Articolo di Manuel Carminati
“A un certo punto, un signore voleva salire sul palco a tirargli un pugno”
Mi hanno descritto così Polvere di Saverio La Ruina, come un cazzotto nello stomaco a cui desideri rispondere con altrettanta violenza. Così mi sono assicurato un biglietto e la sera del 4 marzo ho potuto assistere all’opera presso il teatro Giuditta Pasta di Saronno.
Le recensioni, gli elogi e i premi sono già fioccati, per il testo e per la recitazione: la critica è concorde nell’elogiare La Ruina, autore e protagonista maschile, per aver scritto e recitato in maniera impeccabile lo spettacolo. L’altra metà del cast, qui Cecilia Foti, interpreta una parte molto complessa con grande capacità: la trasformazione che la protagonista attraversa in poco più di un’ora di scene giustapposte è travolgente, quasi paradossale, eppure sostenuta senza peso dalla bravura dell’interprete.
Non c’è quasi niente al di fuori di loro due: due sedie, un tavolo, un quadro e qualche nota nei cambi di scena; poi soltanto il loro dialogo, serratissimo. Un formato asciutto che aumenta il senso di vertigine causato delle richieste di lui, crescenti e ossessionanti, e la passività impacciata di lei. In pochi minuti si arriva dritti al punto e da lì inizia una discesa agli inferi (e allo stomaco).
Ogni battuta carica di disagio lo spettatore, una progressione di violenza brutale. L’aggressività possessiva di lui agita la platea e all’ennesima richiesta irricevibile cui lei si prostra, succube e ormai vittima di ogni abuso psicologico, gli spettatori si scatenano come non avevo mai sentito in un teatro. Un uomo, dall’altro lato della sala esclama addirittura: “ma menalo!”
Avevano ragione: Polvere è un’opera che spiega da manuale un rapporto abusante e ti proietta in quella stanza, ne senti l’odore, l’atmosfera opprimente.
Forse troppo “da manuale”, se esiste una cosa simile: infatti, ho trovato anche troppo pedante la rappresentazione dell’inettitudine e della gelosia che sono il fondamento di una relazione simile; battute così ben scritte da essere in qualche modo prevedibili.
Ma forse esagero; forse ho pagato le mie aspettative e ho sbagliato approccio, facendo quello che in musica si chiama “un pubblico troppo attento”. Ho perso di vista la necessità di godere di questo spettacolo con il giusto senso: quello del disgusto, del fastidio, dell’odio.
Andate a vederlo, ve lo consiglio. Lo consiglio anche alle persone di mezz’età, perché credo possano relazionarsi appieno con quella situazione, ritrovare scene già viste, e mi permetto di dire che una certa didascalia della violenza possa aiutare persone meno ferrate o appassionate sui nostri temi.
Un’occasione importante di riflessione sulle emozioni alla base dei nostri ragionamenti.
Non possiamo che rimandarvi al calendario della compagnia teatrale Scena Verticale che trovate a questo link.