Io ve lo dico subito, questa è una recensione piena zeppa di musica. SIGLA!
Ho scoperto gli Against Me! grazie a “White Crosses”, il loro secondo e ultimo album prodotto da una major, nonché incidentalmente ultimo lavoro in cui la cantante Laura Jane Grace (che abbiamo già avuto la fortuna di intervistare) figurerà come Tom Gabel.
Timbro straziato, melodie vocali folk-punk in odore di The Pogues e chitarre sgraziatamente aggressive per una miscela molto “di pancia” che non ha tardato a conquistare le mie orecchie cresciute in adolescenza a grunge e hardcore melodico (non penso sia un caso che io e Grace siamo praticamente coetanei, le influenze per chi vuole fare rock sono quelle).
Mentre all’epoca ancora mi chiedevo come sarebbe stato il prossimo album degli Against Me!, ricordo che lessi una notizia piuttosto spiazzante: Tom Gabel sa di essere una donna – e ora lo sta diventando. La scelta è, come spesso accade, arrivata al termine di un percorso di autoconsapevolezza sofferto e protratto negli anni, ma condotto lasciando completamente all’oscuro tanto i fan quanto il proprio entourage. Se già Laura Jane Grace (nella serie “True Trans”) aveva affrontato apertamente il tema della disforia di genere raccogliendo testimonianze collettive della comunità transgender, in questa “Tranny”, autobiografia scritta a quattro mani con Dan Ozzi e arrivata in Italia grazie all’ottimo lavoro di Tsunami Edizioni, tutta la sua storia interiore viene finalmente rivelata al pubblico. Ed è un viaggio dannatamente onesto e sorprendente.
Se volete intanto avere un’introduzione esaustiva del perché del titolo e di altre informazioni del contesto potete leggervi la nostra traduzione di un articolo in cui l’autrice ne parla in prima persona per il Noisey americano
In questa edizione italiana, invece, uno spunto interessante lo regala la prefazione, in cui la traduttrice spiega la logica adottata nell’uso dei pronomi. Sì, perché la storia raccontata da “Tranny” copre un periodo che va dall’infanzia della protagonista fino al 2014: si pone quindi subito il problema di come raccontare in italiano, una lingua profondamente “genderizzata”, le vicende antecedenti al cambio di sesso. La scelta è quella di utilizzare il maschile per tutto quanto precede l’avvio della transizione e il femminile una volta che il processo è intrapreso. Decisione, precisiamo, approvata dall’autrice su esplicita richiesta dell’editore italiano. Ecco così che quello che inizialmente poteva costituire un limite diventa un’opportunità, aiutando ancora di più chi legge a comprendere cosa ha comportato da parte della musicista raggiungere la piena realizzazione della propria identità di genere. Anzi, la narrazione risulta ancora più potente e poetica quando la transizione è in atto, con una sempre più frenetica alternanza fra maschile e femminile che asseconda gli stati d’animo cangianti della protagonista. Un conflitto che emerge anche dalla lettura di alcune pagine dei diari di Grace, che già a vent’anni esternava molto chiaramente il disagio di sentirsi all’interno di un corpo in cui non si riconosceva.
In un’altra autobiografia rock, quella che racconta l’ascesa dei suoi Joy Division, il bassista Peter Hook rivela che la band si accorse del vero significato dei testi autodistruttivi di Ian Curtis solo dopo la sua dipartita. Allo stesso modo, ricorda Grace, nessuno dei suoi compagni di gruppo, così come tutto il mondo che gravitava attorno agli Against Me!, si era mai accorto degli indizi della disforia di genere che l’autrice aveva lasciato nelle sue canzoni. A leggerli oggi invece certi testi sembrano lampanti, basti ascoltare “The Ocean”, brano che chiude l’album “New Wave”:
“And if I could have chosen, I would have been born a woman
My mother once told me she would have named me Laura”("E se avessi potuto scegliere, sarei nata donna Mia madre una volta mi disse che mi avrebbe chiamato Laura")
Nella sua testimonianza sul rapporto fra mente e corpo l’autrice non si risparmia: il corpo diventa lo specchio della sua anima tormentata, un involucro segnato dallo squatting e dal sesso occasionale, martoriato da droghe usate come panacea alla propria disforia e che finiscono inevitabilmente per alimentare nuovi demoni interiori. Anche quando si presenterà davvero la possibilità di avviare il processo di transizione, la protagonista sarà sopraffatta dal dubbio. Del resto, essere sinceri con se stessi è sempre doloroso, perché impone a noi in primis di avere le idee chiare. Difficile, eh?
Già dalle prime pagine è evidente che non ci troviamo di fronte alla classica parabola che va dagli esordi nel garage al successo con groupie, soldi e droga al seguito: non fraintendiamoci, c’è pure quello – ma nel caso degli Against Me! anche qui è sui generis. Questo sia perché anche in una cultura dichiaratamente aperta come quella punk la disforia di genere risulta essere un argomento scomodo e inedito (colpisce un episodio ambientato a Milano in cui per goliardia l’allora Tom Gabel irride insieme ai suoi compagni di band delle trans incrociate per strada), sia perché non c’è nessun lieto fine in salsa capitalista: nel momento in cui ha l’occasione di fare il grande salto, il gruppo di fatto fallisce sul piano delle vendite, venendo in un colpo solo rinnegato dai fan di vecchia data più intransigenti e abbandonato dalle grandi etichette. Ma sarà proprio questo momento di massima crisi a generare la rinascita della musicista e dei suoi Against Me! ripartendo da fondamenta più oneste, anzitutto verso se stessa.
“Tranny” è in questo senso peculiare anche perché racconta in prima persona un coming out che non ci mostra solo le reazioni di una cerchia relativamente ristretta di conoscenti, bensì di un pubblico su scala mondiale come quello intercettato dalla band americana. Vecchi seguaci e compagni di band verranno persi per strada, ma nuovi fan provenienti dal mondo LGBTQ+ verranno conquistati, aumentando meravigliosamente l’inclusività del bacino di ascolto degli Against Me!.
Disforia di genere, scena punk, la crudele provincia americana e i suoi personaggi che sembrano usciti da un fumetto underground di Daniel Clowes fanno da sfondo a un vero e proprio romanzo di formazione trans, che contiene tantissima roba. Non a caso quando ho partecipato alla presentazione di “Tranny” alla Libreria Antigone di Milano ho notato nel pubblico un formidabile cortocircuito fra persone interessate al tema del transgenderismo e persone interessate alla parte musicale, che ha generato un felice dibattito e un reciproco scambio di conoscenze fra i due mondi.
Sì, viviamo in un’epoca in cui abbiamo più bisogno di cortocircuiti e meno di bolle (informative, sociali, di gusto) in cui coccolarci. Del coraggio, dell’etica e dei dubbi di persone come Laura Jane Grace non è proprio il caso di privarsi.
E ora, TITOLI DI CODA!