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Tutto quello che si può spiegare sul corpo femminile, spiegato in un film

Tutto quello che si può spiegare sul corpo femminile, spiegato in un film

Nella mia famiglia non si parlava mai di salute se non in casi eccezionali che, per intenderci, significava che qualcuno era al confine fra la vita e la morte. Se stavi male ti affidavi ai cosiddetti «rimedi della nonna» e, incredibilmente, funzionavano sempre. Mi azzarderei a dire che sono il placebo più diffuso nelle famiglie italiane e una grande allucinazione collettiva che viene tramandata per generazioni. Non c’era una sfiducia generica nei confronti della medicina, un po’ perché ho uno zio laureato in medicina e un po’ perché il medico di famiglia era uno stretto amico di mio padre. Semplicemente, se una visita non era strettamente necessaria, si evitava per una questione di parsimonia. A scuola, poi, accade che, un giorno la maestra ti dice che domani verrà un «esperto» per parlare di «affettività» e tu subito pensi: «Ora buca!». I primi accenni alla medicina durante gli anni scolastici li apprendevi dal capitolo del manuale di scienze dedicato all’anatomia, da quell’unica ora in cinque anni di superiori dedicata all’educazione sessuale e – e questo farà intuire la mia età –, dalla serie animata per ragazzə Siamo fatti così. Il resto lo imparavi dai racconti deə amicə e dal porno. Se avessi saputo, all’epoca, che la regista francese Claire Simon aveva realizzato un bellissimo docufilm intitolato Notre Corps, ambientato nel reparto di ginecologia di un ospedale parigino dove le storie personali di pazienti di tutte le età si intrecciano in un racconto collettivo che è una presa di coscienza dei nostri corpi, l’avrei proposto immediatamente alla maestra come sostituto dell’ora di affettività. Invece, io le scuole le ho finite nel lontano 2016 e questo lungometraggio di 169 minuti (che non annoiano mai) è uscito nelle sale cinematografiche nel 2023. Ma non è mai troppo tardi.

«Amo dare vita a film che raccontano le realtà del mondo, delle grandi come delle piccole realtà, a loro volta attraversate dal mondo – aveva dichiarato Simon durante un incontro con il pubblico del Carbonia Film Festival nel 2023 –. Sono cresciuta in un villaggio del sud della Francia. I villaggi, i piccoli centri, si aprono alle realtà esterne, ad esempio con le feste di paese, importante momento di accoglienza e confronto. Ogni realtà nasconde storie di grande umanità da portare alla luce, momenti di scambio e confronto, quello con i giovani non deve mai mancare».

Ed è proprio ai giovani – o meglio, alle giovani – che questo docufilm parla, le stesse che oggi si trovano, per prime, ad affrontare problematiche che le loro mamme, nonne e bisnonne sopportavano in silenzio perché il loro dolore non aveva ancora un nome.
Nel 2021, l’attivista e influencer Giorgia Soleri pubblicava un post su Instagram in cui cantava vittoria. Non per il conseguimento della laurea, l’anniversario con il partner o per un traguardo lavorativo importante, come gli stereotipi che incombono su di noi ci portano a pensare sarebbe “normale” per una ragazza di venticinque anni. «Ho aspettato tanto questo momento. Il 21 marzo 2021 è il giorno in cui è arrivata la diagnosi per endometriosi e adenomiosi – ha scritto Giorgia sotto la foto del suo nuovo braccialetto ospedaliero –. In realtà come la maggior parte delle persone affette da queste malattie, io lo sapevo già. Lo sapevo quando a 14 anni sono svenuta a scuola per i dolori mestruali e sono stata quasi obbligata a iniziare la pillola anticoncezionale. Lo sapevo quando ogni mese le mestruazioni mi incatenavano al letto e mi facevano rimettere fino a non avere più forze. Lo sapevo quando a 21 anni mi sono rivolta a un importante centro specializzato e sono stata mandata via senza una diagnosi, trattata come se fossi ipocondriaca e bugiarda. È una vittoria perché da domani avrò la possibilità di conoscere un corpo nuovo, che non ho mai avuto la possibilità di vivere: un corpo senza dolori». Dopo quel post da 112mila likes, sempre più pagine, espertə e pazienti, cominciarono a denunciare e a parlare di endometriosi.

