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Igiene di genere

Igiene di genere

Pochi mesi fa, ho letto “La donna gelata” di Annie Ernaux (Premio Nobel per la Letteratura 2022). Al di là del valore artistico dell’opera, questo scritto dà modo di ragionare approfonditamente su un aspetto dell’educazione al femminile spesso invisibilizzato, dato per scontato e fortemente interiorizzato: le pratiche concernenti l’igiene personale e la pulizia domestica. Nel libro si segue la vicenda (apparentemente semplice, ma semplicemente perché comune) di una donna bianca francese della seconda metà del Novecento che da bambina arriva poi alla maturità, come donna istruita, moglie e madre. E lungo la narrazione, come un fil rouge, ritroviamo il ruolo della sua educazione domestica, costantemente declinata al femminile. Infatti, assistiamo all’inculturazione e alla socializzazione di una ragazzina, consapevole della sua identità di genere ma non delle convenzioni che ne accompagnano la sua costruzione, all’essere “femmina”, il che in breve prescrive un cardine principale: la purezza. E, come per tutti i concetti astratti, esso viene concretizzato in precetti precisi da rispettare e seguire con meticolosità, senza poterli contestare. Così la purezza diviene fenomenologia attraverso il monito della vita delle Sante, l’assoluta segretezza dell’autoerotismo e delle mestruazioni, la remissività allo sguardo del Maschio, alle sue parole autoreferenziali ed ai suoi atteggiamenti di prepotenza – sottile ed esplicita, a seconda del caso. Ed il culmine (quotidiano, asfissiante, inderogabile) della manifestazione della propria aderenza alla purezza di genere è la pulizia, personale e della casa. Questo avviene anche per la protagonista che, almeno inizialmente, prima della fase di indottrinamento (come lei stessa la definisce) al suo ruolo di femmina, sembrava non dimostrarla, essendo figlia e nipote di donne “sudicione” e che non si curano della polvere, che non portano il reggiseno. Ma alla fine anche lei si ritrova costretta ad adattarsi ad un mondo che le toglie libertà, ricordandole in continuazione la più grande delle paure: il rischio dell’esclusione. In questo senso, i suoi doveri rispetto all’igiene, specie delle parti intime, e quelle dell’ambiente domestico divengono una prova che non si conclude mai, qualcosa da superare (non vincere) ogni giorno e per cui non c’è nessun premio. Fino ad arrivare all’ultimo step evolutivo, quello che spazza via ogni reale obiezione e la rende una donna gelata, congelata come nelle foto di copertina delle riveste per le brave casalinghe. 

