Articolo di Ilaria Maria Dondi
Si parla tanto, per fortuna, di un nuovo femminismo, di parità, sorellanza, di empowerment femminile. In molti storcono il naso: “è una moda – pensano – passerà, poi le donne torneranno al loro posto”. E quel posto, per inciso, forse non è più ai fornelli o a spazzare casa, perché un secondo stipendio di questi tempi, si sa, fa comodo e nella maggior parte dei casi è necessario. Ma non prendiamoci in giro: sappiamo bene che, nonostante le conquiste di altre donne prima di noi, per molti il “posto delle donne” è comunque quello della subordinazione, sia essa a un uomo, ai colleghi, ai figli o alla logica della “sacra famiglia” come realizzazione massima e destino dell’essere femmina.
Lavoriamo senza avere un equo stipendio rispetto ai nostri colleghi maschi; la nostra maternità è un problema quando si presenta o un’assenza innaturale da giustificare se scegliamo di non avere figli; la liberazione sessuale che ci hanno concesso è la scelta tra l’essere spose o puttane, lesbiche o etero, con la consapevolezza di sottostare al giudizio di chi ci vuole streghe o angeli del focolare. Abbiamo ottenuto grandi conquiste – tutt’altro che inviolabili o assodate peraltro, se si pensa al dibattito sull’aborto di questi tempi – ma la verità è che il maschilismo è un batterio subdolo: in grado di mutare e adattarsi pur di continuare a infestare il corpo in cui vive. Talmente subdolo, che non riguarda solo i maschi. Ce l’abbiamo sotto pelle anche noi donne, persino le più femministe, che a volte replichiamo senza accorgercene modi di dire o modelli di pensiero maschilisti facendo fatica, noi per prime, a scovare ed estirpare quel virus infetto e schifoso.
Avrei potuto semplicemente presentare il mio progetto Voci di Femmine senza partire da questa premessa infervorata. O forse no.
Voci di Femmine è un progetto social, nato su Instagram e replicato nella rispettiva pagina Facebook, che racchiude miei racconti inediti brevi (circa 2000 caratteri spazi inclusi: la lunghezza massima di un post Instagram), pensati per dare vita a un’antologia corale femminile. Una sorta di Spoon River in vita, insomma, in cui a turno prendono parola donne diverse, ognuna con una storia da raccontare, una voce da sollevare per rifiutare un pregiudizio, un cliché, un ruolo o una pretesa sociale che non ne definisce la femminilità e non ne esaurisce l’essenza. A volte è l’affermazione di una consapevolezza profonda; altre una ribellione tardiva, una voce che si solleva a femminilità offesa, calpestata, stuprata, nella speranza che il lamento di dolore diventi grido di libertà per le donne del futuro. I racconti di Voci di Femmine parlano sempre di una condizione, quella femminile, che oggi ha conquistato la ribalta, ma non ha ancora un linguaggio per rappresentarsi. Ad accompagnarli ci sono alcuni miei scarabocchi – non sono un’illustratrice – senza pretesa alcuna, se non quello di rappresentare un’emozione o, in alcuni casi, la ribellione agli standard iconografici femminili, in cui le vagine sono sempre depilate e le mestruazioni senza sangue.
Mi sono chiesta più volte, prima di iniziare, se avesse senso proporre il mio contributo in un panorama pieno di tanti, alcuni bellissimi, progetti dedicati al tema della parità e della lotta contro gli stereotipi da donne ben più autorevoli di me. Ovviamente per me la risposta è “sì”. Un po’ perché, checché se ne dica, si scrive sempre, oltre che per se stessi, con la speranza di essere letti. Un po’ perché, è vero, si parla tanto di un nuovo femminismo, di parità, sorellanza, di empowerment femminile ed è bellissimo. Eppure mi capita spesso di trovarmi di fronte a progetti che, sotto la bandiera della gender equality, allevano inconsapevolmente il loro piccolo batterio maschilista, distruggendo sì i vecchi ripugnanti stereotipi femminili, ma costruendone, seppure in buona fede, di nuovi.
Ho un figlio di tre anni e recentemente mi sono sposata. Da direttrice di una testata pensata per le donne, scrivo spesso dei nostri diritti e di uno in particolare, che qualcuno definisce assodato, ma che evidentemente non lo è, visto che ancora si chiede alle donne di giustificarsi a riguardo: parlo del diritto di non essere madre o moglie/compagna di. Io sono, per scelta, entrambe le cose. Salvo dovermi giustificare a mia volta, davanti a donne intelligenti ed espressamente femministe, che vedono nel mio essere madre e moglie una concessione inconscia agli stereotipi che sto combattendo. Come se il mio essere mamma e sposata a un uomo erodesse un poco il mio diritto a essere femminista.
E allora non ci sto! Ed è anche per questo che ho dato vita a Voci di Femmine: perché sentivo la necessità di una narrazione dell’essere donna più variegata, ricca, meno “urlata” e soprattutto non racchiusa in proclami accattivanti ma che inevitabilmente limitano, riducono, definiscono, senza dare conto della complessità delle cose. La diversità è una ricchezza preziosa da tutelare: se suona banale è solo perché è vero. Il mio essere madre o moglie non mi rende automaticamente meno femminista di una donna che sceglie di essere childfree e libera da un qualsiasi legame. Io non sono a prescindere migliore di lei, né lei lo è di me. Il nostro valore in quanto donne si determina sulla base della nostra consapevolezza, della nostra fedeltà a noi stesse e, perché no, anche nel riconoscerci nelle nostre debolezze o nel non vergognarci più dei nostri difetti.
In Voci di Femmine racconto questo tipo di femminismo. Mi interessa poco l’iconografia alla Wonder Woman perché, per quanto appassionata della DC Comics, mi sembra l’eroina “maschilizzata” per eccellenza: creata a immagine e somiglianza dell’uomo, ovviamente sexy, come piace a loro. Una “donna con le palle”, in cui non mi riconosco e non mi interessa riconoscermi.
“Quando dico alle mie amiche che da grande voglio fare la ballerina e diventare mamma mi dicono che sono una femmina all’antica. Ma che colpa ne ho se a me piace ballare e vorrei avere anche un bambino?”, mi ha scritto un’adolescente su Instagram e mi ha fatto una tenerezza infinita. Sulla bio del suo profilo lei si definisce #feminist e io le credo.
Anzi, sto lavorando proprio a un racconto che parla di lei. Perché Voci di Femmine è un progetto che parla di donne, oltre gli stereotipi, quelli vecchi, ma anche quelli nuovi.