Notre corps (Our body, in inglese) affronta liberamente e scientificamente il tema dell’endometriosi, della transizione, dell’interruzione volontaria di gravidanza (in un momento storico decisivo per la Francia che è recentemente diventata il primo paese al mondo ad aver inserito l’aborto in Costituzione), dell’infertilità, della mastectomia, dell’Egg Freezing, del parto e del parto se si ha il cancro. Il film è un’esplorazione totale nella salute delle donne attraverso un’immersione nel reparto di ginecologia e ostetricia di un ospedale del 20° arrondissement di Parigi. Claire Simon, telecamera in spalla, piazza davanti allə spettatorə la schietta realtà del corpo delle donne, il dolore, la gioia, i fluidi corporei, la fecondazione, la malattia, la paura e la maternità, in un flusso continuo che ha il preciso intento di rendere visibile, guardabile, ciò che spesso è tabù, sussurrato, imbarazzante. Un’opera maiuscola, tra universale e particolare (la regista stessa si mette in discussione davanti all’obiettivo quando, durante le riprese, scopre di avere un cancro al seno), di rifondazione dello sguardo sul femminile. Presentato alla Berlinale 2023 e, successivamente, al Torino Film Festival, il film è poi approdato sulla piattaforma MUBI in occasione dell’8 marzo scorso, passando, invece, nelle sale italiane, solo per un brevissimo tour a dicembre. Le donne sono al centro di questo lavoro perché, oltre alla regista, anche la troupe è interamente al femminile, apportando a una tematica così importante e, allo stesso tempo, delicata, un female gaze intimo e necessario. Al contrario di molti altri capolavori incentrati sulla vita e sulle emozioni femminili diretti da uomini, Notre Corps non sarebbe stato lo stesso prodotto se non avesse avuto una regista donna a dirigere i lavori.

Il problema comincia nelle aule universitarie. Per secoli e secoli si è pensato che il corpo maschile e quello femminile differissero soltanto per dimensioni e fisiologia

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 riproduttiva: la scienza medica si è concentrata su un’ipotetica «norma» maschile, etichettando come «atipico» o persino «abnorme» tutto ciò che non rientrava in quei parametri. Nei rari casi in cui si accennava alle donne, si tendeva a presentarle come una sorta di deviazione dallo standard umano. «Il corpo maschile è l’anatomia stessa», scriveva la psicologa sociale Carol Tarvis nel suo saggio del 1992 The Mismeasure of Woman. La propensione al maschile risale quanto meno ai tempi dell’antica Grecia, giacché fu Aristotele a lanciare l’idea che la donna fosse un «maschio dal corpo mutilato». La donna era un uomo «a rovescio»: le ovaie (nome che gli fu attribuito soltanto nel XVII secolo) erano i testicoli femminili, l’utero era lo scroto femminile. Il fatto che si trovassero dentro al corpo invece che fuori (come nei normali esseri umani) dipendeva dalla carenza tipicamente femminile di «calore vitale». Il corpo maschile era, quindi, un ideale a cui le donne non erano degne di arrivare.
Questo docufilm ha la capacità di mettere in discussione secoli e secoli di medicina ad appannaggio prettamente maschile e, allo stesso tempo, ribalta l’idea storicamente accreditata che le donne siano pazze per definizione: d’altronde il termine «isteria» deriva dal greco hystéra, cioè utero. Ma il film di Simon è anche un grido di aiuto della regista stessa che, scoprendo della sua malattia, si mette sullo stesso piano delle pazienti che ha ripreso fino a quel momento e, con umiltà, colloca la sua diagnosi dopo più della metà dei 169 minuti del film per non lasciare che la sua storia privata travolga il progetto più ampio. Per finire, ritornando all’universale, Notre Corps è una dedica d’amore a tutto il personale sanitario che lavora, ogni giorno, prima per rendere meno amara la notizia di un tumore e, poi, per cercare di sconfiggerlo. C’è spazio anche per chi protesta, per rabbia, fuori dai cancelli dell’ospedale, denunciando pubblicamente casi di presunta negligenza da parte del personale. Questa breve sequenza, apparentemente incongrua, serve, invece, a chiarire gli obiettivi di Simon: la mancanza di trasparenza e la mancanza di conoscenze di base sui nostri diritti a determinati livelli di sicurezza e comfort sono al centro delle lamentele deə manifestanti. La protesta diventa essenzialmente un’eco inversa dell’allegra gratitudine dellə paziente chirurgicə nei confronti di Simon per aver realizzato un film in cui tutti potranno vedere cosa succede. 

Ciò che accade a volte è tragico, spesso doloroso, ma è sempre istruttivo: demistifica e deoggettifica il corpo femminile, che è ancora il luogo di tanta segretezza e mistero. La curiosità empatica e non giudicante di Simon è la grande forza del film. Ma è anche scioccante che ancora adesso, nel 2024, possa essere una tale rivelazione, per le donne, vedere il «Nostro Corpo» rappresentato senza sessualizzazione e senza stigmatizzazione – senza, in una parola, vergogna.

Credits
Immagine cover sito
https://www.mymovies.it/film/2023/notre-corps/
Immagine sito orizzontale
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