Per quanto riguarda il cambiamento delle pratiche igieniche in Occidente, uno scritto interessante è quello di Anne L. Scott “Physical purity feminism and state medicine in late nineteenth-century England”, che ricostruisce il movimento femminista della classe media (bianca) britannica a seguito della statalizzazione delle moderne pratiche mediche. In questo caso, si può notare come la necessità di protezione dal rischio di violenze per mano dei medici (maschi) si sia trasformata nelle donne in una presa di posizione, solo in apparenza oscurantista, rispetto alla legittimità di padroneggiare il proprio corpo in modo da mantenerlo inviolato, puro (o meglio, al sicuro) dalla medicina. Viene professata, affidandosi a delle retoriche già ampiamente accettate dal patriarcato e in parte (e strategicamente) distorte dal movimento, la necessità di mantenere la purezza totale (del fisico, dell’anima e dello spirito) delle donne, attraverso una serie di pratiche che non sono necessariamente ricollegate alla sfera sessuale. Infatti, ci sono due fattori di cui tenere conto: da una parte, la ricerca della purezza veniva promossa anche attraverso lo stile alimentare (spesso filo vegetariano) e l’utilizzo dei vaccini (ed è molto interessante constatare come un tema ormai così caldo, nel caso specifico, sia stato ingaggiato nell’ottica della prevenzione dalla violenza medica di carattere maschile e non come sintomo di ignoranza); da un’altra, le sex workers (si parla sempre al femminile nel testo) vengono totalmente coinvolte nel processo di mantenimento della purezza, non richiedendo loro di abbandonare il loro lavoro, bensì sottolineando come anch’esse avessero diritto a che i medici non facessero loro del male con la scusante della salute. La purezza sessuale, o meglio la castità, torna invero nel discorso quando viene sottolineata l’esposizione a cui le donne (di qualsiasi estrazione sociale) erano soggette in riferimento alla diffusione della sifilide: con il presupposto, talvolta presentato con spiegazioni pseudo-scientifiche, che gli uomini avessero un naturale istinto sessuale che non doveva essere represso, l’adulterio era fortemente diffuso e il rischio di infezioni era alto – tutto a discapito delle mogli, che si ritrovavano a subire le conseguenze del comportamento dei coniugi. Per dare un certo spessore alle proprie dichiarazioni (o meglio, per renderle più “accettabili”) una delle strategie è stata quella di evidenziare proprio la presunta purezza spirituale delle donne come “esseri casti”, che doveva essere mantenuta e perseguita anche attraverso il fisico. Paradossalmente, le argomentazioni di matrice sessista sulla imposta modestia dei costumi femminili e le affermazioni di questo primo movimento femminista sulla purezza sembrano convergere, con la conseguenza perversa di rafforzare un sistema oppressivo e giudicante della sessualità delle donne; si cadrebbe in errore però, in questo frangente, se si credesse che alla base di queste considerazioni ci fossero semplici artefatti morali, bensì esse sono da ricollegarsi ad una necessità pratica e stringente della propria salvaguardia. Di fatto, anche se sembra essere in parte stato cancellato dalla storia, quello che è avvenuto è stato un tentativo di sovversione da parte di queste femministe rispetto agli assiomi che le volevano silenti e remissive, elevando invece proprio la “natura” femminile al di sopra della semplice logica maschile. Ciononostante, il tentativo è andato in parte fallito, dal momento che queste istanze sono state poi utilizzate per rielaborare ed in parte confermare un immaginario femminile strutturato, nuovamente, sul binarismo puro/Vergine Maria ed impuro/puttana. A partire da questo, Eleanor Ruth Hayman, nel suo saggio “Shaped by the imagination: myths of water, women and purity”, si concentra su come l’acqua, simbolo classicamente associato al femminile, abbia assunto nuove connotazioni di significato tramite i moderni sistemi idrici e lo sfruttamento capitalistico delle acque. Questo avviene principalmente in due modi differenti, soprattutto secondo la spaccatura tra l’occidente-sfruttatore ed il resto del mondo-sfruttato: da una parte, vediamo l’implementazione di immagini feticizzanti delle donne associate all’acqua (prima, già a partire dagli Impressionisti, con la vasca da bagno, poi con le pubblicità soprattutto di bottiglie d’acqua) come di una nudità spiata, ma comunque controllata, all’interno di una casa che è di chi la possiede (gli uomini), o tramite una manifestazione (letteralmente, su manifesti pubblicitari) allusiva al corpo (in particolare, ai seni) come punto di attrazione del consumatore, educato a quell’associazione tra femminile ed acqua di cui sopra. Da un’altra parte, lontano dal presunto sfarzo occidentale, si trova invece una manipolazione ben più sistemica dell’accesso alle acque a discapito delle popolazioni locali, che non solo risentono fisicamente della mancanza di un bene indispensabile, ma che divengono simulacro di una mancanza di umanità (o meglio, della purezza che conferirebbe quell’identità). E di questo argomento parla in parte anche Sabina Faiz Rashid, insieme a Stephanie Michaud, a proposito delle inondazioni che colpirono il Bangladesh durante il 1998. Per quanto si tratti un testo non recentissimo, esso mostra in modo chiaro, attraverso anche l’utilizzo di testimonianze dirette, la condizione di alcune adolescenti nel momento in cui si sono ritrovate a fronteggiare una situazione non solo altamente disagevole, ma anche rischiosa per la propria incolumità e che, proprio in relazione al mantenimento dell’igiene personale, pone in essere diverse criticità. Infatti, in questi racconti emerge la difficoltà delle ragazze a trovare degli spazi privati nei quali potersi lavare e quand’anche espletare i propri bisogni corporali: l’essere costantemente esposte agli uomini, che, tra l’altro, data proprio l’eccezionalità del contesto, sembrano approfittare del caos per perpetuare delle molestie, le costringe sovente a mettere a rischio la propria salute, non potendosi cambiare d’abito durante tutto il giorno e restando bagnate dalla testa ai piedi, così come ad andare in bagno in piena notte dopo una giornata passata a trattenersi. Ed ancora, le mestruazioni diventano un’ulteriore frustrazione non solo dovuta all’esigenza ovviamente di potersi ripulire fisicamente, ma viene legata anche all’idea di “sentirsi sporche dentro” e di non riuscire, in alcun modo, a donare sollievo a queste ansie. 

In conclusione, sicuramente ci ritroviamo di fronte ad un argomento dall’enorme complessità che si basa su norme sociali altrettanto articolate, diverse in base ad i contesti ma comunque radicalizzate ed incorporate nel cosiddetto “vivere associato”. Al centro di tutto ciò persiste un’idea di purezza materializzata in saponi, spugnette, abiti immacolati e rubinetti da lucidare che, proprio nella sua tangibilità, si fa strumento di controllo. In tal senso, le pratiche igieniche collegate alle donne dovrebbero essere viste non solo come i compiti che riducono lo spazio temporale e di azione della vita femminile al di fuori della casa, ma anche come un continuo monito dal carattere morale che esercita una pressione costante verso una performatività asfissiante ed opprimente. 

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Bibliografia
Ernaux A. (2021), “La donna gelata”, L’orma Editore, Roma
Hayman E.R. (2011), Shaped by the Imagination: Myths of Water, Women and Purity, in “On Water: Perceptions, Politics, Perils(a cura di Kneitz A., Landry M.; 2012), RCC Perspectives, p.23-33
Rashid S.F., Michaud S. (2000), Female Adolescents and Their Sexuality: Notions of Honor, Shame, Purity and Pollution during the Floods, Blackwell Publishers, Oxford, p.54-70
Scott A.L. (1999), Physical Purity Feminism and State Medicine in Late Nineteenth-century England, in “Women’s History Review, n.8, vol.4, p.625-653
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