famiglia piuttosto che a Orange Is The New Black per capirci, mi sembrava di essere cresciuta a Narnia. Mentre su YouTube guardavo soap straniere in cui alle coppie omosessuali non venivano negati baci e scene tra le lenzuola, scenate di gelosia e riappacificazioni, mi tornavano in mente le parole dello sceneggiatore Aaron Ariotti, che, intervistato da Vice, dichiarò tra le altre cose:
“Nella soap opera il livello di censura è inquietante. Quella in cui lavoravo andava in onda in daytime, alle 14.00, e non potevano esistere omosessuali, ad esempio. In quel mondo lì semplicemente non c’erano. Era una scelta editoriale esplicita della rete, ti fa venire un po’ di sconforto”
Piena di questo sconforto, mi ha sorpresa vedere come anche al di fuori del grande serial osannato e venerato, anche in quella televisione con meno pretese, queste storie stessero diventando ordinarie e familiari. Incuriosita, ho cercato di informarmi sulla storia del genere e di ricostruire qualcuna delle storyline di questi personaggi. Se i ruoli della Chappell sono stati innovativi per il daytime americano, ancora soggetto ad una censura mica da scherzi (vedi la castità della relazione tra Olivia e Natalia), in Europa il passo è sempre stato più sostenuto: oggi i personaggi LGBTQ nelle soap sono tutt’altro che una rarità e la castità è rimasta oltreoceano.
Certo, al momento del loro debutto nel mondo delle soap (anni ’80), la sessualità di questi personaggi era ancora la loro caratteristica peculiare, se non l’unica. L’introduzione di personaggi gay con l’intento di usare le soap come uno strumento di promozione di idee liberali e di sensibilizzazione del pubblico alle tematiche in discussione, finiva per rimanere subordinata a tale scopo. Mentre tutte le relazioni nelle soap sono sempre state caratterizzate da una forte drammaticità, questa passionalità non era concessa ai personaggi omosessuali, la cui problematicità si risolveva interamente all’interno della loro diversa sessualità. Le loro relazioni, quando esistevano, erano totalmente secondarie, aspetti incidentali di una storyline che tendeva ad altro, ovvero all’accettazione della loro diversità all’interno della comunità, che usciva rafforzata dalla rottura dell’ordine che il personaggio aveva causato, assieme ai “buoni” della storia, la cui bontà veniva rimarcata dalla tolleranza verso la diversità del personaggio gay. Questa versione del gay come eunuco funzionale a trame moraleggianti era tutto ciò che mi era capitato di vedere nella TV generalista, ma questi personaggi sono finalmente oltre. Sono anche gay. Si sono guadagnati il diritto a vivere una vita normale, o piuttosto ordinariamente irrazionale, melodrammatica e ipertrofica, come è spesso l’esistenza dei personaggi delle soap.
Curiosity killed the cat, dicono, e così video dopo video sono finita mio malgrado ad affezionarmi a questi personaggi. Il mio animo da fangirl ha preso il sopravvento, costringendomi a seguire fino alla fine le improbabili storyline della storia d’amore tra l’agente di polizia Pepa Miranda e il medico forense Silvia Lo Castro.
Perché sono rimasta a guardare uno show la cui assurdità e generale inadeguatezza ai miei standard di intrattenimento televisivo mi facevano roteare gli occhi e scrollare la testa? Forse perché, come direbbe mia madre, ho troppo tempo libero, o forse per quel modo carino in cui Pepa chiamava Silvia princesa o pelirroja tutto il tempo. In altre parole, per il fatto che questa volta in quelle situazioni paradossali, in quelle scene smielatamente romantiche o esageratamente melodrammatiche, potevo vederci qualcuno che non ci avevo mai visto e che invece aveva tutto il diritto di esserci. Facendo mio un commento di un lettore ad un articolo su Gawker, “Isn’t equal rights about everyone being able to be caricatured, stereotyped and misrepresented equally?” La mia risposta è evidentemente sì, perché l’uguaglianza passa anche da questo. I personaggi delle soap sono intrinsecamente non realistici, e così le loro storie. E allora dove c’è un personaggio etero invischiato in situazioni ridicole e anni luce distanti dalla realtà, perché non ce ne potrebbe essere uno gay? Questi nuovi personaggi possono innamorarsi straziatamente, tradire stupidamente, tornare insieme e morir d’amore, per storie in cui persiste tutta l’estetica della soap, con le sue banalità e la sua iperdrammaticità. Tutto semplicemente in chiave queer, proprio succede alle mie beniamine Pepa y Silvia, che si accoppiano e si scoppiano fino a che, ad un passo dall’agognato lieto fine, qualcuno (spoiler alert) ci rimette la pelle, per un finale che più da soap opera non si può, con toni così melodrammatici che neanche Madama Butterfly nei giorni più bui.
Accettato allora che i personaggi gay siano squinternati quanto quelli etero, rimane doveroso richiedere una rappresentazione sempre più accurata e paritaria, e a me sembra che ci muoviamo in questa direzione. Le relazioni queer mantengono ancora quell’allure sovversiva da rottura dell’ordine, una vera manna per soap e affini che hanno saputo sfruttarla a beneficio dei loro ascolti, ma che non hanno sempre ricambiato in termini di screen time e pda policy. Contate però le variabili di paese di produzione, fascia di programmazione, eccetera, quello che ho visto sono segnali decisamente positivi, che mostrano la volontà di rappresentare finalmente le coppie omosessuali come coppie qualsiasi. E se il discorso sovversione e rottura dell’ordine rimane ancora più valido per personaggi transgender, è anche vero che la soap si è sforzata di rendere loro giustizia, con personaggi come Hayley Cropper, prima transgender a diventare personaggio fisso in una soap, la cui rappresentazione “sensitive and realistic” fu lodata anche da un membro del parlamento britannico, o come, in tempi più recenti, il ragazzo transgender Jason Costello, di cui lo show racconta anche la relazione con un altro ragazzo.
Dal loro ingresso nel mondo delle soap, i personaggi LGBTQ hanno fatto strada, costringendo l’opinione pubblica a confrontarsi con loro e contribuendo ai grandi cambiamenti che hanno attraversato e stanno attraversando la nostra società. La storia della conquista del genere da parte dei personaggi LGBTQ, tra lettere di protesta che si alternano a fan mail che implorano la canonizzazione della coppia lesbo già ultra-popolare tra i fan, discussioni nei talk-show e interrogazioni parlamentari, dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto sia grande il peso dei media nella nostra società. Rendiamoci conto, anche qui in Italia, di quanto sia importante in questo momento vedersi rappresentati non come un plot point più o meno educativo, ma come persone, con sentimenti, passioni e istinti. Buone e cattive, meschine e magnanime. E dispiace vedere che tra le varie coppie le cui storie vengono ricostruite nei cut su YouTube, che in molti casi finiscono per dare al prodotto nazionalpopolare un seguito internazionale, non ce ne è nessuna italiana. La televisione rimane, su tutti, specchio della società reale, uno specchio a tratti deformante o caricaturale, ma nondimeno uno specchio, e se non appari nello specchio vuol dire che sei invisibile nella realtà. Essere rappresentati significa esistere. Guai a sottovalutare l’esigenza di ritrovare se stessi nello schermo del televisore, e di essere visti dagli altri.
Chiara Baroni