Tin Woodman è un robot arrivato dalla città top secret di Wautah per diventare una rockstar, fondendo glam, indie, pop e rap, celebrando i diritti LGBTQIA+ e l’amore inteso come assoluta autonomia di scelta, incarnando una sorta di manifesto contro il concetto della diversità. Tin Woodman è anche il nome del duo atipico e di origine bresciana, composto da Simone Ferrari (Simon Diamond) e Davide Chiari (Dave The Wave).
Tropicalia Woodie Resort è il loro ultimo singolo party-glam-pop, pubblicato per Retro Voc Records: del brano, di stereotipi e di privilegi abbiamo parlato con l’anima di Tin Woodman.
Simone e Davide, prima di Tin Woodman, musicalmente, cosa c’è stato? Quali sono i punti di riferimento che si percepiscono nel vostro progetto? A cosa siete invece molto distanti? A qualə artistə vi piacerebbe che Tin Woodman potesse essere associato?
Prima di Tin Woodman, entrambi abbiamo avuto due progetti musicali che hanno segnato la nostra vita per quasi una decina d’anni. Simone era cantante e chitarrista e principale compositore nei Jules not Jude e Davide, nel medesimo ruolo, negli Alley. I punti di riferimento da noi percepiti in realtà sono molto differenti da quelli che può percepire chi ci ascolta, che poi è un “classico” per tutti. Chi ci guarda dall’esterno altro non vede che ciò che il suo pensiero proietta. A noi piace pensare che Tin Woodman sia un progetto nato dallo sposalizio di più influenze, un po’ come se Prince e i Beastie Boys si incontrassero a casa di Brian Wilson dei Beach Boys, sotto a un sole 60s, con un dj set di Kevin Parker dei Tame Impala feat. Beck. Sai, dopo questa carrellata di nomi, da cosa siamo distanti? Siamo distanti da chiunque voglia inserirci all’interno di uno stereotipo, di un dato periodo storico, di un preciso sound o di un certo immaginario. Ci piacerebbe che la gente potesse dire “ecco, questo suona Tin Woodman”.
Tin Woodman è la crasi di ciò che dovremmo essere, una sorta di perfezione, tant’è vero che è un robot: qual è stata la genesi del progetto? Qual è l’obiettivo, il messaggio che si cela dietro la vostra musica?
Abbiamo diverse storie, che si avvicinano, più o meno velate, alla realtà, in riferimento a come è nato questo progetto. La realtà è che Tin Woodman è il nome del nostro robot. È il nome della nostra band che voleva essere qualcosa di diverso da ogni cliché che un qualsiasi palco potesse suggerire. Alla fine, di band con un vero robot, che si muove, parla e suona sul palco, se ne vedono poche. Il progetto è nato però anche come tanti altri, cioè con due musicisti affini che si incontrano e decidono di scrivere canzoni e, facendolo, ne vengono artisticamente travolti. Volevamo ci fosse una componente analogica, carattere distintivo di Davide, perché è più autentica, carnale e al contempo duratura. Un registratore a nastro. E poi, in una condizione psicofisica top secret, ci è venuto in mente di inserirlo in un robot, e ci abbiamo costruito attorno un’idea e una narrazione. Non è già questo un po’ il messaggio? La tua immagine, la tua vicenda, devi essere tu a scrivertela, regalartela e sentirtela addosso, parte di te. È a nostro parere l’unica via per sentirsi realmente felici. Il mondo? Si adegui, è questa la direzione.
Esiste ancora la “musica impegnata” oggi? Artistə che si schierano e utilizzano il privilegio del poter comunicare a un ampio pubblico per toccare e trattare tematiche rilevanti? Oppure le suddette tematiche sono solo un pretesto per aumentare vendite, introiti, visualizzazioni?
Sì, esiste ancora la “musica impegnata”. Esistono artistə che si schierano. Ma (e c’è sempre un “ma”) sono sempre meno coloro che lo fanno senza l’ipotesi di un ritorno economico e d’immagine. D’altronde ci hanno insegnato che siamo “un profilo Instagram”, una “pagina Facebook” e il numero di follower che ci seguono. Puoi essere il “re/regina degli idioti”, con un sacco di follower, e qualcuno ti proporrà di vendere qualcosa con il tuo swipe-up indipendentemente dal messaggio che stai dando. Noi vogliamo vederci più viscerali, forse puri – o forse abbiamo meno follower di altrə, vi sapremo dire a tempo debito. Vogliamo però seguire un po’ il buon cuore analogico che abbiamo donato al nostro robot e non pensare male del prossimo a priori. A differenza di moltə, noi scegliamo di non odiare. “Love is free, free is Love… Love is you, you and me, love is knowing we can be”, John Lennon.
Essere diversə ed essere liberə : cosa unə ally deve fare e non deve mai dimenticare per supportare davvero la comunità LGBTQIA+? Nell’ambito musicale, quali sono i retaggi, gli stereotipi da cui ancora il settore deve liberarsi?
Recentemente ci stiamo rendendo conto che sovrastrutture mentali dalle quali siamo stati avvolti nel corso della crescita, contro la nostra volontà e nelle forme più subdole, talvolta possono prendere il sopravvento anche in unə ally. Cosa deve fare unə ally? Cosa mai dimenticare? Unə ally non può adagiarsi sulla propria libertà, ma rammentarsi di averla e aver ben nitido il pensiero che questa libertà non è una fortuna possibile per tuttə. Non è, ancora, un diritto di tuttə. Deve però esserlo e deve esserlo subito. Dare per scontato un tale valore sarebbe il vero errore. Ciò che è scontato per me, per unə altrə può essere un bisogno primario e necessario per vivere. Abbiamo il dovere di lasciare un segno. A questo aggiungeremmo una presenza tangibile, perché questa non può apparire una lotta di pochə. È una rivoluzione culturale ed è per questo che abbiamo scritto “Tropicalia Woodie Resort”. Stereotipi e retaggi nell’ambito musicale? Ce ne sono migliaia. Ci stiamo lavorando? Assolutamente sì, e noi di questi primi passi vogliamo essere ambasciatori!
La scrittura di “Tropicalia Woodie Resort” vede lo zampino inspirational dello storico Pike di Ibiza, simbolo di un’idea di movimento musicale e culturale: in Italia, oggi, quali sono i posti iconici, i luoghi culla nonché rappresentativi del vostro panorama musicale di riferimento?
Abbiamo avuto la fortuna di suonare in giro per l’Italia durante il tour promozionale del precedente album. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere circoli e locali che trasudano questa tipologia di movimento musicale e culturale. Dal Covo di Bologna al 30 Formiche di Roma, passando per la Corte dei Miracoli di Siena fino al Bloom di Mezzago e poi di nuovo al Drunk in Public di Macerata o al Sottoscala di Latina per poi tornare alle Officine Meca di Ferrara o a Germi a Milano, fino a casa, a Brescia, in Latteria Molloy o al Lio Bar. Sono tutti luoghi dove abbiamo potuto assaporare le idee che muovono le masse. Il Pike Resort di Ibiza è stato un simbolo, un posto dove sentirsi realmente se stessə. Una forma di libertà in un piccolo angolo di mondo privo di pregiudizi, dove perdersi per ritrovarsi. Era questa l’idea di “Tropicalia Woodie Resort”. Se potessimo davvero, oggi nel 2021, avere di nuovo un luogo come il Pike? Se non cadesse nel dimenticatoio e potesse invece spargersi a macchia d’olio?