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Vulvodinia e neuropatia del pudendo: un caso di ingiustizia sociale – intervista a Chiara Natale e Bruna Orlandi
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Vulvodinia e neuropatia del pudendo: un caso di ingiustizia sociale – intervista a Chiara Natale e Bruna Orlandi

A quasi due anni di distanza, più precisamente il 12 novembre del 2021, il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del pudendo ha tenuto il suo primo convegno nazionale, Vulvodinia e neuropatia del pudendo: un dolore senza voce. In quest’occasione è stata presentata, per la prima volta la proposta di legge richiedente non solo il riconoscimento da parte dello Stato della vulvodinia e neuropatia del pudendo come patologie invalidanti, ma anche il loro inserimento nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Tuttora, come al 12 novembre del 2021, queste patologie non vengono riconosciute dal SSN, il numero deɜ medicɜ resta sempre inferiore rispetto alla domanda di assistenza, le visite sanitarie rimangono perlopiù private e costose e le malattie ingiustificatamente “invisibili” agli occhi dello Stato.

Nella storia del nostro Paese, qualcunə prima di me ha detto “odio gli indifferenti” e siccome anche io mal sopporto la subdola indifferenza calata sulla questione – come se fosse di terziaria importanza – ho raccolto le testimonianze di Chiara Natale, attivista (@chiara.lapelvi) e divulgatrice, e Bruna Orlandi, attivista, divulgatrice e scrittrice, che da anni si occupano di sensibilizzazione sul tema e fanno parte come consigliere del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del pudendo. 

Sappiamo che nel mondo si inizia a parlare di medicina di genere troppo tardi, nel 1991, grazie a B. Healy, cardiologa che parlò sul New England Journal di “Yentl Syndrome” denunciando la discriminazione agita deɜ cardiologɜ suɜ pazienti. È solo nel 2009 che l’Oms considera il genere come tema imprescindibile nella programmazione sanitaria. Dunque, di fronte a questo vergognoso ritardo vi chiedo: quanto la letteratura medica e ɜ medicɜ vi hanno aiutato ad identificare e a capire la vostra patologia (la vulvodinia)?

Chiara: «Deɜ diversɜ ginecologɜ che mi hanno visitata nessunə mi ha parlato di vulvodinia. Le terapie sbagliate erano sempre le stesse che mi venivano prescritte. […] Sono stata seguita da una ginecologa fin quando mi sono recata da un urologo esperto in vulvodinia. Prima di arrivare alla diagnosi, ho avuto la necessità di cavarmela da sola perché avevo capito che dal mondo medico non sarei riuscita a ricavare delle risposte. Durante la comparsa del primo sintomo, 2006, non esistevano i social e anche se c’era Internet le informazioni erano diverse. Quando cercavo i miei sintomi compariva la cistite e di rado compariva qualche articolo lungo circa una paginetta sul tema; temevo di soffrire di contrattura del pavimento pelvico e poi, forse, di vulvodinia. È stato grazie al sito Cistite.info che, attraverso la loro lista di medicɜ, ho scelto il mio urologo. […] Il percorso è stato un percorso lungo, perché bisogna prendere coscienza del fatto che quanto è stato fatto fino a quel momento, è stato inutile. Dunque, grazie a internet ho scoperto di avere la vulvodinia. Nella maggioranza dei casi, quando ricevi la diagnosi di vulvodinia, è perché ne sei già consapevole, […] questo è un problema: non dovremmo essere noi, quelle ad essere informate così tanto!»

Bruna: «Nella mia esperienza, è stato un medico a diagnosticarmi la vulvodinia, […] ma il dato oggettivo resta lo stesso: la malattia è ancora invisibile per moltissime. Nel 2010, quando iniziai ad accusare i primi sintomi, c’era solo il libro Vulvodinia di Graziottin e Murina a disposizione e non sapevo a quale medico rivolgermi. Quindi, ricercando i miei sintomi, grazie ad internet sono riuscita ad arrivare a un medico che sembrava fare al caso mio. Inoltre, penso che il fatto che molta gente che ne soffre non ne parli possa incidere negativamente. Nel momento in cui la faccenda ha assunto una certa rilevanza mediatica, per questioni economiche, si sono aggregati tutti. Le questioni economiche sono insite alla professione medica e sarebbe bene invece scinderle, noi stiamo pagando le conseguenze più di altri: le nostre visite costano tanto perché i medici sono pochi

Chiara: «C’è una grandissima vergogna. Quello che ho riscontrato da parte delle persone che mi scrivono, soprattutto se al di sopra dei quaranta anni d’età, è il fatto di pensare di non meritare l’amore. Queste persone non ricercano una relazione perché non possono avere rapporti sessuali ed hanno difficoltà a parlarne in quanto questa è una malattia che può togliere tanto dal punto di vista sessuale. Avere però qualcunə che ne parli e che ci metta la faccia, vuol liberare queste persone dal silenzio. Per concludere, penso spesso a chi ha 60 anni e una media di 30 anni di ritardo diagnostico […], parte di loro probabilmente si sarà suicidata

Bruna: «Per mia personale esperienza, penso proprio di avere avuto una grande resistenza psicologica, ma di fatto, dopo tre anni ininterrotti di sofferenza, la mia intenzione era quella: il suicidio. […] Il giorno prima del convegno del 2021, un signore chiamò l’associazione, che allora stava con noi, dicendo che la moglie si era suicidata per via della vulvodinia. Appena è stata fatta un po’ di luce sulla questione sono venute fuori le prime denunce che provenivano dal privato, dove il pubblico non vede quello che accade perché, se nessuno ti capisce, sei incline a pensare che non ci sia una soluzione.»

