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Whatevertilda e l’importanza della pubblicità inclusiva [Progetto Sorellanza]

Whatevertilda e l’importanza della pubblicità inclusiva [Progetto Sorellanza]

Pic credit: mybillie.com – Project Body Hair
Articolo di Erika Leserri aka Whatevertilda

La pubblicità è sempre stata una mia fissa. Da piccola spesso mi chiedevo come facessero ad avere i capelli perfetti quelle donne con quei flaconi di shampoo in mano, oppure come facessero ad avere gambe sempre perfettamente lisce quelle donne con quei rasoi rosa tra le mani (in fondo mia mamma comprava rasoi per depilare le sue gambe pelose e sceglieva quello shampoo perché dopo l’estate aveva i capelli aridi).

La pubblicità è sempre stata una mia fissa a tal punto da laurearmi in marketing e iniziare a lavorare per i super mostri del business mondiale: le multinazionali.
Sono ormai sei anni che ho a che fare con budgeting, BEP, analisi dei competitor, contenuti di strategie di comunicazione online, social network, fatturati aziendali etc, ma mai e dico mai ho capito perché i modus operandi del business cambiano colore, ma mantengono la stessa forma “new wave”. Una forma che ormai, a fatica si adatta all’intera domanda del nostro mercato.

Parto brevemente dalla base, spiegandovi umilmente cos’è la pubblicità e perché ne siamo attratti.
Evito di entrare troppo nei dettagli e lascio volutamente un alone di mistero sulle menti contorte e subdole di noi markettari, ma è giusto sapere che la pubblicità è quel tipo di comunicazione di massa che punta ad un unico obiettivo, cioè vendere, e ne siamo attratti proprio perché noi markettari sappiamo con quali colori, in quali forme e con quali parole raccontarvi ciò che intendiamo vendervi.
La pubblicità è talmente attraente e sexy, da permettere al nostro cervello di farci letteralmente affezionare ad essa e pendere dalle sue labbra per sempre.

La pubblicità crea una società, la modella e può educarla.

Faccio un esempio pratico per spiegarmi meglio: io sono Erika e produco cioccolato.
Io so come raccontarvi che il mio cioccolato è il migliore sulla piazza, perché ci vado direttamente io in Ecuador a raccogliere le fave di cacao, per poi le tostarle e scioglierle in casa e mescolare il tutto fino a che non viene fuori una crema morbida e golosa alla quale è impossibile resistere perché sa davvero di cioccolato e potete anche spalmarla su una fetta di pane fresco…mmh che buono! Secondo me diventerà la merenda preferita dei vostri figli, scommettiamo?

Tu mamma ne hai bisogno per i tuoi pomeriggi a casa durante il part time dopo la terza gravidanza e i tuoi figli ne hanno bisogno, perché a scuola i loro compagni mangiano il mio cioccolato. Infatti ho creato anche una confezione per i più piccoli con la quale puoi avere in regalo il mammoccetto di Hotel Transylvania 3.
Voi mamme tornerete ad acquistare il mio cioccolato perché farete felici i vostri figli e perché, in fondo, quel cioccolato vellutato e succulento, piace anche a voi.
Questo appena dipinto dalle mie subdole parole, è quello che si chiama processo di identificazione.
Ma io poi vi appioppo anche la raccolta punti, perché acquistando il mio cioccolato, potrete collezionare le lenzuola con tutti i personaggi di Hotel Transylvania 3 per i vostri figli.
E qui mi cascate a fagiolo nel processo di fidelizzazione invece.

Ora, avendovi più o meno illustrato il potere persuasivo della pubblicità, immaginate gli infiniti canali attraverso cui io vi posso farvi innamorare del mio cioccolato (tv, social, radio), immaginate i colori e le voci calde, le foto ambientate e immaginate il numero infinito di consumatori che può assistere al mio spettacolo cioccolatoso.
Ma poi non tutti mangiano quel tipo di cioccolato lì, magari c’è chi lo preferisce variegato fondente o gianduia e quindi vi segmento anche il mio prodotto perché possa andar bene più o meno a tutti, grandi e piccini dal palato raffinato e non.
Io ora vi ho in pugno, perché la vostra mente sta elaborando milioni di immagini tutte relative alle situazioni che vi ho dolcemente descritto, quindi posso fare di voi ciò che voglio.

