Articolo di Biancamaria Furci e Alessandra Vescio
Secondo il “Digital News Report 2019” redatto dal Reuters Institute, la fiducia che gli italiani ripongono nei media e nell’informazione è particolarmente bassa, e ciò si deve, dice ancora lo studio, alla mancanza di imparzialità del giornalismo italiano e alla “forte influenza politica e agli interessi commerciali” nel settore. Il risultato è che solo il 40% degli italiani intervistati si fida delle notizie con cui entra in contatto. E, mentre i telegiornali Rai e Mediaset restano il mezzo di informazione più comune, dal 2013 al 2017 la carta stampata ha subito una riduzione del 21% delle entrate. Un ruolo importante è oggi ricoperto anche dall’informazione online e dai social media, considerati dagli stessi utenti non completamente attendibili ma diventati comunque un riferimento importante: il 54% degli intervistati, per esempio, utilizza Facebook per informarsi.
Che il giornalismo in Italia non stia vivendo un periodo d’oro, è cosa nota: testate che aprono e chiudono velocemente, siti internet stracarichi di banner e video pubblicitari per guadagnare centesimi, articoli tutti uguali, frutto di una pedissequa operazione di “copia e incolla”, titoli sensazionalistici che – nel migliore dei casi – si rivelano incoerenti rispetto alla banalità del contenuto. E poi ci sono le fake news, che negli ultimi anni hanno rappresentato il motore e la causa, a seconda del punto di vista, della complicatissima situazione politica e sociale attuale. Il peso politico delle informazioni false nelle scelte degli elettori è innegabile, ma quelle che oggi vengono chiamate “fake news” sono in realtà sempre esistite, anche prima dell’avvento di Internet e dell’informazione online: come dice la giornalista Arianna Ciccone, a cambiare sono state “la portata e la capacità di diffusione”.
Tra social media, televisione, carta stampata, giornali e blog online, siamo infatti quotidianamente travolti da un quantitativo impressionante di informazioni di cui solo una minima parte è costruita secondo i criteri imprescindibili del giornalismo: verifica dei fatti, ricorso a fonti affidabili, analisi puntuale del fenomeno descritto, esposizione chiara e mai approssimativa né tantomeno enigmatica, per dirne alcuni. Che si tratti di motivazioni economiche o di propaganda politica a spingere le testate più o meno affidabili a pubblicare informazioni dalla dubbia validità (o completamente false), la sfida che il giornalismo contemporaneo sta vivendo è spinosa. Ed è piuttosto irreale pensare che le cose cambieranno in modo radicale e definitivo. Nonostante ciò, però, sia chi lavora nel settore sia le lettrici e i lettori hanno un ruolo fondamentale nella costruzione di un giornalismo di qualità.
Oggi, chi fa informazione è infatti chiamato a puntare in alto, a distinguersi in maniera netta attraverso un modo di lavorare basato sulla ricerca, sulla chiarezza e sul rispetto di chi leggerà quelle notizie. Sull’idea, insomma, che il giornalismo – in ogni sua forma – è un servizio, non una mera fonte di profitto. È educazione e formazione, è sciogliere i nodi e fare emergere le problematiche. È offrire spiegazioni chiare e verificate di ciò che succede nel mondo, è offrire opportunità di crescita a chi vuole saperne di più. Non è e non può essere il mezzo per confondere o raggirare i cittadini, né tantomeno la risposta agli istinti più beceri degli esseri umani, nascondendosi dietro la scusa che “è questo ciò che piace”, perché così facendo si crea solo un circolo vizioso fatto di scarsa qualità e svilimento sociale.
D’altro canto anche chi legge può svolgere un ruolo attivo nel mondo dell’informazione. Con l’avvento dei social e del giornalismo online, non esiste più una netta separazione tra chi fa e chi recepisce le informazioni, ed è ancora più chiaro il ruolo ricoperto dai lettori. Un esempio è la diffusione delle notizie sui social. Come scrive la giornalista Brooke Borel:
“Ogni volta che metti mi piace a un post su Facebook, le tue connessioni diventano nuova audience. E ha un implicito segno di approvazione. Dobbiamo pensare prima di cliccare. Chi ci sta dando questa notizia? Hanno incentivi per mentire? E se vediamo che le nostre connessioni contribuiscono a diffondere bugie, come possiamo affrontarle? Clicca come se ogni tuo click fosse una scelta importante e ragionata, consapevole che potrebbe avere delle conseguenze significative.”
