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Un Pianeta devastato e la sofferenza di una generazione senza potere
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Un Pianeta devastato e la sofferenza di una generazione senza potere

Nel mio lavoro mi occupo di cose tecniche, la praticità più viscerale riempie fino all’orlo le mie giornate e ogni giorno penso a quanto la mia condizione sia estremamente comune. Però mi interesso anche di cambiamento climatico, di sostenibilità, di giustizia sociale, climatica e ambientale. Questa sovrapposizione di tematiche convive in uno strano connubio che intervalla il calcolo del peso di un ripiano e altre operazioni ordinarie – ognuna più o meno urgente ma senza particolari modifiche dovute alla situazione globale – , con le notizie dello scioglimento del permafrost.

Ogni volta che leggo una nuova notizia sul cambiamento climatico una parte di me ripropone un’esclamazione che in parte è una domanda, in parte una speranza.

“Ah allora è così che moriremo. È così che moriremo?”

Se ci pensiamo, cambia tutto nella differenza d’approccio. Ma comunque mi rispondo: “Chissà. Forse.”

Siamo la generazione più educata di tutte al cambiamento climatico. Io sono nata nel 1992, l’anno della convenzione di Kyoto. Sono diventata adulta guardando le persone adulte promettere a tratti un cambiamento a tratti l’epilogo della vita per come la conosciamo. Come se ci avessero preparato all’inevitabile, o al momento in cui noi avremmo preso le redini e avremmo cambiato tutto. Ma ora che siamo adultə non solo è tardi ma siamo la prima generazione dal dopoguerra a vedere contratti i diritti e il potere d’acquisto. Abbiamo più bisogno di lavorare, stipendi più bassi e anche più coscienza di quanto tutto questo sia inutile sul lungo periodo. Il 30% dei millennials ha dichiarato di considerare di non avere figli a causa del cambiamento climatico. Non per avere un impatto minore sul pianeta ma perché non abbiamo la certezza di cosa consegneremo loro. Ma questi pensieri hanno il tempo d’un caffè.

Non appena ci allontaniamo dalla nostra quotidianità e ci concentriamo sulla situazione del Pianeta e sul ruolo che noi svolgiamo in essa, ci ritroviamo a fare i conti con noi stessə e con quella pratica che oggi viene chiamata “adulting”. Essere persone adulte e responsabili di fronte a un Pianeta devastato da generazioni precedenti, però, non è cosa semplice e questo ha portato molte persone a cercare dei momenti se non propriamente spirituali quantomeno di raccoglimento. Dalla mindfulness per sopravvivere si passa a sentir parlare molto più di frequente di preghiera e di riconnessione, come se si percepisse che qualcosa in questo momento è fuori posto: siamo del tutto consapevoli infatti di non aver il potere di evitare ma neanche il tempo di metabolizzare un cambiamento come quello prospettato a causa delle azioni umane. Da questa sensazione, le strade e i dubbi vari: connettiamoci con lo spirito della Terra prima che sia tardi, prima che muoia (lei o noi?), e chissà se la Terra ci guarda e si aspetta qualcosa da noi.

Chissà se le generazioni precedenti alla nostra, quelle che non ci sono più, ci guardano, se si aspettano qualcosa da noi.

In questo processo di riconnessione, emerge fortissimo il tema delle radici. Cosa sono le radici? Chi sono ə nostrə antenatə? Ma anche: li abbiamo delusi? E quanto ci hanno deluso loro? Ho iniziato a pormi queste domande, a cercare anche una riconnessione e un’immersione nella scoperta delle radici, quando ho letto che secondo alcuni scienziati Venezia esisterà per altri 28 anni. 28 anni e basta.

Il punto qui per me non è tanto l’attendibilità o meno di questa previsione, quanto l’effetto di scollamento che queste notizie provocano nelle persone di una generazione impegnata a cercare di sopravvivere in un mondo che muore, ma che chiede loro tutto in cambio della sopravvivenza.

Parte delle mie radici, deə mieə antenatə provengono da Venezia. Venezia è una città che mi appartiene nelle origini, che sento mia anche se non l’ho mai vissuta. Si insinua nelle storie che mi hanno consentito di nascere e vivere. E la terra deə nostrə antenatə ci appartiene come quella che ci ospita e nutre nel presente, ma in modo diverso. Il sentimento di appartenenza trascende il possesso e sbarca nella gratitudine. Ma come puoi provare gratitudine verso un posto agonizzante? 28 anni sono nulla. Significa che dovrò sopravvivere alla terra che secoli fa ha nutrito i miei progenitori e non ho il potere di fare nulla. E lo scollamento a cui mi riferisco nasce da quella parte emotiva dentro di noi che vorrebbe fermare tutto, scendere e salvare il mondo, mentre un’altra parte di noi sa di non averne il potere.

Infinita guerra tra ragione e sentimento, arriva neə giovani adultə oggi allo strappo. E come si ricuce uno strappo del genere? Io, onestamente, non lo so, anche se so di non essere l’unica persona a non avere risposte, mentre altre riescono addirittura a offrire soluzioni. Tutto ciò che so è che oggi io non ho soluzioni, ma ho trovato una promessa, la mia promessa.

Oggi ho promesso alla terra dei miei antenati di fare tutto ciò che è in mio potere, secondo le mie possibilità e i miei bisogni, per proteggerla. Per cambiare strada e chiedere scusa a nome di generazioni miopi o senza abbastanza potere. Chissà se riuscirò a rendere fierə ə mieə antenatə, chissà se riuscirò a chiedere scusa anche per loro.

Artwork di Chiara Reggiani
Con immagini di Matt Palmer, Antoine GIRET su Unsplash.

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