Chiara: «Dipende dai gradi di vulvodinia. […] Lavorando anche con AINPU (Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo), ho accesso alle testimonianze di coloro che soffrono di neuropatia del pudendo: le loro storie sono atroci da leggere.»

Bruna: «Anch’io avevo una forma di neuropatia del pudendo. […] Non tutte si rivolgono a psicologi, magari non avendo né la possibilità economica per farlo e, oltretutto, non avendola per sostenere le terapie della vulvodinia.»

Chiara: «Quando parliamo di vulvodinia prendiamo in considerazione il dato che ci comunica che 1 persona su 7 assegnata femmina alla nascita soffre di vulvodinia; ma pensiamo alle tante persone che non si sono rese conto di avere avuto la vulvodinia. I dati sono chiaramente sottostimati. Mi ricordo che quando leggevo articoli sulla vulvodinia prima di ricevere la diagnosi, ne trovavo alcuni che la definivano una malattia rara – e invece non è così!»

Bruna: «È rara l’informazione, ma non è rara la malattia!»

Basandovi sulla vostra esperienza, qual è stato il vostro rapporto con il corpus medico: vi siete sentite ascoltate e capite? Cosa, secondo voi, non funziona nella comunicazione medicə-paziente?

Chiara: «Io, per esempio, sono convinta che nel mio caso la vulvodinia si poteva evitare. È già da molti anni che soffro di contrattura del pavimento pelvico. […] Questo mi ha portata ad avere dolore durante i rapporti e a far sì che i miei primi sintomi fossero le cistiti. Le cure che mi hanno somministrato (ovuli, lavande, antibiotici) hanno provocato uno stato infiammatorio costante che ha portato alla vulvodinia. Perché per 12 anni sono stata curata male. Non solo ɜ medicɜ non sono informatɜ su queste patologie, ma se questɜ avessero realmente ascoltato e fatto le giuste domande la situazione sarebbe stata differente. Ad esempio, mai nessunə mi ha fatto domande sulla questione dei rapporti sessuali e dei dolori che ne sono derivati. In particolare, la mia ginecologa si era accorta che avevo dei piccoli taglietti dopo i rapporti: questo è stato un grandissimo campanello d’allarme. Pertanto mi disse di usare un cicatrizzante in spray e un lubrificante qualsiasi – senza specificare né il tipo, né la marca. Inoltre, frequenti erano le cistiti post-coitali, che inizialmente non avevo ricollegato ai rapporti –  in quanto mi comparivano due giorni dopo. Anche dopo averlo riportato alla ginecologa, questo non era un dato importante e nessunə mi aveva mai parlato di varie tipologie di cistite: batterica, abatterica, post-coitale, interstiziale etc. è per questo che, pur avendo fornito informazioni importantissime, nulla è cambiato e l’approccio è rimasto lo stesso. Solo quando ho avuto la diagnosi mi sono sentita ascoltata e capita; quindi, in 12 anni e tantɜ specialistɜ, ero la paziente fastidiosa che non migliorava e, anzi, peggiorava. Nel momento in cui ho iniziato a fare tante domande, notavo che ɜ medicɜ erano irritatɜ dal fatto che fossi una paziente informata, che voleva raggiungere il benessere fisico. Non di rado ho subito violenza medica. […] A me è stato detto di tutto: che semmai il sesso che facevo era troppo focoso, che evidentemente ero in una fase della relazione col mio fidanzato in cui le cose non andavano bene, e che per questo provavo dolore. Una delle ultime volte in cui ho visto la mia ginecologa, questa mi disse: “Chiaretta, ma allora quand’è che facciamo unə figliə?” Lei mi vedeva da 12 anni e stavo sempre peggio, l’ultima cosa a cui sinceramente pensavo e penso tuttora è la gravidanza! Da quando sono andata dal mio urologo, ho capito come dovrebbe essere fatta una visita ginecologica. Ricordiamo l’importanza della richiesta del consenso ogni qualvolta veniamo sottopostɜ a visita medica, o dello stesso chiedere come va e di descrivere i sintomi: tutta una serie di cose che andrebbero fatte.»

