Sto scrivendo un libro mentre c’è una guerra in Europa, e se non ci fosse questa guerra non avrei aggiunto queste parole. Invece la guerra c’è, e pure quellǝ che dicono che la cosa interessa solo gli uomini, quindi le donne sono avvantaggiate e loro sì che non devono mai fare i conti con il peggio. Tecnicamente a questa cosa hanno già risposto secoli di femminismi, e più recentemente anche moltǝ attivistə a proposito delle tante argomentazioni MRA, ma è giusto specificare alcuni argomenti, entrare più nel merito; e il primo argomento da portare, ben evitato dalla propaganda maschilista consapevole o meno, è la questione della legge marziale.
L’immagine immediata e più forte che abbiamo ricevuto dalla guerra è quella dell’esercito che si difende, che viene attaccato, che viene invaso, che perde le proprie case, le proprie vite per essere stato coinvolto in una decisione altrui. C’è chi a questo dà un’immagine distinta per genere, per cui mentre gli uomini vanno al fronte, le donne sarebbero “libere” di abbandonare il Paese e non combattere, legittimando la disgrazia maschile, la più crudele dimostrazione che qualunque idea femminista sia falsa: la pagano sempre più cara gli uomini. Come se rimanere vedove, o abbandonate, con figliǝ a carico in un Paese straniero con la concreta possibilità di non tornare mai più al mondo precedente la guerra sia una cosa da augurare, una fortuna. Detto questo, la decisione di come articolare la legge marziale dipende da ciascun Governo, non è una forma di legislazione standard adottata ovunque nello stesso modo. Non permettere alla maggioranza degli uomini di abbandonare un Paese aggredito senza preavviso né motivo da una forza militare è una precisa scelta politica tra le tante possibili, non un obbligo. E guarda caso, questa scelta è presa da uomini. Alternative ce ne sono, e la Storia ce ne racconta altre, ma tutte molto rare: sono sempre uomini a decidere di sacrificare altri uomini, e c’è sempre qualcunə pronto a dire che va a vantaggio delle donne, quelle rimaste sole, povere, spesso con prole, senza più una casa, senza il mondo intorno a loro, senza altri uomini della loro vita perché padri, fratelli, amici, cugini sono in guerra.
Davvero un gran vantaggio di genere, sì.
Quello che mi colpisce in chi si lancia, senza saperne nulla, in argute considerazioni di genere riguardo la triste sorte degli uomini, è che spesso considera gli attaccanti alla stessa stregua di chi si difende. Eppure anche qui gli studi non mancano, gli esempi storici ci sono. È sempre stato piuttosto semplice convincere con noti strumenti di propaganda gli uomini di un esercito che loro sono costretti ad attaccare: per esportare la democrazia, o per difendere loro fratelli lontani, o per riprendersi quello che era una volta roba loro, o perché è giunto il momento di dimostrare che siamo capaci di fare la guerra. Si tratta sempre di materia patriarcale, di valori e credenze legate a quella idea di maschile che, comoda per i pochi al potere, manda al macello i tanti ubriachi di falsità prima di tutto sul proprio genere, sulla propria virilità, sul compito naturale che hanno di difendere la “nostra” terra, le “nostre” donne. Dimenticando che, dalla notte dei tempi, la guerra è l’immediata negazione della specie umana, che si divide in due gruppi di esseri del tutto uguali e con gli stessi diritti ma con uno che ha deciso di essere più degno di vivere di un altro. Una decisione evidentemente contro natura, e una decisione presa da sempre dando retta a una logica maschile – non è l’eccezionalità di qualche guerriera o di qualche condottiera a cambiare una realtà schiacciante, eccezioni che spesso sono notevoli proprio per le loro qualità guerresche maschili.
L’eccezione sarebbero uomini che depongono le armi; uomini che scelgono insieme di non usarle, proprio sapendo che tutto il loro genere ne avrebbe comunque la peggio; l’eccezione sarebbero, finalmente, uomini che vogliono smettere di essere carne da macello del patriarcato e del capitalismo, cominciando con lo smettere di fare guerra a chicchessia e smettendo di rendere schiavi di lavori disumani altri uomini. La pluralità di contributi femministi nei War Studies è riconosciuta da tempo, ancora una volta non ci stiamo inventando nulla, eppure non ci vorrebbero neppure i femminismi a far capire che queste sono le scelte migliori per il genere maschile; ma pare che invece servano ancora per far capire agli uomini che devono cominciare a ragionare come genere il prima possibile, soprattutto per smettere di morire male.
La guerra fa paura, come fa paura dimostrare di non essere uomini. Chi crede che ci sia un solo modo di esserlo è un misero prigioniero di quella paura, e da qualsiasi parte starà, finirà sempre in guerra.
Oltre al patriarcato e al capitalismo, aggiungerei la gerontocrazia… Potere al futuro SE si vuole andare avanti e non indietro.
Ma tanto che ci fa se i giovani muoiono? Che vuoi che sia, siamo solo in via d’estinzione in Europa.