Jurassic Park – il film del 1993 diretto da Steven Spielberg e basato sull’omonimo romanzo di Michael Crichton – diventato fin da subito un cult generazionale capace di valicare i confini del tempo e della fantasia – fra i numerosi temi che esplora, tocca anche quello della riproduzione. La storia è nota tuttə e l’idea alla base del film è che sia possibile riportare in vita alcune specie di dinosauri attraverso la clonazione di parti del loro DNA; materiale genetico che viene recuperato da una zanzara fossilizzata per millenni in una sfera di ambra (la resina degli alberi) isolandone il genoma.
A sostegno di questa teoria era uscito, nel 1982, uno studio dell’Università della California che descriveva la capacità dell’ambra di preservare strutture intracellulari – come nuclei e mitocondri – di organismi intrappolati al suo interno. Insomma, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, considerando i molti aspetti all’epoca non ancora esplorati nello studio del DNA, la premessa del film costituiva un’ipotesi certamente audace, ma non del tutto inconcepibile e sicuramente rivoluzionaria.
C’è però anche un altro interessante aspetto riguardante questo fenomeno che vale la pena di considerare: i dinosauri che vengono ricreati in laboratorio sono tutti di genere femminile in modo da avere un controllo sulle nascite e, quindi, per ragioni di sicurezza. Eppure, in questo sistema quasi perfetto si nasconde una falla. Siccome il DNA degli animali recuperato dall’ambra fossile non è completo, esso viene perfezionato con quello di alcuni esemplari di rospi. Alcune specie di anfibi presenti in natura, però, in situazioni di pericolo per la sopravvivenza della specie (ad esempio quando convergono in branchi monosessuali), hanno la possibilità di cambiare sesso. I ricercatori e gli scienziati del parco non avevano tenuto in considerazione la “variabile rospo” ed è per questo che alcuni addetti ai lavori notano un inusuale raddoppiamento delle specie.
La procreazione patriarcale, pura e scientifica, nel film prende, dunque, le forme della combinazione di DNA: un miracolo che riesce, non solo, a ridare vita a specie estinte, ma addirittura a modificarle secondo le specifiche degli scienziati. La natura, però, fa il suo corso e il caos riproduttivo all’interno del parco diventa, sorprendentemente, di tipo non binario. Grazie a un difetto nella sequenza di DNA, i dinosauri sono in grado di modificare il proprio apparato sessuale e fecondarsi a vicenda come vogliono.
E così fanno.
Il mondo in cui viviamo è ben diverso da quello immaginato nel Jurassic Park. La nostra società etero-cis-patriarcale crede nel mutualismo, ma solo se all’interno della famiglia di sangue; ha nella famiglia il nucleo, ma solo se eterosessuale; ə figliə vanno bene, ma è meglio l’adozione alla fecondazione assistita, e comunque solo sempre in una relazione monogama etero-cis. Tanta attenzione alla famiglia e poi a rimanere senza la minima tutela sono proprio le persone più piccole. Conosciamo bene questo problema per via delle troppe sentenze a sfavore di coppie che deviano dalle strutture “tradizionali” di famiglia e che vedono continuamente rigettate le loro possibilità di costruirsi un futuro.
Smontare qualche stereotipo potrebbe però aiutare a erodere il muro di false credenze che si erige, invalicabile e altissimo, fra noi e la possibilità di un mondo migliore.
Cominciamo dalle basi e prendiamo ad esempio una famiglia omogenitoriale.
Chi afferma che la famiglia cosiddetta “naturale” sia l’unica possibile sbaglia perché, a oggi, esistono moltissime realtà di famiglie composte da due padri o due madri che possono testimoniare quanto funzioni bene anche un nucleo che devia dai consueti canoni.
Chi afferma che il ruolo del genitore sia quello di occuparsi della sopravvivenza deə figliə garantendo loro un ambiente di vita adatto almeno fino al compimento della maggiore età, non può criticare la coppia omosessuale perché, se questa è la genitorialità, allora vengono meno le ragioni che escludono la persona omosessuale dal poter assolvere a queste funzioni (dato che non c’è motivo di pensare che una persona omosessuale non sia in grado di essere un buon padre o una buona madre).
Chi afferma che in una coppia omosessuale non si possa divenire genitori sbaglia perché il processo di maturazione del desiderio di diventare padre o madre è ancora più lungo e complicato: passa, infatti, da una prima riflessione sul proprio orientamento (il prendere coscienza di sé come individuo), dalla volontà di uscire dall’invisibilità (il coming out), fino alla presa di distanza dalla concezione, ormai interiorizzata, che maternità e paternità siano esperienze associate a una relazione eterosessuale.
Da ultimo, chi afferma che in una famiglia omogenitoriale manchi una figura fondamentale sbaglia perché il genitore “sociale” (ovvero quello non biologico) deve lavorare costantemente, fin dal primo giorno, sul rapporto con ə figliə, al fine di costruire un “pieno” in un luogo dove il mondo colloca il “vuoto” (l’assenza del padre o della madre) e un’uguaglianza laddove il mondo vede una differenza.