Torniamo a noi però. Immaginate se tutto questo potere fosse utilizzato e canalizzato in termini inclusivi, quale risultato potrebbe produrre sulla nostra società?
Con Whatevertilda, mi batto esattamente per questo: voglio creare pubblicità leali che corrispondano alla realtà, con disabili siriani che mi indicano il miglior sito per matchare i voli per le mie vacanze estive, un ragazzo che mi suggerisce un rossetto matt e una ragazza cinese che parla italiano e mi consiglia la coppetta mestruale.
Tanti in Italia iniziano (per fortuna) a parlare di inclusività, femminismo intersezionale, parità di genere, famiglie arcobaleno, (non sia mai che a cinquant’anni dal Sessantotto ci torni un po’ di sale in zucca), ma quasi tutti abbiamo ignorato quanto questi principi in cui crediamo, possano arrivare più velocemente se veicolati attraverso la pubblicità.
Se solo la pubblicità fosse costruita basandosi sulla realtà, mostrando gambe pelose di donne con rasoi in mano, se solo la pubblicità mostrasse tanga indossati anche da uomini, se solo la pubblicità insegnasse che noi donne in quegli assorbenti, non lasciamo secrezioni blu…

Il potere della pubblicità è immenso e altrettanto immenso è il suo potere di sensibilizzazione perché siamo bombardati da pubblicità sotto ogni sua forma (etichette sui vestiti, radio, stemmi sulle auto, scritte sui jeans, social network, etichetta della bottiglietta di acqua che ci portiamo in ufficio, tv, email, siti online, cartelloni sotto casa etc) e ne restiamo catturati. Se leggiamo di un argomento, possiamo distrarci perché la lettura ci porta via almeno 1/3 mins, se seguiamo al tg una notizia, spesso facciamo altro magari in cucina, ma se in tv parte quella dannata musichetta di 25 secondi, ce la portiamo dietro quasi tutta la giornata.

Creare una pubblicità di valore, lontana da stereotipi e tabù, può aiutare le nuove generazioni a crescere in questo mondo in cui viviamo oggi (ma che non tutti accettiamo), abbracciandolo come quello che è, ovvero assoluta normalità.

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Di seguito faccio delle riflessioni banali perché possa risultare di iper accessibilità il discorso: il fatto che ci siano uomini ad indossare intimo stereotipicamente femminile o che si trucchino anche in maniera vistosa è un dato di fatto, ma nessun uomo ha ancora pubblicamente indossato un tanga dietro il grande schermo e solo pochissimi brand hanno affidato a uomini sponsorizzazioni di makeup; il fatto che esistano disabili che viaggiano o che hanno relazioni sessuali è un dato di fatto, ma nessuno di loro ha mai sponsorizzato una compagnia di volo o un pacco di profilattici.

In sostanza, stabilito l’enorme potere che la pubblicità esercita sulle società, credo che sia un peccato non sfruttare queste potenzialità al fine di sensibilizzarci maggiormente (ora e in futuro) rispetto a temi delicati e di assoluta attualità come la parità e le discriminazioni di genere, il body positive/shaming, l’omosessualità e via discorrendo.

Se la pubblicità fosse sensibile ai tempi sopra citati, potrebbe contribuire positivamente e forse anche più facilmente ad un progresso sociale mirato a limitare fenomeni omofobi o patriarcali.
Ci sono molti fattori sociologici legati a questo argomento e mi rendo conto che ciò che ho scritto potrebbe essere davvero molto riduttivo rispetto alla vastità di aspetti e sfumature da valutare, ma spero almeno che serva a farci riflettere un minimo, perché insieme possiamo cambiare le cose.

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  • Sono d’accordo con tutto quello che dice l’articolo, meno che su una cosa: il tanga per gli uomini. Probabilmente non vedrai mai un tanga su un uomo, però NON per via del machismo. Ma, banalmente, perché i testicoli dei maschi sono grossi e fuoriescono dal tanga. E le striscie di tessuto che caratterizzano il tanga sono troppo deboli per garantire un sostegno, appunto perché le palle tirerebbero giù tutto. Una scomodità assurda e stress gratuito per lo scroto

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