L’anno scorso ho letto un libro del bravo Giorgio Fontana – Premio Campiello 2014 – intitolato “Un solo paradiso” in cui si racconta la discesa nell’abisso del protagonista dopo la fine di un amore tanto fugace quanto coinvolgente. La tesi del racconto è ben espressa in questa frase:
“Si può sopravvivere a molti inferni, non a un solo paradiso.”
Il concetto è che sia molto più difficile rialzarsi dopo aver provato la felicità massima, piuttosto che dopo essere scampati a una dura prova di forza.
Se vi chiedete perché ve ne parli, è perché mi è tornato in mente proprio leggendo lo spunto di partenza di “Un Anno Senza Te”, nuovo graphic novel realizzato a 4 mani da Luca Vanzella (storia) e Giopota (disegni e colori) per Bao Publishing.
Sono certo che a molt* di voi sarà capitato di vivere una storia relativamente breve, che termina poco prima di mettere a fuoco quale sarebbe davvero stata la potenzialità effettiva della coppia. In generale terminano per quella che chiamerei “asimmetria dei sentimenti”: da una parte una persona molto coinvolta, dall’altra una che non lo è magari troppo. Cose abbastanza ordinarie. Quello che accade spesso in questi casi è che la persona lasciata tenda a idealizzare e a sovraccaricare di senso i momenti trascorsi insieme proprio in virtù di quel “futuro non scritto” che mai arriverà, capace di donare una struggente incompiutezza alla storia e di restituire quella sensazione di paradiso irripetibile, mai scalfito dai dardi della quotidianità. Perché intendiamoci, poi ci sono i rapporti veri, e quelli si costruiscono a piccoli passi giorno per giorno con mutua complicità, rispetto reciproco e tanta energia nel cercare di conoscersi sotto tutti gli aspetti, sia quelli che si amano, sia quelli che non vanno giù.
Chiarito il contesto, torniamo a “Un Anno Senza Te”: il fumetto comincia con l’universitario Antonio, il protagonista, distrutto dalla fine della sua breve e intensa relazione con l’aitante Tancredi. Dipanandosi in 12 mesi a partire da settembre, il racconto ripercorre il faticoso tentativo di Antonio di superare il distacco, un percorso durante il quale conosciamo meglio lui e i simpatici personaggi che gli gravitano intorno. È interessante osservare invece come di Tancredi ci venga detto poco o nulla, quasi sempre raccontato da terze persone: sappiamo che si tratta di un festaiolo con una movimentata vita notturna, ma potrebbe anche essere una distorsione fatta dai racconti degli amici di Antonio. Rimane, di fatto, una figura sullo sfondo, idealizzata e consistente come un sogno. Questa scelta narrativa non l’ho trovata affatto un limite, anzi, mi è sembrata assolutamente funzionale per far entrare ancora di più il lettore nella dimensione del protagonista: in fondo non è importante chi sia davvero Tancredi o quanta “colpa” abbia (e in generale a parlare di colpa nella fine di un rapporto ci andrei sempre e comunque con i piedi di piombo), quanto invece lo è percepire quello che ha significato per Antonio e il motivo per cui è così a terra.
Evitando qualsiasi tipo di spoiler, il racconto propone diversi modi di superare la perdita che credo avrete sperimentato: uscite con gli amici, incontri fugaci, relazioni poco convinte, il passato che di soppiatto torna sporadicamente a fare brutti scherzi all’umore. Adesso, se fin qui vi sembra tutto abbastanza ordinario, mi preme specificare una cosa: “Un Anno Senza Te” è un gran bel graphic novel e la sua bellezza non è tanto nell’originalità del soggetto (che dagli struggimenti di Catullo, passando per I dolori del giovane Werther fino ai giorni nostri è stato ampiamente trattato in letteratura, pur se principalmente in ottica eterosessuale), ma nel modo in cui racconta la storia.
Se la penna di Luca Vanzella dimostra grande sensibilità nei dialoghi – che mettono in luce nitidamente ogni situazione e stato d’animo senza ricorrere troppo alla più comoda narrazione fuori campo – le illustrazioni di Giopota finalizzano più che brillantemente il tutto facendo immergere il lettore in una dimensione onirica e sospesa assolutamente coerente col tono generale del racconto. Le vicende sono infatti incastonate di momenti surrealistici che rendono qualche volta difficile distinguere ciò che è reale da ciò che è sogno. Non si tratta di esercizi di stile, ma di espedienti funzionali alla creazione di un mondo nuovo dentro al quale si viene catapultati: quel mondo è il cuore del protagonista, e in quel mondo tutto è reale, perché i sentimenti lo sono.
Clamorosa è poi la trovata del “DIZIONARIO dei sentimenti misconosciuti e delle azioni minime”, ma mi fermo qui.

Un’altra scelta narrativa che ho personalmente molto apprezzato è stata la dimensione di “normalità” entro la quale viene affrontata l’omosessualità maschile: Antonio ha fatto coming out al liceo – pur con molta ansia, come dice in un dialogo – ha un rapporto assolutamente sereno con i propri genitori rispetto al tema e non c’è nessun episodio omofobico nemmeno all’interno della propria sfera sociale. L’aver rinunciato a qualsiasi tipo di conflittualità che questo racconto avrebbe potuto innescare in Italia ha a mio avviso due vantaggi: da un lato, gli autori possono riversare interamente le loro energie nel raccontare quello che davvero interessa loro, cioè la fine di un amore e l’inizio della risalita. Dall’altro, di fatto dipingono la situazione come dovrebbe essere sempre e come grazie al cielo in molti contesti è già: se ci fate caso, che si parli di sessualità o di integrazione razziale, la prosopopea dei bigotti è sempre improntata a un determinismo oscuro per cui qualsiasi tipo di apertura o cambiamento rappresenta l’inizio della fine della nostra civiltà. Ecco, mentre vi raccontano queste cose, la società si muove, evolve, ed è in realtà già due passi avanti: nelle scuole i bambini festeggiano già il Natale cristiano e il Capodanno islamico ed essere gay o etero è assolutamente irrilevante per andare a bersi una birra insieme. Perlomeno, dove le cose si fanno bene.

Tornando alla sensazione di “paradiso perduto” con cui avevo aperto il pezzo: io penso che quel sentimento sia assolutamente reale, ma che al tempo stesso non corrisponda alla verità oggettiva: sia perché in questa vista di “paradisi” non ce ne sono, ma solo serenità che ci costruiamo con grande dispendio di energia; sia perché tutti abbiamo le risorse per poterci creare una nuova occasione. La difficoltà sta nel capire dove stiano queste risorse, capire che siamo biologicamente più forti di quanto percepiamo di essere e quanto tempo ci voglia per essere abbastanza convinti da poterle impiegare per riprenderci. Se letterariamente lo Jacopo Ortis di Foscolo ne è rimasto sopraffatto proprio come il suo omologo goethiano, se Fontana ci lascia con il dubbio, qui invece gli autori ci raccontano forse la via più naturale e “sana” per uscirne, ma non vi svelo altro.
Se avete il cuore spezzato, penso che questo graphic novel lo curerà un po’. E se non ce l’avete, beh, buon per voi, vi ricorderà quando vi è capitato e quanto siete stat* forti.
Grazie