Spoiler free
Perdonate qualche refuso, ma le lacrime mi stanno ancora annebbiando la vista.
Diciamo subito le cose come stanno: questo non è IL film sulla questione transgender, non è privo di errori o leggerezze e in qualche caso risulta un po’ approssimativo.
Ma è comunque un film splendido e adesso proverò a raccontarvi perché varrebbe la pena vederlo e tenersi tutte quelle preziose domande che vi assaliranno una volta abbandonata la poltrona del cinema, mentre la colonna sonora accompagna i titoli di coda.
The Danish Girl è la storia (vera) di Lili Elbe, donna transgender nata nel 1882 a Vejle, in Danimarca, e prima persona al mondo ad aver subìto un intervento di riassegnazione del sesso.
Lili nasce Mogens Einar Wegener, pittore di paesaggi che nel 1904 sposa Gerda Gottlieb, anch’essa pittrice ma specializzata in illustrazioni.
Da sempre incline ad indossare abiti femminili, dal 1912 (ovvero quando la coppia si stabilisce a Parigi) comincia a presentarsi in pubblico vestita da donna, dicendo di essere la sorella di Einar (la cugina, nel film).
Gerda fa di Lili la sua modella preferita e questo la aiuta nella sua ricerca di affermazione nel mondo della pittura.
Giunta ad un punto della sua vita dove non può più arrendersi al compromesso, Lili decide di sottoporsi a diversi interventi per asportare chirurgicamente gli organi sessuali maschili e ricostruire quelli femminili.
Nonostante si tratti di una storia vera, raccontarvi il finale sarebbe uno spoiler non necessario ai fini di questo articolo, perciò vi lascerò la curiosità, invitandovi ad andare al cinema.
Ma dicevamo, perché non è un film perfetto ma dovreste vederlo lo stesso?
Anzitutto, perché non è un film con l’occhio di bue perennemente puntato sulla protagonista.
La storia di Lili ha certamente avuto un forte impatto sulla vita di Lili, ma non solo.
La transessualità è una faccenda privata, ma non priva di relazioni, le quali naturalmente vengono influenzate e influenzano il processo.
È la stessa Gerda a ricordarlo a Lili: “non tutto gira intorno a te”.
Il coming out (di qualunque tipo) di una persona ha degli effetti sulle persone attorno a lei e sarebbe sciocco non dirlo. Chi sta accanto a qualcuno che sta attraversando una fase di transizione simile si fa delle domande, si interroga, a volte soffre. Dobbiamo dirci che è normale sentire certe emozioni, dobbiamo dare la possibilità anche a chi abbiamo accanto di esprimere i propri sentimenti, se sono ascoltabili (“non è vero, non stai provando queste cose”, “non ti accetto”, “sei malato e devi farti curare” non sono sentimenti – gusto per essere chiari).
In secondo luogo, le battute di Eddie Redmayne rendono cristallina una realtà che normalmente è complessa da spiegare e da comprendere: “Non devo fare le radiazioni, non c’è niente di sbagliato in me”. Einar non ha uno scompenso chimico, non è omosessuale e non è schizofrenico. Einar è “semplicemente” una donna nel corpo di un uomo.
Imporgli (sarebbe meglio dire imporLE) di indossare vestiti maschili non cambierà la sua condizione, perché la sua condizione non è dettata dall’esterno:
“Non importa cosa indosso. Quando sogno, sogno i sogni di Lili.”
Nel film Lili rinnega Einar e il suo corpo, arriva persino a dire che Einar è morto.
In realtà questa è una visione parziale.
Alcune volte è vero, c’è un rifiuto del proprio corpo che porta le persone transgender a provare fastidio al solo guardarsi allo specchio. Ma molte altre volte invece non si sentono nel “corpo sbagliato” (altrimenti non si spiegherebbe come mai molte decidano di non operarsi) ma sentono un disallineamento tra come si percepiscono loro e come le percepiscono gli altri.
Per dirla in maniera semplice: io sento di essere una donna, ma vedo che le persone si relazionano a me come ad un uomo e questo accade perché il mio corpo – che pure sento mio – ha caratteristiche maschili. Inoltre Einar non può morire, perché Einar e Lili non sono due persone diverse. Il transessualismo non ha nulla a che vedere con le personalità multiple.
Insomma, è un argomento complesso e – come anticipato prima – porta con sé una serie di domande alle quali non possiamo dare risposta in una pellicola di 120 minuti.
Sempre presente a livello visivo è poi la questione dei ruoli – del maschile e del femminile.
Ce lo ricorda Gerda, mentre realizza il ritratto di un signore: “Per un uomo è difficile essere osservato da una donna. Le donne sono abituate, ovviamente, ma per un uomo sottomettersi allo sguardo di una donna è destabilizzante. Ciononostante credo sia piacevole, una volta che cede.”
Ed è lei a raccontarci di aver fatto la prima mossa con Einar, di averlo (averLA) baciato (baciaTA) per prima.
È lei a proporre al marito di cominciare a vestire abiti femminili, è lei a non scandalizzarsi la prima volta che lui (LEI) si presenta con addosso la camicia da notte di lei.
È lei a prendersi cura di Einar, di Lili. È lei la figura più forte di tutto il film, che si libera degli stereotipi ogni volta che lancia il suo foulard dietro le spalle.
Lili è una donna inusuale tanto quanto Gerda.
Perché ci sono diversi modi di essere donna, modi che prescindono dalle convenzioni sociali o dai nostri caratteri sessuali.
Per tutte queste ragioni, The Danish Girl è un film che non chiude, ma anzi apre ad un mondo di riflessioni, di domande e di nuove consapevolezze.
È un film che va visto ma soprattutto che va discusso, perché se ha avuto il merito di portare la questione transgender di nuovo sul tavolo, sta poi a noi il compito di tenerla, su quel tavolo.
Perciò facciamolo.
tutte le persone transgender che si operino o no, hanno un disagio col corpo in cui sono nate ed è normale dato che la loro identità di genere è opposta al loro corpo, e l’identità di genere passa anche dal nostro corpo: le donne hanno i seni, gli uomini no, le donne, salvo rari scompensi ormonali, non hanno la barba gli uomini sì e questo non è un condizionamento culturale.
The Danish Girl parla di una donna nata in un corpo maschile: esistono
la maggioranza delle persone essendo cisgender non ha questi problemi, ma la minoranza che nasce di un genere opposto al sesso biologico conosce bene quelle sensazioni
Sono d’accordo con tutti i punti che tocchi.
Purtroppo i 120 minuti di un film non sono sufficienti a raccontare una storia come questa – da qui l’approssimazione – ma trovo che quel che hanno fatto sia stato di alta levatura.
Ho apprezzato tanto la sequenza dopo il bacio che Lili riceve alla festa, va a trovarlo a casa sua e scopre che questi si era accorto fosse Einer travestito e quindi fugge offeso. Un modo forse troppo estremo di rappresentare la cosa, ma chiarisce benissimo cosa sia l’identità di genere e il fatto che non si “goda” per forza del travestirsi, ma si cerchi semplicemente di essere rappresentati – e anche visti – per quel che ci sentiamo noi.
Ho notato lo stupore di Lili al suo “debutto” in società, quando si sente quasi travolta dagli sguardi di tutte quelle persone e – finalmente – un uomo si trova alle prese con sensazioni vissute normalmente dalle donne!
Ci sarebbe tanto altro da dire, il solo fatto che si stia parlando anche di questo mi rende molto soddisfatta ed ero ovviamente curiosissima di vedere The Danish Girl!