Il valore dell’attivismo
L’attivismo deve la sua nascita alla storia come necessità esistenziale di rivendicazione di gruppi emarginati e bistrattati. In principio ha assunto la sua forma più compiuta ed esasperata nelle rivolte e nelle insurrezioni, nei sabotaggi e nella disubbidienza civile, sino alle rivoluzioni o ad atti belligeranti.
Oggi i moti per la “liberazione” delle classi considerate minoranze sono volti ad incoraggiare un cambiamento che parta dall’interno, suscitando anzitutto una reazione, ma anche trovare simpatizzanti per la causa e richiedere un riassetto dell’operato dei governi. Perciò si apostrofano le istituzioni, talvolta con metodi opinabili, per svelare le loro contraddizioni, le dubbie legislazioni figlie dei tempi passati, le criticità e le manchevoli tutele, tramite la provocazione e la trasgressione ove la diplomazia non arriva.
Le masse acquistano consensi e seguaci nella lotta per salire la piramide dei diritti umani, incominciando da quelli conquistati dai nostri avi, come il suffragio e il diritto all’istruzione (non ancora raggiunti in ogni angolo di mondo). Questo per trovare più voci che diventino corali affinché l’opinione pubblica, le generazioni e le autorità empatizzino.
Nell’epoca moderna il fine alle volte è coincidente con il mezzo con il quale viene reso noto, adoperando ad esempio, oltre a cartelloni e striscioni (veicoli per un messaggio), anche il proprio corpo come metafora di una discriminazione. Si mostrano i capezzoli o altri parti anatomiche, – non più determinate dal mero erotismo (secondo lo sguardo maschile) – per criticare la censura nei mass media, i tabù relativi alla salute intima e sessuale della donna, l’oggettificazione, la sessualizzazione, la feticizzazione oppure come empowerment, celebrazione della propria “femminilità”.
Cittadinanza attiva
È doveroso fare una premessa; esistono più linee di attivismo (politico, sociale, ambientale) che possono intrecciarsi vicendevolmente e non una risulta superiore o più efficace di un’altra.
La lista che segue vuole essere da modello per le azioni che si rendono utili per attirare l’attenzione e mettere in luce problemi che altrimenti verrebbero ignorati. Nel rispetto delle normative vigenti, si dovrebbe valutare ciò che viene ritenuto più consono, che non causi forme di disagio personale e che meglio si confaccia al proprio sentire. Quindi come si può essere esattamente attivistə del 21esimo secolo?
- Definire i propri ideali e identificare un movimento di appartenenza qualora un senso comunitario possa aiutare ad acquisire una maggiore consapevolezza, poiché l’unione fa la forza!;
- Mantenere i propri principi nella quotidianità, anche quando è scomodo scontrarsi con i pregiudizi e gli stereotipi;
- Fare delle scelte etiche di acquisto;
- Utilizzare un linguaggio inclusivo;
- Prendere parte a conferenze, corsi, workshop/seminari, eventi dedicati/inerenti a temi di stampo femminista per rimanere aggiornatə;
- Tenersi informatə e informare (seguire dei profili che trattino tematiche di attualità, iscriversi a newsletter, fare delle ricerche, leggere dei saggi, cronache e report; ascoltare podcast, trasmissioni televisive, Ted Talks e programmi radiofonici; navigare su siti dalle fonti attendibili, consultare blog e forum, rubriche e affini);
- Evitare il “virtue signalling”, quell’atteggiamento di omologazione nel condividere, solo in superficie, determinati valori;
- Aderire a progetti, frequentare: circoli e collettivi, assemblee studentesche, riunioni, presidi, focus group e community online per avere dei confronti costruttivi;
- Mettersi in gioco (se sicuro), usando la propria voce, utilizzando i mezzi, le capacità (hacktivism – da hacking e activism, artivism – da artist e activism), la notorietà (mediattivismo) e i vantaggi individuali, quando presenti;
- Fare propaganda tramite vari contenuti quali pubblicazione di foto, opere grafiche o scritti su piattaforme (articoli, interviste, post, lettere di reclamo, denunce, vademecum, manifesti, volantini, illustrazioni, traduzioni, video-editing);
- Andare a votare senza farsi persuadere dall’opinione altrui;
- Firmare delle petizioni, compilare: questionari, censimenti e sondaggi per dar modo ad altre persone di avere un quadro sempre più preciso delle informazioni e sopperire al gender data gap;
- Attivarsi tramite il boicottaggio e simili forme di protesta non-violenta per mostrare il proprio dissenso;
- Adottare “l’azione diretta” (sciopero, ostruzionismo sit-in/occupazione) come contestazione;
- Servirsi dell’interferenza culturale/culture jamming/subvertising e del femvertising (decostruendo la valenza “consumistica” di una pubblicità usando la parodia)
- Partecipare (se si può) a manifestazioni, marce, cortei e flash mob (8 Marzo, Fridays For Future, Pride…);
- Fare beneficenza se c’è la possibilità (donazioni, campagne di raccolta fondi per evitare la chiusura di un centro antiviolenza o un centro LGBTQIA+, crowdfunding/microfinanziamento dal basso), sostenere realtà locali in difficoltà e/o artistə queer;
- Fare volontariato (strutture per le donne vittime di abusi, consultori, numero verde contro l’omolesbobitransfobia, giornate ecologiche, centri per l’immigrazione, mense dei poveri, distribuzione di pacchi viveri, canili, complessi sanitari ecc.).
Se la società si sta riorganizzando su una linea di pensiero intersezionale, che si rifà al femminismo della quarta ondata, è proprio per l’attivismo. Se vi è più giustizia e correttezza è grazie al politically correct e all’attenzione che si rivolge verso chi diverge dalla “tradizione”.
Lə attivistə sono ə “ribelli del sistema” che nella contemporaneità sono il risultato di un’ostinata, ottusa nonché disfunzionale brama di conservazione del privilegio, ai danni però di altrə.
Loro stessə sono riformisti che si rafforzano dal passato per vivere in un presente che non sia anacronistico e per la diffusione di politiche future che non si limitino solamente a tollerare ed accettare, ma anche ad integrare e includere.
Possiamo sempre essere lə idolə, le eroine, gli alleati di qualcunə, a partire con l’esserlo di noi stessə.