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The Genderless Revolution: il nuovo maschile tra corpo e moda
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The Genderless Revolution: il nuovo maschile tra corpo e moda

Moda genderless uomo donna senza genere
Articolo di Nicola Brajato

La storica della moda Elizabeth Wilson ci racconta che la moda è ossessionata dal genere, di cui continua a definire e ridefinire i confini. Linee immaginarie che marcano il suolo di ogni negozio o department store. Reparto maschile e reparto femminile. Menswear e womenswear. Collezione donna/collezione uomo.

Ma in questo preciso momento storico qualcosa sta succedendo all’interno del fashion system. Si chiama Genderless Revolution. Ma che cos’è? Da dove viene? Perché ora? E chi sono gli esponenti principali di questo movimento stilistico? Facciamo un passo per volta.
Per capire questo fenomeno mainstream è necessario fare un salto nel passato e ripercorrere quella che è stata la storia della moda maschile (premetto che mi concentrerò principalmente su questa, poiché considero questo genere il più “problematico” in relazione all’abito). Con la nascita della moda nel XIII secolo, gli abiti maschili e femminili cominciarono a differenziarsi, sottolinenando così una più specifica divisione tra i generi. Ma tramite un’analisi stilistica delle linee possiamo notare che fino al XIX secolo il desiderio di emulare l’abbigliamento dell’altro sesso restava comunque vivido. Mi diverto sempre a pensare al confronto tra Luigi XIV, emblema della virilità del XVII secolo, e la moglie Maria Teresa d’Austria. Il primo, ancor più della consorte, era sepolto da pellicce di ermellino, velluti, pizzi e indossava parrucche, trucco, culottes e scarpe col tacco (le cosiddette talons rouges).

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Luigi XIV, il Re Sole.
Regina Maria Teresa d'Austria - Martin van Meytens
Maria Teresa d’Austria.

La svolta decisiva giunge nel 1789 con la Rivoluzione francese e il passaggio dalla moda aristocratica a quella borghese. L’abito non doveva più comunicare ricchezza e posizione sociale, bensì democrazia, dedizione al lavoro e funzionalità. Lo psicologo John Carl Flügel identifica questo passaggio con il nome di “Grande Rinuncia maschile”:

Accadde proprio in quell’epoca uno degli eventi più notevoli di tutta la storia
dell’abbigliamento, la cui influenza si fa sentire ancora oggi e cui non è stata mai dedicata la dovuta attenzione: gli uomini rinunciarono al loro diritto alle forme di decorazione più brillanti, sfarzose, eccentriche ed elaborate, cedendolo completamente alle donne, e facendo perciò dell’abbigliamento maschile un’arte tra le più sobrie ed austere.

A partire da questo momento si viene a creare una sorta di grado zero della moda maschile, caratterizzata dall’abito a tre pezzi: giacca, gilet e pantalone. Ecco a voi l’Uniforme borghese, portavoce dell’estetica del “vero maschio”, che diventerà poi l’attuale mise del businessman. D’ora in poi, per l’uomo anche solo un errore in materia d’abbigliamento avrebbe rappresentato un vero e proprio suicidio simbolico.
Ma cosa c’entra tutto ciò con quello che vediamo oggi sulle passerelle e sui fashion magazines? C’entra molto. E forse siamo arrivati ad un punto di svolta per l’ormai immobile, imbalsamata, noiosa e datata estetica maschile. Infatti, con le collezioni di questo autunno/inverno, la moda uomo potrà finalmente scrollarsi di dosso quelle tradizioni e convenzioni ormai polverose. I confini tra le sfilate maschili e femminili sono stati in parte eliminati. Infatti risultano costanti le presenze di uomini all’interno di fashion show dedicati alle collezioni donna e viceversa.
Gli abiti e le linee stanno attraversando sempre di più un processo di cross fertilization tra i due guardaroba. Attenzione però: non parliamo di unisex. L’unisex è anonimo, “asettico”. Resta inerme e silenzioso sulla pelle dell’indossatore. La moda genderleses invece è un omaggio ad un ideale di “guardaroba condiviso”. Essa scuce qualsiasi tipo di etichetta per cucire poi nuove essenze al di là di qualsiasi stereotipo vestimentario.
Tornando alla storia, possiamo forse dunque dire che dal punto di vista stilistico stiamo avendo la possibilità di rimettere in discussione la cosiddetta “Grande Rinuncia” e la claustrofobica estetica maschile a favore di una più libera rappresentazione del maschile. Il fenomeno genderless prende varie direzioni, ma credo le più importanti siano quelle riguardanti l’abito e il corpo.
Partendo da quest’ultimo, importantissimo è il lavoro che Hedi Slimane sta svolgendo alla direzione creativa di Saint Laurent. Già a partire dalla sua collaborazione con Dior Homme, emerge una ridefinizione della mascolinità, dotata di un “corpo nuovo”, lontano dall’adone tipico delle passerelle degli anni ’90 o rappresentativo di alcune griffes come DSQUARED2 e Dolce&Gabbana. L’uomo slimaniano è privo di tutte quelle caratteristiche che sottolineano la differenza tra il maschile e il femminile, e sfila in passerella con una fisicità tagliente, eterea, che rasenta l’efebico.

Un altro faro della moda genderless è sicuramente JW Anderson. Il giovanissimo designer irlandese è noto proprio per rendere indefinibili i confini tra moda maschile e femminile. L’ambiguità di genere diventa così il fil rouge della sua produzione. La sua abilità di mantenere un contatto e un equilibrio costante tra la collezione uomo e donna è sublime. L’armonia fra le proporzioni e l’estetica dei due generi rivela un rigore liberatorio che fa di Anderson un visionario.

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Restando nel panorama Italiano non possiamo non parlare di Alessandro Michele per Gucci. Dire che è stata una ventata d’aria fresca per la maison fiorentina è poco. La sua collezione autunno/inverno 15 parla un’altra lingua. L’uomo che vediamo sfilare si va ad impossessare di elementi che da tempo non si vedevano nel guardaroba maschile: pizzi rossi, volumi ampi, tessuti fluidi e fiocchi, fiocchi e ancora fiocchi. Una sinfonia che accompagna menswear e womenswear, senza alcuna distinzione di genere.

Stiamo parlando di un vero cambiamento? O soltanto di una tendenza? Se avessi la sfera di cristallo, a seguire vi darei una risposta, ma purtroppo devo lasciarvi col dubbio. Quello che vi posso dire è che la moda è visionaria. La moda anticipa. La moda è un sistema che sta tra la società e il business. Capta ciò che succede in un periodo storico e lo traduce in abiti. Quella del gender è sicuramente una questione molto calda in questo periodo, e sono contento che sia arrivata fino in passerella. Stiamo assistendo ad una momentanea ridefinizione del maschile che spero duri nel tempo e si evolva fino a dar vita ad una vera realtà vestimentaria genderless.
Finché aspettiamo di vedere che succede, vi voglio lasciare con le parole di Angelo Flaccavento per L’Officiel Hommes Italia (da I vestiti non hanno sesso, L’Officiel Hommes Italia, autunno/inverno 2015, n° 13):

“Non c’è forse nulla di più controverso e pauroso dell’indefinitezza sessuale, ma è giunto il momento di accettare che anche il vestito può unire invece che dividere, completare invece che fare a pezzi.
In fondo, gli abiti non hanno sesso. Essere uomo o donna è tutta un’altra storia, più sottile, impalpabile: inapparente ma determinante. Tiriamo fuori gli attributi, allora, e troviamo il coraggio. Di essere. Senza schemi. ”

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