Le famiglie omogenitoriali, inoltre, rompono le logiche patriarcali perché all’interno di esse i ruoli sono intercambiabili e connessi. Non esiste il cosiddetto “lavoro da donna”, ovvero un lavoro di cura (non retribuito, per intenderci) dove le mansioni vanno dall’accudimento della prole al mantenimento della casa e nemmeno il “lavoro da uomo”, che però si svolge prettamente al di fuori delle mura di casa. Nelle famiglie omogenitoriali il maschile e il femminile non trovano più un’articolazione necessaria e “dovuta” perché la polarità madre-padre viene superata e le funzioni genitoriali sono “spacchettate” e redistribuite entro la coppia in egual misura.
Smontare gli stereotipi legati alla genitorialità delle famiglie composte da coppie dello stesso genere permette anche le donne stesse di uscire dallo stereotipo che le vede solo come mogli o madri: lo dimostra la scelta di alcune donne di portare in grembo il figlio di altri, la cosiddetta “gestazione per altri” (e non “utero in affitto” come hanno erroneamente chiamato questa pratica alcunə politicə per puri scopi propagandistici). Colei che partorisce per conto di terzi svolge una funzione generativa priva di intenzionalità, in quanto non vuole essere madre.
È prototipicamente il negativo della madre desiderante: è madre desiderante nel caso deə figliə propriə e, al contempo, non madre desiderante quando partorisce per ə altrə. Nel suo impegno nella generazione avviata per mezzo di un atto medico sancito da un accordo contrattuale non c’è posto per il coinvolgimento psico-emotivo che caratterizza la gestazione quando è frutto del desiderio, anche se vi si può riconoscere un sano gesto d’altruismo. Sminuendo l’apporto biologico alla gestazione a esperienza corporea scissa dalla dimensione emotiva della maternità, si arriva a de-materializzare quasi completamente il ruolo della donna come madre (o donna mancata nel caso in cui decida di non avere figliə). Le gestanti escludono quindi qualsiasi coinvolgimento nell’esercizio della genitorialità: non vogliono prendere il posto della madre assente.
Questo diverso tipo di vivere la maternità finisce per dare forma a esperienze e vissuti che hanno ridefinito l’essere donna. È ravvisabile, in queste nuove forme della maternità, il tentativo di superare un immaginario simbolico interiorizzato in cui il femminile è stato costruito come necessario ma non sufficiente, centrale ma complementare e sanzionato dall’intervento maschile, a partire dalla maternità stessa (intesa come esperienza corporea della gravidanza e del parto), poi trasformata in una sorta di ancoraggio simbolico e identitario che struttura il sistema sociale nel suo complesso. Sempre secondo lo stereotipo, per creare una famiglia è necessaria una figura relazionale in quanto una donna da sola appare come egoista (colei che non desidera abbastanza e non produce quell’amore in più necessario per concepire legittimamente un figlio) e la figura materna single è una figura, come abbiamo detto, mancante.
La dimensione relazionale risulta centrale nella produzione della maternità e quella dimensione è concepita solo se si tratta di una relazione eterosessuale. Le nuove forme di parentela de-naturalizzata sono giudicate spesso forme emancipatorie, proprio nella misura in cui vanno a problematizzare e decostruire norme che si radicano nei processi di naturalizzazione. In questo senso, le politiche dei movimenti dei genitori adottivi e delle famiglie arcobaleno, costruiscono scenari di riconoscimento di nuovi soggetti per una pluralità democratica e inclusiva e vanno, per questo, incoraggiate. È necessario giocare su una sorta di valorizzazione in più concessa alla dimensione riflessiva in cui ciò che scegliamo è più legittimo di ciò che è dato. Ciò che scegliamo “liberamente” ed esplicitamente costruiamo, deve godere di uno statuto più alto (autoriflessivo, elaborato, sviluppato) rispetto a ciò che è considerato scontato e questo rimanda alla vittoria della cultura sulla natura, dell’agire sul destino a cui dovremmo tendere.
Per chi teme il cambiamento è necessario puntualizzare che un mondo senza patriarchi non è necessariamente un mondo privo di coppie eterosessuali o di famiglie con due genitori: è un mondo in cui quei legami sono solo due tra i tanti modi in cui si può costruire una famiglia. E questa non è un’ipotesi: donne e persone queer stanno già modificando l’aspetto tradizionale della famiglia ed è possibile misurare la crescita dei movimenti per i diritti civili dal numero delle famiglie che deviano dalle strutture tradizionali. Tutte loro si stanno muovendo verso un mondo oltre il patriarcato, dove i generi fluidi e multipli si connettono in innumerevoli combinazioni; dove uomini crescono figliə con uomini, donne con donne e alcuni figliə non sono cresciuti né da uomini né da donne, ma da qualcun altro ancora; dove genitori si può essere in unə, in tre, in sei o in due.
È un mondo in cui i legami tra gravidanza, genitorialità, maternità e paternità non sono mai del tutto fissati, in cui il sesso si manifesta come vuole e le famiglie nascono in maniera organica e sono regolate da istinto e desiderio, piuttosto che da norme prestabilite. Sciogliendo quei legami apparentemente indissolubili tra sesso e romanticismo, sesso e riproduzione, romanticismo e riproduzione, essi si fonderanno nuovamente in sorprendenti composizioni, creando vite mai esistite prima.
Benvenutə a Jurassic Park.