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Decolonizzare: cosa significa?

Decolonizzare: cosa significa?

In questo articolo si usa il femminile sovraesteso.

Negli ultimi anni, soprattutto negli spazi online e fisici dell’attivismo e della dilvugazione trans-femminista, hanno preso piede alcuni termini come il verbo “decolonizzare”, il sostantivo “decolonizzazione” e l’aggettivo “decoloniale”. Tuttavia, a mio parere il significato di questi termini risulta spesso poco delineato. Sembra che in generale il termine “decolonizzare” indichi un atteggiamento di opposizione al razzismo, ma non è chiaro se la parola si possa applicare anche alla questione di genere, alle istanze queer e alle altre battaglie del femminismo definito intersezionale.

La poca chiarezza è forse dovuta anche all’assenza di questi termini nei dizionari. Il dizionario Treccani non propone a esempio nessuna definizione dei termini decoloniale, decolonialità, anticoloniale e postcolonialismo. Anche il dizionario Nuovo De Mauro, per esempio, non propone definizioni per le parole decoloniale, decolonialità, postcoloniale, postcolonialismo e anticoloniale. È comprensibile che certi termini non siano ancora presenti nei dizionari, soprattutto perché prima che un lemma entri a far parte del corpus di un vocabolario deve intraprendere un lungo processo; basti pensare al termine decoloniale che è solo di recente entrato a far parte del dibattito accademico in Italia, spesso sostituito dal termine postcoloniale.

Dall’altro lato, però, il dizionario Treccani propone la definizione di “anticolonialismo”, “decolonizzare” e “decolonizzazione”, che sono sostanzialmente sinonimi:

s. m. [comp. di anti-1 e colonialismo]. – Atteggiamento di opposizione al colonialismo, cioè a un’attiva politica coloniale svolta sia dal proprio sia da altri stati; anche, il movimento di opposizione al regime coloniale da parte dei popoli che vi sono soggetti.

I termini anticolonialismo, decolonizzare e decolonizzazione parlano quindi di una lotta contro le strutture socio-culturali-economiche-politiche imposte dal colonizzatore su quelle colonizzate. Sono termini che parlano molto del passato, perché la maggior parte dei territori che a partire dal 1500 divennero colonie delle potenze marittime europee oggi sono territori indipendenti. In realtà la decolonizzazione parla ancora molto del presente, si pensi alla colonizzazione dello stato di Israele sui territori palestinesi.

Ciò che spesso viene criticato da parte di chi la decolonizzazione la fa e la vive è uno “sbiancamento” del termine decolonizzazione oggi. In altre parole, si tende spesso a credere che la decolonizzazione sia un atto esclusivamente pacifico e teorico, una mera pratica accademica. È lo psichiatra, filosofo e antropologo francese, nativo della Martinica, Franz Fanon che, nel famoso incipit de I dannati della terra, dimostra il contrario:

Liberazione nazionale, rinascita nazionale, restituzione della nazione al popolo, Commonwealth, qualunque siano le etichette impiegate o le formule nuove introdotte, la decolonizzazione è sempre un fenomeno violento. […] La sua insolita importanza sta nel costituire, dal primo giorno, la rivendicazione minima del colonizzato. La prova del successo risiede veramente in un panorama sociale mutato da capo a fondo. La straordinaria importanza di questo mutamento sta nell’essere voluto, richiesto, preteso. La necessità di questo mutamento esiste allo stato bruto, impetuoso e coattivo, nella coscienza e nella vita degli uomini e delle donne colonizzate. Ma l’eventualità di questo mutamento è vissuta allo stesso tempo sotto forma di un futuro terrificante nella coscienza di un’altra «specie» di uomini e di donne: i coloni. La decolonizzazione, che si propone di mutare l’ordine universale, è, come si vede, un programma di disordine assoluto. Ma non può essere il risultato di un’operazione magica, di una scossa naturale o di un’intesa amichevole. La decolonizzazione, com’è noto, è un processo storico: vale a dire che non può essere capita, né trovare la sua intelligibilità e farsi trasparente a se stessa se non nella misura in cui si discerne il movimento storicizzante che le dà forma e contenuto. La decolonizzazione è l’incontro di due forme congenitamente antagoniste che traggono la loro originalità precisamente da quella specie di sostantivazione prodotta e alimentata dalla situazione coloniale. Il loro primo scontro si è svolto sotto il segno della violenza e la loro coabitazione – più precisamente lo sfruttamento del colonizzato da parte del colono – è continuata a forza di baionette e di cannoni. […]

Esiste però non solo la colonizzazione-decolonizzazione, ma anche la colonialità-decolonialità. Riporto una definizione proposta dalla professora brasiliana Milena Abreu Avila che riprende una citazione dell’autrice e professora brasiliana di scienze politiche Luciana Ballestrin:

La colonialità si è venuta a configurare come il “lato oscuro e necessario della Modernità” (BALLESTRIN, 2013), ovvero, la forma dominante di controllo delle risorse, del lavoro, del capitale e della conoscenza, limitati a una relazione di potere articolata dal mercato capitalista. […] per quanto il colonialismo sia stato superato, la colonialità continua a essere presente sotto i più diversi aspetti e, soprattutto, nei discorsi riprodotti quotidianamente nella nostra società. Secondo l’autrice Ballestrin (2013), la colonialità è la continuità della propagazione del pensiero coloniale[…]. (Traduzione di chi scrive).