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Bruna: «Nonostante la mia vulvodinia fosse molto grave, il rapporto con i medici lo è stato ancora di più. […] Il mio obiettivo era quello di far capire che non fossi ipocondriaca, che non avessi manie di protagonismo; insomma, dovevo in qualche modo legittimare la mia personalità, intelligenza e il mio equilibrio. Non era semplice: le domande che mi facevano erano altamente provanti, […] venivo screditata. Mentre andavo da un medicəo, migravo anche verso altri medici e quando arriva un nome sei felice e piangi, anche se accade dopo un anno […]. Però poi cerchi anche altre conferme e dal momento che la guarigione è lenta ti chiedi sempre se stai andando nel verso giusto. […] Noi con la vulvodinia abbiamo come riferimento gli anni, non i giorni. C’è una dilatazione temporale che le altre persone non hanno, non a caso nel mio libro Nonostante libera: il racconto come atto terapeutico (2018, Giraldi editore), parlo di pazientesse, perché ci vuole grande pazienza per affrontare questa malattia. Ho conosciuto diversi dottori e nonostante dicessi la parola vulvodinia, la conoscessi, questa veniva invalidata comunque. Le risposte erano sempre le stesse. “Beva un bicchiere di vino.” “Si rilassi.”, “Non è il compagno giusto per lei […] L’infantilizzazione che i medici usano per parlare della vulva con termini quali passerina, patatina svilendola del tutto, che loro dicono di usare per agevolare la questione, genera l’effetto contrario. Qui si parla di relativismo linguistico, secondo il quale usando un eufemismo il fatto diventa più “leggero” e tollerabile. Ma screditando la vulva, screditi anche la persona che la possiede! Consideriamo, inoltre, il dativo etico “Mi prenda, mi faccia” che impone un coinvolgimento con la paziente: l’obiettivo è quello di creare un legame, ma se dall’altra parte c’è una persona che non ha bisogno che tu medico ti accolli insieme a lei il dolore, e ha bisogno, dunque, di essere trattata con semplice cordialità, allora la vicinanza è non richiesta. Vediamo il rapporto medico-paziente come simmetrico, ma non immaginiamo altre possibilità. […]  Il semplice fatto di essere nuda su un lettino mentre di fronte hai uno specialista vestito è asimmetrico.»

L’art. 32 della nostra Costituzione dice che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo”, eppure il SSN non ha ancora inserito nei LEA oltre alla vulvodinia, anche la neuropatia del pudendo, endometriosi di I e II stadio, adenomiosi e fibromialgia. Inoltre, la vulvodinia colpisce una percentuale che oscilla tra il 12 e il 16% della popolazione assegnata donna alla nascita. Dunque, sorge spontaneo chiedersi: quali sono le leggi che lo Stato italiano presenta per la tutela delle persone affette da patologie “invisibili”?

Chiara: «Non essendo la vulvodinia e la neuropatia del pudendo riconosciute, è come se noi non esistessimo per lo Stato, infatti è per questo che siamo chiamate “malate invisibili”.  Per esempio non posso dire aə miə datorə di lavoro che resto a casa per la vulvodinia, devo necessariamente inventarmi una scusa. Attualmente non abbiamo nessun tipo di sostegno economico e giuridico. Per mia fortuna sono riuscita a crearmi un lavoro che mi aiutasse nel suo svolgimento, ma sono sicura che se avessi avuto un lavoro d’ufficio di 10 ore non ce l’avrei fatta, se non in piedi o inventandomi degli stratagemmi. Questo spaventa un sacco di persone affette dalla vulvodinia, che per esempio stanno finendo l’università e devono approcciarsi al mondo del lavoro, conciliando dolore e sostentamento: perché i soldi servono per curarti

Bruna: «Aggiungo che queste patologie non sono più invisibili, perché lo Stato le ha conosciute, le abbiamo portate in Parlamento il 12 novembre 2021, grazie all’aiuto del grande bagaglio mediatico che ci hanno offerto Giorgia Soleri e Damiano David per dare visibilità. […] Se prima lo Stato poteva essere “giustificato” per mancanza di conoscenza, adesso non c’è più attenuante che tenga. Proprio perché non riconosciute dallo Stato, siamo di fronte a un vero caso di ingiustizia sociale!»

Sempre nell’art. 32 della nostra Costituzione si dice che la Repubblica “[…] garantisce cure gratuite agli indigenti” eppure la maggior parte delle terapie che dovete effettuare per curare la vulvodinia non sono passibili di esenzione. Quindi, quali sono i costi delle terapie che affrontate in quanto soggette a vulvodinia?

Chiara: «Almeno €400 al mese, le visite e tutti gli integratori non possono essere scaricati. Impattante è il prezzo degli integratori, ma soprattutto il fatto che le cure sono lunghe (anche anni): parliamo di una spesa fissa, non di una variabile. Ricordiamoci che oltre che alla terapia farmacologica c’è la fisioterapia e che anche questa è fissa.»

Bruna: «Dipende dalla fase in cui si è. Io il mese scorso ho scelto di rimuovere alcune spese mediche. Ad oggi faccio yoga una volta alla settimana e vado da un nutrizionista che mi permette di essere molto più disinfiammata. A livello di intestino gli integratori sono carissimi e 1/3 dello stipendio se ne va per quello. La mia spesa mensile si aggira intorno ai €500

Credits
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Foto di Cliff Booth (Pexels)
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