Articolo di Marika Ambrosio
Si avvicina il caldo, o almeno si spera, e pare proprio sia arrivato il tempo di pensare alle vacanze. L’argomento che voglio affrontare con voi è proprio questo. Da qualche anno, dopo il boom delle vacanze per i single, è esplosa la moda delle vacanze per i gay: il turismo gay friendly.
Così sono nati moltissimi tour operator che si occupano esclusivamente di vacanze per i gay e quelli già esistenti si sono muniti del marchio gay friendly. “Sempre più spesso le località turistiche – scrive uno di questi siti- sono attrezzate per rispondere con strutture, attività ed eventi pensati specificatamente per il turismo Lgbt”. Ma cosa ne pensa la comunità LGBT di questa iniziativa? Le domande che sorgono quasi spontanee sono varie. Località turistiche attrezzate, sì ma in che senso? Servono delle attrezzature speciali per ospitare la comunità LGBT? Ci sono villaggi attrezzati per le persone diversamente abili o i villaggi attrezzati per ospitare i cani, ma che tipo di attrezzature servono in questo caso?
Questa nuova proposta turistica può essere letta su due fronti e dar vita a due interpretazioni diverse:
- I tour operator e i villaggi si sono adeguati e hanno deciso di portarsi al passo con i tempi.
- Questa è solo una manovra per “ghettizzare” la comunità LGBT in strutture specifiche e tenerla lontana dalle altre mete turistiche.
Incuriosita da questa doppia visuale, ho chiesto un po’ in giro proprio a degli esponenti LGBT . Sono così riuscita a delineare tre profili diversi:
- Il primo mi ha risposto: <<Per me è offensivo. Non siamo dei gadget>>.
- Il secondo mi ha detto, senza che io accennassi minimamente alla mia idea di ghettizzazione <<Può dare fastidio o meno. A me non dà fastidio, ma può sembrare una manovra per ghettizzare e per dire: qui entrano solo gay o qui entrano solo etero>>.
- Il terzo, mi ha risposto << Guarda, le polemiche di questo tipo ci sono sempre. Gli omosessuali non sono mai contenti>>.
Nel 2009 TTG Italia ha firmato il progetto per un programma di formazione per gli operatori del settore turistico sui temi dei viaggi dedicati a persone omosessuali. Pensate, addirittura un corso apposito per proporre prodotti turistici LGBT. Ancora più emblematica è stata la strategia di marketing di Padova: il bollino gay friendly, la certificazione ufficiale del turismo omosessuale ideata dal Consorzio di promozione turistica nel 2011 da esporre fuori tutti gli esercizi gay friendly. Ricorda vagamente qualcosa del tipo:
Di fronte a questa iniziativa si sono scatenati due atteggiamenti opposti. Da un lato don Cesare Contarini, rettore del Collegio Barbarigo e direttore della Difesa del Popolo, il periodico della Diocesi, l’ha definita <<un’iniziativa propagandistica, utile solo a far arrabbiare chi la pensa diversamente. E se poi un negozio non espone il bollino? Sarà additato come omofobo?>>. Di tutt’altra opinione Franco Grillini, politico e presidente dell’Arcigay <<Bravi veramente, una bella iniziativa, anche perché spesso è l’economia, visto che pecunia non olet, a divenire una sorta di testa d’ariete per cambiare la mentalità della gente. E allora ben vengano iniziative di questo genere. Anzi, la mia speranza è che Padova possa fare scuola e che tutta Italia la segua>>.
Ciò che forse si è perso di vista in tutto questo dibattito e che si parla di persone e non di oggetti. D’altronde questo atteggiamento del mercato non è riservato solo alla comunità LGBT, ma anche agli utenti in quanto consumatori. Spesso i produttori dimenticano che dall’altra parte, oltre ad esserci la potenziale fonte di guadagno, ci sono delle persone in carne ed ossa.
E voi, cosa ne pensate? Siamo verso l’integrazione o verso una nuova forma di velata ghettizzazione?
Premetto che è solo la mia impressione, senza pretesa di verità assoluta.
Il problema secondo me sta nel fatto che, come praticamente in tutti gli altri contesti, gli effetti ci sono entrambi contemporaneamente, sia di ghettizzazione sia di apertura; in quale misura e gli eventuali sviluppi però non possiamo saperli prima. Magari da qualche parte o in certi ambienti funzionerà e servirà per far aprire la gente e in altri no.
Però se dovessi proprio “scegliere” cosa fare, a me sembra avesse senso decenni fa, quando la comunità LGBTQIA era più “ghettizzata”; al momento mi sembra si debba andare oltre: per sensibilizzare la gente ci si dovrebbe comportare con “normalità”, facendo vedere che è tutto nella loro testa.
Penso che l’idea sia buona ma sbaglino approccio: essere “attrezzati” non ha senso, non è che debbano proporre vacanze “ad hoc” o solo per LGBTQUIA”. Al massimo penso si debba mettere un bollino “LGBTQIA friendly”, ma che indichi semplicemente che tutte le persone scelte a lavorare per l’agenzia di viaggi, o i villaggi turistici non sono omofobi, e che nel caso qualche cliente si “offenda”, la politica dell’agenzia sia mandare a quel paese il cliente offeso.