Inoltre, come scrive la professora di Geografia all’Università Sorbona di Parigi e geografa queer, Rachele Borghi, nel suo libro Decolonialità e privilegio: “L’acidità del nostro corpo collettivo si chiama colonialità. Colonialismo e modernità sono i due fattori che, interagendo l’uno con l’altro, hanno dato vita all’ambiente acido in cui si è sviluppato il corpo collettivo, il sistemamondo.” In altre parole, dalla crasi di colonialismo e modernità, nasce il termine colonialità. Fatta questa distinzione, quella tra colonialismo e colonialità, possiamo affermare che la decolonialità è l’insieme di pratiche che si propongono di eliminare le dinamiche di potere, di genere, di “razza”, di sapere, dell’essere, eccetera, modellate dal colonialismo e rimaste intatte dopo la sua caduta. La decolonialità lotta contro ciò che rimane della struttura coloniale (non solo nelle ex colonie, ma anche nei paesi colonizzatori) dopo lo smantellamento del colonialismo. Infatti, secondo Rachele Borghi: “Il pensiero decoloniale […] non riguarda un periodo passato ma ha la forma del presente.” Borghi afferma poi che “decolonizzare non è bastato e non basta”, ora oltre alla decolonizzazione serve la decolonialità, oltre a decolonizzare bisogna “decolonializzare”.

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Propongo una pensatrice e un pensatore che vengono considerati la madre e il padre del pensiero decoloniale, che nasce nel mondo accademico sudamericano, ma si diffonde poi in varie parti del mondo, anche al di fuori dell’Università.

Il sociologo peruviano Aníbal Quijano ha coniato il sintagma “colonialità del potere” o, in alternativa, “sistema moderno/coloniale”, che indica l’incrocio di due assi: l’asse capitale/lavoro con l’asse europeo/non-europeo (o meglio bianco/non-bianco). Questa teoria indica che il concetto di “razza” nasce proprio in Sudamerica nel 1500, prima non esisteva. La schiavitù e la divisione del lavoro esistevano già prima del XV/XVI secolo, ma con l’età moderna i due concetti si fondono insieme. Il concetto di “razza” o di “Altro” serve a giustificare lo sfruttamento di persone che vengono animalizzate e pertanto possono essere trattate come schiave. (In realtà, il sociologo portoricano Ramon Grosfoguel sottolinea che queste ipotesi erano già state teorizzate da altri studiosi, come Franz Fanon e Cedric James Robinson. Secondo Grosfoguel, il successo di Quijano è il fatto di aver inventato proprio il termine “colonialità del potere”, anche se però il concetto era già esistente). Quijano afferma che la “colonialità del potere” non finisce per influenzare solo l’Europa o i territori invasi da essa, ma ha ancora oggi ha un impatto mondiale: “Non si tratta di cambiamenti all’interno del mondo conosciuto, che non altera se non alcuni dei suoi tratti. Si tratta del cambiamento del mondo in quanto tale”. (Traduzione di chi scrive).

La filosofa argentina e attivista femminista María Lugones si è occupata invece di come il genere sia un costrutto sociale nato nelle colonie. Lugones riprende il concetto di “sistema moderno/coloniale” di Quijano e sottolinea che nonostante la questione razziale e quella capitalista siano nate durante il colonialismo, anche il genere sia un concetto generatosi a partire dal 1500 e per questo fonda il sintagma “sistema moderno/coloniale di genere”. A partire dal periodo coloniale in Sudamerica si diffonde in tutto il pianeta l’idea che esistano solo due generi: le donne e gli uomini. Questo fenomeno è fondamentale per giustificare la supremazia maschile e la divisione dei ruoli sociali. Lugones si basa sugli studi della professora nigeriana di sociologia Oyèrónkẹ́́ Oyĕwùmí e della scrittrice, critica letteraria e attivista lgbtqia+ statunitense, Paula Gunn Allen, per affermare che il sistema di genere binario non esisteva in tutte le parti del mondo prima della colonizzazione. Secondo Lugones, quando si parla di “uomini” e “donne”, secondo il sistema coloniale/moderno, si sta facendo riferimento a uomini e donne bianche, mentre quando si usano categorie animali, maschio e femmina, si parla di persone non bianche. All’interno di questo sistema, secondo Lugones, l’eterosessualità è fondamentale per garantire la riproduzione dei corpi umani (persone bianche europee) e della forza lavoro (persone nere africane o indigene sudamericane).

In conclusione, decolonizzare o, meglio, decolonializzare non significa cercare di riportare le cose a un momento precedente al colonialismo, significa saper riconoscere quale sia il lascito del colonialismo e come esso abbia un impatto sul momento presente.
Per prima cosa è necessaria l’auto-decolonializzazione, perché non è possibile decolonializzare ciò senza iniziare da sé.

Abreu Avila Milena, “Colonialidade e Decolonialidade: você conhece esses conceitos?”, Politze, 2021.
Aníbal Quijano, Colonialidad del poder, eurocentrismo y América Latina, Buenos Aires, CLACSO, 2014.
Fanon Frantz, I dannati della terra, Torino, Einaudi, 2021.
Rachele Borghi, Decolonialità e privilegio, Sesto San Giovanni, Meltemi editore, 2020, pp. 28.
¿Qué es el SISTEMA MODERNO/COLONIAL de GÉNERO? María Lugones, YouTube, postato da
Karla Gil,
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