Sviluppare dunque un atteggiamento critico è l’unico modo per sopravvivere a questo bombardamento di notizie. Tra le azioni pratiche che possiamo fare vi è la verifica delle fonti. Non è sempre semplice trovare una fonte e considerare in autonomia se sia attendibile o meno: per questo bisogna imparare a confrontare i riferimenti, a classificarli in base a un grado di presupposta attendibilità e a proseguire con una ricerca comparata della notizia presa in analisi. Importante è poi controllare la data di pubblicazione dell’articolo, per non cadere nel tranello di riproporre notizie vecchie (e magari già smentite), e l’indirizzo del sito su cui si sta leggendo la notizia, per capirne l’attendibilità: a volte ad esempio vengono aperti dei blog con nomi molto simili a quelli di testate ufficiali, proprio per generare confusione.
È un lavoraccio, non si può negare. Ma formare un atteggiamento critico e non affidarsi mai ciecamente a ciò che si sta leggendo, pur non diventando diffidenti nei confronti di tutto e tutti, è l’unico strumento che abbiamo per difendere la nostra percezione della realtà, per essere sicuri di avere tutte le informazioni necessarie alla nostra rappresentazione del mondo.
La storia di Teseo, giovane eroe della mitologia greca, è un perfetto esempio di come un’informazione sbagliata possa provocare terribili conseguenze e tragici epiloghi. Teseo sconfigge il Minotauro, abbandona Arianna sull’isola di Nasso (a ripensarci si potrebbero interpretare i successivi avvenimenti come una sorta di punizione karmica) e fa ritorno ad Atene. Vinto dall’euforia e dalla foga di giungere a casa, dimentica però di cambiare le vele, come aveva stabilito insieme al padre: se la nave avesse fatto ritorno con le vele bianche, avrebbe voluto dire che Teseo era sano e salvo; in caso contrario, ovvero se la nave avesse avuto vele nere, sarebbe stato l’annuncio che Teseo era perito nell’impresa. Il re Egeo suo padre vede quindi le vele nere e, cadendo in errore e credendo il figlio morto, compie un gesto disperato gettandosi nel mare (che da allora porta il suo nome) e muore. Da questa storia possiamo trarre quale sia il reale potere dell’informazione, in senso stretto: non importa che Teseo sia effettivamente vivo, l’informazione fornita al padre è che lui è morto e quella diventa la sua realtà, fino a provocare una conseguenza tangibile basata su un presupposto inesistente.
E qualcosa di simile succede anche quando ci informiamo in maniera errata, quando acquisiamo nozioni e conoscenze sul mondo che ci circonda che non corrispondono ai fatti. La nostra rappresentazione interiore del mondo cambia e con essa mutiamo noi. È sulla disinformazione che si sono basate le campagne politiche dei grandi dittatori del ventesimo secolo: fornire informazioni utili alla propaganda, anche quando false, come additare una particolare minoranza a causa di tutti i problemi sociali e personali della restante popolazione, è un ottimo modo per ottenere una reazione di massa e un consenso diffuso. Una mente poco allenata allo spirito critico può cadere facilmente vittima della produzione di una realtà differente, che non si basa su fatti ma su mistificazioni. L’inferenza provocata, ovvero quel tipo di ragionamento che porta a trarre conseguenze sulla base delle premesse fornite, è irrimediabilmente compromessa dall’iniziale disinformazione.
Nella società dell’informazione nella quale viviamo, viene da pensare che sia inverosimile cadere in queste trappole cognitive. L’età tecnologica post-industriale ci ha fornito un livello di interconnessione globale e una diffusione istantanea delle notizie come mai in tutta la storia dell’umanità. Eppure, in questa moltitudine di voci incessantemente collegate, una domanda assume un’importanza senza pari: a chi credere? A chi dare fiducia, a quale rappresentazione affidarsi? Il fenomeno delle fake news è un chiaro sintomo di questa problematica, la tendenza a dare credito a racconti che non corrispondono al vero solo perché reputati autentici è estremamente pericolosa. La complessità del nuovo sistema di comunicazione e diffusione delle informazioni è una sfida ancora aperta. Difendersi da queste pratiche, imparare a esercitare una capacità analitica propria e il più possibile scevra dai condizionamenti che ci circondano, è un atto necessario. Difendere il proprio diritto all’informazione corretta è una prerogativa alla quale non possiamo permetterci di rinunciare.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato, curando i contenuti di Bossy al fine di garantire ai nostri lettori la più alta credibilità che siamo in grado di raggiungere, è che informarsi è un lavoro vero e proprio. È un lavoro faticoso e senza fine, minato continuamente da interessi esterni e verità fittizie, ma è possibile. Ed è l’unica cosa che può salvarci dal vedere una vela nera all’orizzonte e gettarci nel mare di una realtà che non esiste.